Ci ha messo 20 anni a realizzare il film dei suoi sogni, che adesso è in cima al botteghino italiano, americano e mondiale. Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato della sua passione per il teatro, del ristorante dei suoi genitori e di quella volta che incontrò Spielberg.
Quest’articolo prende forma dal keynote “The Political Power of Music” presentato da Dave Randall a Linecheck Music Meeting & Festival, la cui undicesima edizione si è conclusa sabato 22 novembre. Quest’anno la manifestazione si è svolta tra Bologna e Milano, confermandosi come il principale spazio di confronto sul presente e sul futuro dell’industria musicale: una piattaforma che unisce conferenza e programmazione seriale, intrecciando riflessioni, performance e nuovi linguaggi. Fra i temi affrontati: tecnologie emergenti, diritti e policy nel settore musicale, nuove estetiche e il ruolo della musica nei processi sociali e politici. Ex-chitarrista dei Faithless, produttore e attivista, Dave Randall è autore del libro Sound System: The Political Power of Music.
«La nostra esperienza ci ha insegnato una regola d’oro della politica: il modo in cui le persone trovano piacere, intrattenimento e fanno festa è anche un modo per trovare la loro identità sessuale, il coraggio politico e la forza di cambiare». Sono le parole di David Widgery, uno dei fondatori di Rock Against Racism, la campagna politica a suon di musica che nella Gran Bretagna della fine degli anni Settanta contribuì a respingere l’estrema destra e a rendere l’antirazzismo cool per un’intera generazione. Le sue conclusioni rimangono valide: quando parliamo di musica parliamo di molto più che di un semplice intrattenimento. Parliamo anche di una parte del processo attraverso cui diventiamo pienamente umani. Ma, in alcune occasioni, anche del processo opposto attraverso cui dimentichiamo la nostra umanità: non c’è nulla di intrinsecamente progressista nella musica e nell’industria musicale. Tutta la cultura è politicamente contesa da gruppi sociali differenti e con agende diverse. È sempre stato così nel corso della storia.
Ma quali sono oggi i gruppi che si contendono il potere sociale della musica? Be’, ce ne sono molti, ma forse la divisione più significativa è quella economica. La divergenza tra la realtà materiale e quindi gli interessi politici di chi sta in cima e tutti noi altri è diventata enorme. Era stato previsto già negli anni Sessanta dell’Ottocento, quando Karl Marx notò che il capitale sarebbe diventato sempre più concentrato e centralizzato. Aveva ragione: oggi ci tocca dividere il mondo con i miliardari. Secondo Oxfam, 62 miliardari possiedono più ricchezza del 50 per cento più povero della popolazione mondiale. E dal 2020 i cinque uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato le loro fortune. Nello stesso periodo quasi 5 miliardi di persone nel mondo sono diventate più povere.
Anche se gli uomini più ricchi del mondo non sono necessariamente coinvolti in modo diretto nella musica, i Ceo musicali nella Billboard Power 100 Leaderboard si uniscono certamente a loro nel club esclusivo dell’1 per cento. Allo stesso tempo, gli artisti emergenti e i locali indipendenti faticano spesso a pagare l’affitto. Non è sostenibile. Abbiamo bisogno di tasse e prelievi progettati per redistribuire la ricchezza dall’alto verso tutti noi. Nel Regno Unito, il Music Venue Trust ha proposto un modello del genere: hanno ottenuto il sostegno del governo per un prelievo di una sterlina su ogni biglietto venduto per i grandi concerti, da usare poi per sostenere i piccoli locali indipendenti. Locali che, tra le altre cose, funzionano come terreni di allenamento cruciali per le future star degli stadi. Non è perfetto: il prelievo è minuscolo rispetto ai profitti dei grandi promoter musicali come Live Nation. Anche questa cifra minuscola rimane discrezionale e il costo potrebbe benissimo essere scaricato sui fan che comprano i biglietti. Ma è un piccolo passo nella giusta direzione e aiuta a mettere in luce il fatto che la nostra industria ha un sacco di soldi: semplicemente non stanno ancora andando dove servono. Dobbiamo pretendere iniziative simili e più ambiziose sia all’interno delle industrie creative che oltre.
