Stufa dei cinecomic, Hollywood sembra aver già scelto la sua prossima ossessione: la vita, la morte e i miracoli dei musicisti.
È buffo scoprire di non sapere quasi niente di personaggi di cui tutti sono convinti di sapere tutto. John Lennon aveva 32 anni quando iniziò a sentirsi «un essere umano vero e proprio, finalmente», come spiega in una delle tante registrazioni inedite presenti in One to One: John & Yoko, documentario diretto da Kevin Macdonald e Sam Rice-Edwards, apprezzatissimo nel circuito dei festival (tra Venezia, Sundance e Telluride gli applausi sono stati tanti e lunghi) che esce oggi nelle sale italiane distribuito da Nexo. È forse la frase meno nota di Lennon, questa, ed è facile capire perché. È una frase che costringe a porsi una domanda: se fino a 32 anni non era stato un essere umano vero e proprio, allora cos’era stato?
Se telefonando
One to One: John & Yoko è un tentativo di rispondere a questa domanda, o quantomeno un tentativo di ricavare una risposta dalle caotiche, confusionarie, contraddittorie opinioni che Lennon aveva di se stesso. «Sono un rivoluzionario artista, giusto?», chiede in un’altra registrazione, aspettando che dall’altro lato della conversazione arrivi una conferma. Sorprende scoprire quanto spesso Lennon chiedesse queste conferme di sé al prossimo, come se davvero non fosse capace da solo di tracciare i contorni della sua persona. A quel punto della sua vita, ormai un uomo, probabilmente troppe cose gli erano capitate e troppe poche ne aveva scelte. One to One: John & Yoko è pieno di registrazioni di telefonate che funzionano così, come confessioni, come rassicurazioni. A registrare era lo stesso Lennon, convinto di essere spiato dall’Fbi a causa della sua attività politica e della sua opposizione a Nixon, paranoico al punto da voler aver sempre a disposizione «quello che ho detto» casomai dovesse arrivare un giudice a chiedergliene conto. Viene il sospetto quelle registrazioni gli servissero anche a uso privato, diciamo così: ce lo si immagina a riascoltarsi, alla ricerca nelle sue stesse parole della conferma di essere un essere umano vero e proprio.
Più che come un biopic musicale, One to One: John & Yoko funziona appunto come una confessione. Non è un film narrativo, non segue la traccia cronologica di una biografia né quella drammaturgica della novellizzazione. È un film disordinato, caotico come l’appartamento nel Greenwich Village di New York, la casa prediletta di John e Yoko: una riproduzione di quell’angusto bilocale compare spesso qua e là nel film, come a voler segnalare l’ispirazione di tutto. Proprio come nell’appartamento, nel film si trovano sparpagliati filmati e immagini d’archivio, vecchi dischi e canzoni, conversazioni radiofoniche e interviste televisive, chiacchiere sconclusionate e discorsi brillanti, politici di estrema destra e protagonisti della controcultura come Jerry Rubin e Allen Ginsberg (a vederlo in questo film, più che un poeta è un stand up comedian mancato, Ginsberg).
Una vita in un anno
Non somiglia agli altri appartenenti al genere, One to One: John & Yoko. Non racconta una storia dall’inizio alla fine, probabilmente perché farlo sarebbe stato sia inutile che arrogante. È un film “compresso”, proprio come (ancora una volta) la vita di Lennon e Ono in quel one bedroom newyorchese. Tutta la vita di Lennon, e tutta la sua leggenda, viene riassunta in un anno soltanto, il 1972. È l’anno che lui e Ono impiegarono per organizzare il concerto benefico che dà al film il suo titolo, One to One. Dopo aver scoperto grazie a un reportage televisivo di Geraldo Riviera le condizioni disumane in cui versavano i bambini ricoverati alla Willowbrook State School (ufficialmente una struttura di cura e accoglienza per bambini con gravi disabilità mentali, ufficiosamente il manicomio più grande d’Occidente), Lennon e Ono decisero di organizzare un concerto di beneficenza al Madison Square Garden di New York. Rimarrà l’unico concerto da solista della vita di Lennon, quello in cui si produce in una delle più memorabili interpretazioni di “Come Together”, uno dei pochi momenti in cui la collaborazione artistica con la moglie funziona davvero.
