I “mostrologi” hanno trasformato il caso del Mostro di Firenze nel multiverso della follia italiano

Il trailer della serie di Stefano Sollima ha riacceso la discussione in una comunità che in 40 anni ha prodotto un'immensa mole di mitologia, tra teorie alternative, radio private, blog, forum, social, romanzi, podcast, e talvolta veri e propri deliri.

21 Luglio 2025

Nel settembre del 1985, poche settimane dopo l’ultimo duplice omicidio attribuito al cosiddetto Mostro di Firenze, fu un fisico teorico a pronunciare la frase che, suo malgrado, avrebbe dovuto chiudere il primo capitolo della storia: «State tranquilli, non colpirà più». Cesare Marchetti non era un uomo incline alla fiction; al tempo lavorava all’IIASA di Laxenburg. I suoi calcoli, basati sulle equazioni di Volterra, servivano per stimare quando un prodotto industriale avrebbe esaurito il proprio ciclo vitale, quando il metano avrebbe superato il petrolio o quando le Brigate Rosse si sarebbero spente. Per una richiesta riservata dei Carabinieri, li applicò anche al caso del Mostro e, sulla base di quelle “curve di saturazione”, stabilì che la sequenza era giunta al termine.

Il problema è che la storia non finisce quando si fermano i fatti. Ancora oggi l’interesse attorno al Mostro non solo non si è ridimensionato, ma si è trasformato in qualcosa di più ampio e stratificato. Non più un cold case ma un metacaso, un ecosistema narrativo in continua espansione la cui trama si è emancipata dai fatti e ha assunto la forma di una mitologia nazionale. E come ogni mitologia, funziona anche senza una soluzione razionale. In questo, forse, il paragone più adatto è con prodotti di finzione come Twin Peaks o True Detective. Oggi la domanda non è tanto conoscere l’identità del serial killer ma quale teoria, quale racconto il pubblico trova più affascinante.

Da un’idea di Stefano Sollima

Lo dimostra la reazione al trailer della nuova miniserie Netflix diretta da Stefano Sollima, in uscita a ottobre 2025. Dove per reazione si intende un’onda di contenuti pubblicati già entro le prime 24 ore dai protagonisti della cosiddetta “mostrologia”. Commenti come: «Seguendo da anni le piste più possibili e verosimili non so se potrò vederlo. Nel senso, se il colpevole sarà pacciani, allora sarà pura fantascienza». Oppure: « Già dal trailer si parte con le inesattezze, della Monica non ha mai avuto l’intuizione dell’omicidio del ‘68 a Signa la famosa pista sarda, poi finita in un nulla di fatto». Fino a reazioni che rivelano l’appartenenza alla galassia dei ‘redpillati’: « Speriamo la serie non segua le storielle processuali dei compagni di merende e del serial killer unico, ma che si possa andare più in profondità…».

Perché nei grandi fatti di cronaca nera che diventano poi storia e infine mito, abbiamo così spesso l’impressione si nasconda dell’altro? E del resto il problema con il Mostro è sempre stato questo: se nei grandi unsolved crimes manca quasi sempre un sospetto, qui i sospetti sono addirittura troppi. Dove per ‘troppi’ intendiamo un casting senza limiti che ha visto sfilare dalla fine degli anni Sessanta fino all’altro giorno contadini toscani, emigranti sardi, preti, maghi, medici, farmacisti, poliziotti, giornalisti, massoni, pittori, membri della Légion étrangère, fornai, scrittori, aristocratici, servizi segreti deviati, grulli del paese, satanisti, stilisti, terroristi neri, rossi (di capelli), serial killer in trasferta dagli USA, ma anche un 15enne e Walter Chiari. Nulla vieta, secondo la logica partecipativa della mostrologia più estrema, di immaginare tutte queste categorie radunate tutte assieme, a compiere un rito collettivo nelle campagne toscane. In quest’ultima eventualità ci dovremmo immaginare che all’apice della carriera criminale dell’entità chiamata Mostro di Firenze, sulla Piazzola degli Scopeti, mettiamo, ci si sarebbe dati appuntamento in un mondo che ancora non conosceva i gruppi Telegram, una flash mob di psicopatici per compiere il macabro rito; una sorta di “festa dell’Impruneta”, giusto per citare uno dei tanti momenti diventati meme dal processo a Pietro Pacciani del 1994.

Questa elasticità narrativa è una delle chiavi per comprendere il fenomeno della mostrologia. Una disciplina semi-formale, amatoriale e insieme altamente specializzata, nata in sordina sul finire degli anni ‘90 tra blog investigativi e forum semichiusi, per poi emergere con il boom dei social, diventando un fenomeno che comprende archivisti, detective mancati, burloni, rigorosi storici ma anche veri fanatici che hanno fatto del Mostro di Firenze ragione di vita.

