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Come si fa a dare a un personaggio un nome indimenticabile?

Secondo Electric Literature, i nomi dei personaggi rimasti impressi nella memoria collettiva, da Dracula a Harry Potter, permettono di fissare alcuni parametri in merito, nel caso ci si voglia cimentare nella scrittura. Il primo suggerimento arriva da un gigante della letteratura come Shakespeare, che attraverso Amleto esortava gli attori a parlare «inciampando nella lingua», a produrre frasi con giri di parole orecchiabili. Un’altra opzione è pronunciare ad alta voce il nome scelto: se infatti la pronuncia non suona bene, difficilmente la resa su carta sarà migliore. L’esempio successivo è quello di Victor Frankenstein, dove «la durezza delle T e R conferisce un tono minaccioso”: ripetere le consonanti può infatti favorire l’evocazione di determinate atmosfere. Gioca un ruolo decisivo, poi, la sillabazione: basti citare Huckleberry Finn o Atticus Finch, entrambi costruiti sul binomio di nome plurisillabico più cognome monosillabico.

Ancora, bisogna prestare attenzione alla resa grafica, perché anche nella pagina l’occhio vuole la sua parte. Tra le figure retoriche, può risultare efficace l’allitterazione (esemplare il caso delle B nel Bilbo Baggins de Il Signore degli Anelli); altrettanto proficua la ripetizione, come insegna Humbert Humbert, il protagonista maschile di Lolita. La lezione del grande romanziere Charles Dickens sembra invece riassumibile in poche battute: la semplicità paga; basti pensare all’orfano di Grandi speranze Pip, un’onomatopea perché rimanda al verbo “spiare” (“peep” in inglese). L’elenco prosegue con i nomi che scelgono la massima espressività: Hannibal Lecter, il cannibale più famoso della letteratura e non solo, richiama all’istante la pratiche antropofaghe del dottore dei libri di Thomas Harris.

Altri nomi suggeriscono una relazione con le caratteristiche del personaggio: il cognome della protagonista di Colazione da Tiffany, Golightly, è realistico eppure suggestivo nel rimando ai modi eterei e distaccati della figura creata da Truman Capote; in La fabbrica di cioccolato troviamo Veruca Salt, una rampolla viziata e capricciosa: grazie al collegamento con le radici grammaticali dei corrispettivi inglesi di “verruca” e “sale”, il nome originale suona simile a “verruca salata”, un nonsense per sottolineare le caratteristiche negative della ragazzina. Vengono infine ricordati quei nomi talmente efficaci da esser entrati nel linguaggio comune: ad esempio il Romeo shakesperiano, sinonimo di innamorato, oppure il Grinch del Dr. Seuss, utilizzato per indicare le persone che detestano le feste.