La situazione americana è gravissima e preoccupa il mondo intero. Ma, allo stesso tempo, è possibile non vedere quanto tutto quello che viene dagli Usa oggi sia... grottesco?
È impossibile muoversi tanta è la gente. A New York, nei pressi di Times Square, ma non solo: le piazze di No Kings contro l’ autoritarismo trumpiano sono 2600 in tutti gli Stati Uniti. La composizione è prevalentemente bianca. Gli slogan sono spesso ironici ma soprattutto preoccupati. Le bandiere a stelle e strisce sono tantissime. Molti gli slogan che contrappongono una supposta essenza democratica degli Usa all’autoritatismo trumpiano. Trump chiama gli oppositori antiamericani ma la piazza ci tiene a dire che no, è Trump ad esserlo. Il fatto che la democrazia qui abbia valso solo per i bianchi fino alla fine di Jim Crow per i manifestanti significa che il razzismo non è americano.
O comunque che gli Stati Uniti che vogliono rappresentare non sono quelli. La loro idea di America è un’altra, è quella del 1776, della Dichiarazione di Indipendenza, a cui molti cartelli rimandano. Un manifesto portato da una anziana signora recita: sono fuggita dalla Russia ma ora mi sembra di essere lì. E il patriottismo che sembra essere una contraddizione rispetto all’antitrumpismo in effetti si accompagna a tantissimi cartelli e cori a favore degli stranieri e insulti all’Ice (United States Immigration and Customs Enforcement), le forze paramilitari che rapiscono migranti nelle strade. Trump ha appena proposto di limitare le migrazioni ai soli bianchi “perseguitati” in Sud Africa o in Europa per le loro idee di populismo di destra.
Gli Usa sono quelli dei migranti
Per i manifestanti, al contrario, gli Stati Uniti sono quelli dei migranti: molti cartelli attaccano l’Ice. Alcuni manifestanti di Rocc New York (Resources, Opportunities, Connections and Community) protestano per la cattura di Dylan, 20enne del Bronx preso dall’Ice il 21 maggio appena uscito da un tribunale dove stava perorando il suo caso come migrante entrato negli Stati Uniti. Tantissimi cartelli e magliette e spille ritraggono o invocano Zohran Mamdani come l’anti-Trump – le elezioni si terranno il 4 novembre e il candidato socialista democratico che ha vinto le primarie del partito Democratico è in vantaggio. Una ragazza che accompagna la madre in sedia a rotelle ha un cartello a favore di Andrew Cuomo (l’ex governatore di New York e candidato indipendente come sindaco della città) e contro Mamdani – che accomuna a Trump come “re” da rigettare. Varie persone nel corteo le fischiano e attaccano. Lori ritiene che Mamdani sia una minaccia per New York perché vuole decriminalizzare i reati minori – e afferma che sia ricco (così come Cuomo, ma il fatto non sembra turbarla). Si dichiara centrista. Un altro piccolo scontro si è avuto tra un provocatore trumpiano che riprendeva la folla ed elogiava il Presidente invitando i manifestanti a spiegare perché fossero lì, ma spesso finendo per insultarli.
Page Fortna, capa dipartimento di Scienze Politiche a Columbia tiene un cartello con il simbolo della sua università “no kings at Columbia”. Secondo lei, ci sono possibilità di resistenza anche se Trump manderà la guardia civile a New York dopo l’elezione di Mamdani. Sarà un assedio, dato che taglierà anche molti fondi, rendendogli estremamente difficile realizzare le promesse che ha fatto (trasporti gratuiti, negozi di alimentari con prezzi calmierati, affitti sostenibili, educazione gratuita per i bambini). La repressione della libertà nelle università è forte e così solo chi ha un ruolo stabile può protestare, non chi è precario né gli studenti, duramente colpiti. Moltissimi sono i riferimenti al fascismo e al nazismo nel corteo, sia in riferimento a Trump che ai suoi vari ministri (Steve Miller e Pete Hegseth su tutti) e alleati come Benjamin Netanyahu. Virginia infatti tiene un cartello contro il genocidio e il supporto israeliano. Alcuni tengono cartelli in cui si legge “mio padre ha combattuto il fascismo e ora tocca a me”.
Il vero antiamericano
Mark invece ha 18 anni ed è in piazza perché Trump calpesta lo Stato di diritto. Così come Gino, nato a San Francisco, ex direttore degli archivi e del museo di Carnagie Hall, che ricorda le proteste degli anni ’60 dove ascoltò per la prima volta Santana e i Jefferson Airplane. Anche lui tiene una bandiera degli Stati Uniti in mano. Come spiega Page, i manifestanti cercano di reagire alle accuse dei repubblicani di essere anti-patriottici e di essere “pagati”. In molti cartelli si possono leggere battute sul fatto che le persone in piazza disprezzino Trump gratuitamente. È lui il vero antiamericano. Herbert ci tiene a dire che, secondo lui, Trump ha vinto tramite brogli: la maggioranza degli Stati Uniti non è razzista. Non si spiega come alcuni suoi amici afroamericani abbiano votato per Trump. Mettono da parte il fatto che sia un suprematista bianco ma gli credono per altre cose. Ad ogni modo, Herbert non sa rispondere: perché votino un razzista è una domanda da un milione di dollari, dice.
Molti i riferimenti anche a Jeffrey Epstein e al suo rapporto con Trump che, da diversi manifestanti, è accusato di essere o direttamente un pedofilo o quantomeno un loro protettore. “Gop = great order of pedophiles” si legge su un cartello. Ma vi sono anche forme più politiche di protesta come quella di Anna di Hands off New York che organizza forme di difesa dalle incursioni di Ice o di Indivisible, tra le organizzazioni promotrici della grande marcia di sabato. Se questa moltitudine sarà capace di resistere all’autoritarismo trumpiano è cosa difficile da prevedere, soprattutto a fronte della debolezza dei Democratici che, a parte in alcuni casi, non sembrano voler combattere come le minacce trumpiane richiederebbero.

Ospite in India, Amir Khan Muttaqi ha cercato in tutti i modi di evitare di rispondere alle domande delle giornaliste, escludendole anche dalle conferenze stampa.