Dal web 1.0

Tutto inizia con i blog, quelli ormai considerati pietre miliari, abecedari per tutti i cultori del caso, erano (e sono) per lo più missioni enciclopediche al servizio di una community di utenti che erano già vivi all’epoca degli ultimi delitti, o quantomeno per ricordarsi i processi in diretta radio (e poi in tv) dal 1994 in poi. Da questa archeologia dei mostrologi affiorano nickname evocativi come De Gothia, un autore rimasto a lungo anonimo e che oggi sappiamo trattarsi di un medico, deceduto nel 2013. Il suo primo lavoro, che risale proprio all’anno del processo Pacciani, era un documento dattiloscritto intitolato Il Sentiero non Battuto, che non trovò accoglienza né nel mondo dei cronisti né in quello degli avvocati con i quali fu condiviso. Eppure possiamo dire che quel lavoro, che presentava una delle prime “tesi alternative”, lavorò nel profondo di quella sottocultura che stava prendendo piede nel web 1.0. Scritti come quello costituirono il primo zoccolo duro della partecipazione online dei forum pre-Reddit. Siti e blog come, tra gli altri; ‘Mostro di Firenze – Monster of Florence’ o ‘Insufficienze di Prove’, iniziarono a ordinare tassonomie, archivi, emeroteche, raccolte di documenti, scansioni, fotografie dei delitti e di ogni altro aspetto della vicenda, tutto quel materiale di base che è servito a migliaia di user come starter-kit per formulare la altrettante tesi e piste investigative.

È su blog come Insufficienza di Prove di Francesco Cappelletti (aka Flanz Vinci) che molti dei mostrologi della seconda wave hanno iniziato ad approfondire la pluralità di aspetti legati alla vicenda, ed è ancora oggi un luogo virtuale dove rimanere aggiornati rispetto alle novità circa gli sviluppi editoriali della vicenda, e gli altri lavori prodotti da questa attivissima comunità. Sì perché quella della mostrologia è una sottocultura ma anche una branca del genere giallo. E, potremmo dire, così è iniziata: nel 1983 il giornalista Mario Spezi, che fu tra i primi a coprire come cronista la vicenda e al quale dobbiamo la locuzione Mostro di Firenze, scrisse il suo primo libro dedicato al caso, inaugurando un filone letterario che ha avuto non poco peso nell’influenzare la realtà delle cose. E bene tenere presente infatti che tutte i grandi protagonisti che si sono susseguiti nella storia dei “veri” processi, magistrati, investigatori, avvocati hanno dato alle stampe memoir e instant-book che hanno costituito, prima del passaggio al digitale, i primi riferimenti per la comunità.

Nel tempo quelle prime pubblicazioni sono state oggetto di critiche radicali e passate al setaccio dai mostrologi contemporanei, ma non c’è dubbio che le suggestioni di un romanzo come Dolci Colline di Sangue, scritto sempre da Spezi insieme all’americano Douglas Preston, abbia rappresentato una delle vette nella mitologia del Mostro, al punto che Hollywood si accorse per la prima volta proprio grazie a questo volume del potenziale della vicenda. Tom Cruise comprò i diritti per un film la cui realizzazione tuttavia non andò mai in porto.

Analogamente a tutti gli altri contesti dell’informazione, in quegli stessi anni la fine dell’intermediazione stava scoperchiando il vastissimo regno accennato poco sopra, dove le tesi ‘alternative’ come quelle di De Gothia apparivano più seducenti della verità giudiziaria. Fattori come la digitalizzazione degli registrazioni audio dai processi a Pietro Pacciani e quella ai cosiddetti ‘compagni di merende’ resi disponibili dall’archivio online di Radio Radicale hanno dato una spinta senza precedenti a nuovi e vecchi mostrologi. È attorno al 2010 che su YouTube iniziano a moltiplicarsi video casarecci dove autori rigorosamente celati da improbabili nickname e avatar commentavano uno stile spesso sgrammaticato, caustico e complottista la storia del Mostro, le indagini e i processi, con una chiara tendenza paranoica del Deep State: una sorta di 4chan, parò toscano.