Vediamo anche prove di quanto i proprietari siano diventati distanti dai valori delle comunità da cui traggono profitto. Quest’estate il gruppo hip hop irlandese Kneecap è stato headliner del festival Wide Awake a Londra. Hanno guidato un coro “Free Palestine” facendo eco all’enorme movimento di solidarietà con la Palestina in Gran Bretagna, le cui marce hanno riempito regolarmente le strade della capitale dall’invasione israeliana di Gaza nel 2023. I fan dei Kneecap hanno ripreso il coro con entusiasmo. Ma c’era una crudele ironia. Wide Awake è di proprietà di Superstruct, il secondo maggior proprietario di eventi di musica dal vivo al mondo, dopo Live Nation. Che a sua volta è di proprietà dell’enorme e piuttosto oscura società di private equity KKR, che ha significativi legami commerciali con Israele, inclusi investimenti negli insediamenti illegali in Cisgiordania. Comprando biglietti per vedere i Kneecap, i loro fan stavano indirettamente aumentando il patrimonio netto di individui complici degli stessi crimini che i Kneecap hanno coraggiosamente denunciato. C’è qualcosa di sbagliato.
Ho parlato con un dirigente senior di Superstruct che è un mio amico. Quello che mi ha detto è rivelatore. Ha detto che quando si tratta del portafoglio investimenti di KKR, Superstruct è minuscola: poco più di un “errore di arrotondamento”. Finché Superstruct rimane redditizia, a KKR semplicemente non importa di eventuali problemi o preoccupazioni che potrebbero avere. È probabile che gli investitori di KKR non andranno mai a un evento Superstruct, e neanche in Cisgiordania. Vediamo la stessa dissociazione in altri settori. A volte faccio lezione in un’università di musica pop a Bristol. Anche questa è stata recentemente acquistata da un gruppo apparentemente lontano di “asset manager”. Anche se l’università è già redditizia, mi dicono che gli investitori stanno chiedendo tagli per aumentare i margini, presumibilmente in vista di un’altra vendita. Questo ha conseguenze tangibili sulla qualità dell’istruzione che possiamo fornire ai nostri studenti. Ma è improbabile che gli investitori si soffermino su quelle conseguenze o incontrino mai uno studente. Non ci si sente bene. È come se il capitalismo moderno trasformasse tutto ciò che facciamo, amiamo e di cui abbiamo bisogno in fiches nel casinò di qualcun altro.
Va bene che i proprietari dei mezzi di produzione e distribuzione (per prendere in prestito una frase di Marx) siano così distanti? Hanno interessi economici e quindi politici completamente diversi dalla stragrande maggioranza del resto dell’umanità. Ma controllano parti cruciali della cultura contemporanea. Ci dev’essere un modo migliore per organizzare la società nel Ventunesimo secolo.
Al festival Linecheck a Milano questa settimana ho discusso di come le cose potrebbero cambiare. Dobbiamo continuare a costruire alleanze all’interno dell’industria musicale e oltre. Le nostre ambizioni devono puntare a riportare proprietà e controllo alle comunità che fanno musica e partecipano agli eventi di musica dal vivo. Dobbiamo anche costruire connessioni con campagne e organizzazioni politiche progressiste, inclusi sindacati e il più ampio movimento del lavoro. Queste dovrebbero includere campagne contro il razzismo, contro la guerra, contro la catastrofe climatica. Dobbiamo agire con speranza, creatività e determinazione. Per parafrasare il grande marxista italiano Antonio Gramsci: il vecchio mondo – plasmato dal profitto aziendale – sta letteralmente morendo. Ma il nuovo fatica a nascere. Ovunque viviamo e qualunque cosa facciamo per vivere, è tempo per noi di farci avanti e fare quello che possiamo per aiutare a inaugurare quel nuovo mondo.
Ci ha messo 20 anni a realizzare il film dei suoi sogni, che adesso è in cima al botteghino italiano, americano e mondiale. Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato della sua passione per il teatro, del ristorante dei suoi genitori e di quella volta che incontrò Spielberg.
Nel 2015 ha fondato e dirige una delle case editrici più interessanti in Italia. Pubblicando nuove voci italiane e stranieri di successo ha dimostrato che si può vincere la crisi, che i lettori cambiano ma la lettura resterà sempre.