Che nel 1972 Lennon non fosse ancora un essere umano vero e proprio lo si capisce dall’ingenuità con la quale affronta le peripezie che portarono a quel concerto. Si è detto e scritto tutto della sua attività politica, del suo sostegno al movimento pacifista, della sua opposizione alla guerra in Vietnam, del suo disprezzo per Richard Nixon (la cui amministrazione lo minacciò anche di espulsione, evidentemente una tradizione della quale i Presidenti repubblicani non riescono proprio a fare a meno). Poco si sa di quanto conflittuale sia stato il rapporto di Lennon con la causa che si era scelto, invece. C’è un passaggio di One to One: John & Yoko, in cui appare sinceramente spaventato dall’idea che una manifestazione che sta contribuendo a organizzare possa prendere una piega violenta. «C’è gente che a queste manifestazioni ci porta i figli», urla, sconcertato. Quando Lennon si rende conto che i leader del movimento sono tutti maschi, con un candore quasi bambinesco chiede ai compagni di lotta: «Dove sono le donne?».
È il momento, questo, in cui tra lui e il movimento si apre una crepa che non verrà mai riparata: non si definirà mai più artista rivoluzionario. Passerà gli anni successivi a spiegare quanto profonde fossero le sue convinzioni non violente (lo facevano inorridire persino le provocazioni di A. J. Weberman, il famosissimo stalker di Bob Dylan, che Lennon fece di tutto per convincere a scusarsi), come a voler mandare frecciatine agli ex compagni, ai fu amici, a chi sapeva. Uno dei motivi per cui decise di lasciare Londra fu il fatto che i tabloid inglesi continuavano a dire che Yoko Ono era brutta, era una strega, era un’arrampicatrice sociale. I nervi di Ono a un certo punto erano così provati che iniziò a soffrire di balbuzie. Lennon trovava tutto questo una violenza che avrebbe meritato persecuzione penale. Figuriamoci se avrebbe mai potuto accettare di provocare, volontariamente, scontri di piazza.

One to One
Il concerto che dà il titolo a questo film è la conseguenza della scelta di Lennon di mettere distanza tra sé e il movimento, tra sé e la causa. Se una tesi c’è, in One to One: John & Yoko, è proprio questa: Lennon è stato un uomo che si è definito di frattura in frattura, separazione dopo separazione, che si descrive meglio attraverso quel che ha scelto di abbandonare che attraverso le imprese che è riuscito a compiere.
Quel one to one del titolo non si riferisce solo al leggendario concerto, ma è anche un azzardo, un tentativo di immaginare come sarebbe finita la storia di Lennon se le fosse stato permesso di proseguire: le ultime immagini del film lo ritraggono nella sua seconda casa newyorchese, quella in cui lui e Ono si trasferirono dopo la nascita di Sean. È il 1979, della vita di Lennon fino a quel punto non è rimasto quasi nulla: Nixon non è più Presidente, il movimento non esiste più, i Beatles sono storia, Jerry Rubin si è dato agli investimenti (fu uno dei primi a scommettere su Apple), le calvizie di Allen Ginsberg vanno sempre peggio. Quando Lennon inizia a capire di essere diventato un vero essere umano, finalmente, sono rimasti soltanto lui e Ono. One to One.

Quarant'anni dopo l'unico concerto della band in Italia, al Tendastrisce di Roma, è uscito un libro, Questa notte mi ha aperto gli occhi, su quell'irripetibile notte. Roberto Carvelli, l'autore, racconta i suoi ricordi di quell'evento.