Specialisti e narcisisti

È in quel contesto che la mostrologia ha iniziato a generare tutto il meglio e tutto il peggio che aveva da dare: da un lato l’estrema specializzazione, dall’altra la narcisistica autoreferenzialità di elaboratissime teorie multi-livello che ad hanno contribuito a rendere incomprensibile una vicenda forse non così complessa. Florence International Radio, una radio locale fiorentina poi diventata web radio e canale YouTube, ha iniziato ad ospitare prima di molti altri canali e trasmissioni tv praticamente tutti i vate della mostrologia, con infinite dirette dove personalità dai più disparati background e provenienze hanno iniziato a distinguersi e affermarsi, per poi decidere d’alzare la saracinesca virtuale della loro bottega in proprio con altrettanti canali YouTube.

Se certamente quella della mostrologia è una comunità, va detto che tale affratellamento è solo puramente nominale. Dissing, sputtanamenti, delegittimazioni reciproche sono all’ordine del giorno, rivalità che nella maggior parte dei casi tradiscono le vere motivazioni dietro quella che per molti mostrologi è diventata un’attività a tempo pieno, con canali a pagamento, prodotti editoriali, podcast, spettacoli teatrali, libri a fumetti ma anche la produzione di dossier e perizie che hanno fatto breccia nel mondo delle indagini ufficiali fino ad atterrare nei banchi della Commissione parlamentare Antimafia.

Ma cosa ha realmente prodotto questo infinito e quotidiano scrutinio negli ultimi 15 anni? Sostanzialmente nulla. Potremmo affermare che l’unico vero piccolo (eppur incontrovertibile) passo in avanti è stato fatto grazie a una delle ricercatrici più attive in questi ultimi anni, la milanese Valeria Vecchione, che con totale abnegazione è riuscita a risalire al numero della rivista che l’autore dei delitti ritagliò per comporre la lettera anonima che inviò alla magistrata Silvia della Monica, qualcosa che chi indagò ufficialmente e condusse le perizie merceologiche del reperto non riuscì mai a individuare. Lo abbiamo detto: non è molto, ma è stato sufficiente per Vecchione e i moltissimi seguaci della cosiddetta “teoria dell’acqua” per generare quella che ad oggi è diventata una degli ultimi grandi trend della nuova ondata di mostrologi. La teoria vedrebbe il Mostro e il serial killer più famoso della storia d’America, Zodiac, come un’unica entità, con un nome e un cognome preciso. Tale tesi è stata proposta dal giornalista Francesco Amicone che, nel denunciare l’individuo (morto nel 2022), è stato condannato per diffamazione in via definitiva lo scorso 12 giugno. Nel frattempo il podcast intitolato Zodiac e il Mostro Di Firenze: La teoria dell’acqua prodotto da Lucky Red e narrato da Luca Ward ha appassionato il popolo del web.

Come in un videogioco

Ma perché? Perché questo caso, più di altri, è diventato un magnete psichico, culturale, narrativo?

Una parte della risposta risiede nei meccanismi stessi del racconto. Il game designer Reed Berkowitz ha scritto nel 2020 un articolo su Medium intitolato Playing with Reality dove analizzava la logica narrativa dei complottismi contemporanei. La sua tesi è che queste comunità non si comportano come studiosi della realtà, ma come giocatori immersi in un ARG, un alternate reality game — con la differenza che non c’è un game master, nessuno dichiara le regole, e nessuno può mai “vincere”. L’utente viene portato a credere che tutto sia connesso, che ogni dettaglio sia significativo, che nulla accada per caso. È una logica che produce dipendenza: ogni smentita è solo un indizio mal interpretato, ogni vuoto una zona da esplorare. Non si cerca la verità, si cerca l’autogratificazione e la sensazione di aver visto la luce laddove tutto gli altri brancolano nel buio.

La mostrologia funziona in modo simile. È un ecosistema che ha abbandonato il modello dell’inchiesta per abbracciare quello della mitopoiesi. Le nuove generazioni di “esperti” non cercano tanto di risolvere il caso quanto di abitarlo. Costruiscono ipotesi, incrociano mappe, digitalizzano archivi, sovrappongono layer geografici, astrologici, toponomastici. Producono teorie, ma anche immagini, montaggi, meme. Subreddit dove utenti traducono ogni nome di luogo o testimone in codice numerologico cabalistico, gruppi Facebook che analizzano le posizioni del sole nei giorni dei delitti, podcast e spettacoli dove vengono letti gli atti del processo come testi teatrali. Questo bisogno di raccontare (e ricreare) continuamente la storia risponde a un vuoto più grande: la mancanza di un’epica condivisa. In questo scenario, la miniserie Netflix ha già ottenuto il suo effetto collaterale più potente: non il rilancio del caso ma la sua trasformazione in palinsesto permanente, in una serie tv della quale non esiste season finale.

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