Attualità | Polemiche

Nessuna pubblicità sulle droghe ha mai funzionato

Quella con il ct della Nazionale Mancini è solo l'ultima aggiunta alla già ricchissima e imbarazzantissima galleria degli spot antidroga.

di Clara Mazzoleni

Lo psicoterapeuta che devo ringraziare per essere sopravvissuta al traumatico periodo post-comunità aveva una frase che amava ripetere: «Quando tocchi il fondo… puoi sempre iniziare a scavare». Mi è tornata in mente guardando lo spot contro le droghe di cui si sta parlando in questi giorni. Chi mai avrebbe potuto immaginare di poter vedere, nel 2023, una cosa del genere? Sembrava che il fondo della demenza fosse già stato raggiunto con il video di Salvini che citofona e chiede: «Scusi, lei spaccia?», o con le pubblicità progresso del passato, quelle che ci ritroviamo a guardare su YouTube alle 3 di notte a casa di qualcuno («ti ricordi questo?», «no vabbè epicoooo»), e invece guarda qua: scava scava, ed ecco che compare un video con Roberto Mancini che ci avvisa che «tutte le droghe fanno male», e un gruppo di Teletubbies decerebrati guardano il video (come hanno scritto nei commenti: se a non drogarsi si diventa così, beh, ci è andata benissimo) e hanno l’intuizione geniale di farsi un video anche loro dicendo la stessa cosa, per la gioia dell’allenatore che conclude: «Bravi, fatelo girare!». Come direbbe Roman di Succession, «if if I cringe any harder I might become a fossil». Ma non è solo cringe, è anche offensivo. Chi mai potrebbe essere così stupido da rinunciare a drogarsi grazie a questo video? È come dire a un fumatore che fumare fa male. Che è proprio quello che ci ritroviamo scritto sui pacchetti di sigarette che fumiamo ogni giorno. Ma lì, almeno, c’è il tentativo di spiegarci le tante maniere in cui, a un certo punto, i danni del fumo si manifesteranno e rovineranno la nostra vita. Qui invece il destino di una generazione è in mano all’unico comandamento espresso da un allenatore di calcio: «non drogarti perché lo dice Mancini».

Confrontiamo, ad esempio, “Tutte le droghe fanno male” con il corto della campagna antidroga del 2011, “Non ti fare, fatti la tua vita”. Gita di classe: la ragazzina seduta sul bus vede che il suo ragazzo viene raggiunto di corsa da un tizio che gli mette in mano una busta di pasticche. Si prende male e mette il muso. Lui sale sul bus, si siede vicino a lei, si addormenta e sogna una bona angelica (con le sembianze della ragazzina) che improvvisamente, grazie a un notevolissimo effetto speciale, diventa un orrendo mostro-vampiro (metafora della droga, che prima dà e poi toglie). Si sveglia di soprassalto, scende dal bus e butta la busta nel fuoco. La ragazzina lo vede e sorride soddisfatta. In confronto a “Tutte le droghe fanno male”, “Non ti fare, fatti la tua vita” era praticamente un capolavoro. Ho provato a dare un’occhiata alle pubblicità progresso del passato, italiane e non, e non sono riuscita a trovarne una idiota e inutile quanto quella con Mancini. Questo articolo del Corriere ne raccoglie diverse, mentre il profilo Instagram The Opioid Crisis Lookbook (che è anche un progetto artistico e un magazine, ne avevo scritto qui) raccoglie molte pubblicità progresso americane, comprese quelle in formato billboard.

«Se ti droghi ti spegni» dice il mio spot preferito (non perché sia efficace, ma almeno è bello), quello del 1989 con le teste che ruotano su loro stesse, partono normali ma quando ricompaiono hanno i bulbi oculari completamente bianchi. Ma non è forse questo il desiderio di ogni tossicodipendente della Terra? Spegnersi. Neanche la creatività funziona più di tanto. Il “Cleaner Girl Meth Commercial” è un ottimo cortometraggio (lei che pulisce ossessivamente la casa e se stessa fino a scarnificarsi con come colonna sonora un allegro motivetto) ma basta leggere i commenti al video su YouTube per capire che nessuno l’ha mai preso seriamente, anzi: la canzoncina era troppo catchy e lo scenario forse un po’ troppo estremo. In “No Brainer, realizzata da Saatchi & Saatchi New Zealand, c’è un tipo che, letteralmente, si pippa il suo stesso cervello (nel senso che si apre il cranio, tira fuori un pezzo di carne, la sminuzza e la inala con una banconota arrotolata): fa schifo, molto, ma funziona? Il concetto è lo stesso di un altro spot italiano datato 2008: anche qui discoteca, anche qui un fattone qualsiasi, in questo caso un cervello tutto composto di lampadine che, a poco a poco, si spengono. Come se una persona predisposta a drogarsi potesse avere a cuore la propria salute e la salute del proprio cervello, come se le importasse qualcosa di se stessa e del suo destino. Ma come dovrebbe essere, allora, uno spot contro la droga, per funzionare? Cambiare il punto di vista potrebbe essere un’idea. Se la puntata di Breaking Bad in cui Jane muore di overdose ha traumatizzato me e tanti altri, non è tanto per quello che succede a lei ma per come viene raccontato suo padre, prima, durante e dopo la sua morte. Un concetto, quello della responsabilità nei confronti degli altri, non certo facile da riassumere in uno spot di pochi minuti, come dimostra il video della gita di classe.

L’idea di spot contro la droga, evidentemente, è problematica di per sé (questo non giustifica l’insuperabile schifezza con Mancini). Ci pensavo qualche settimana fa quando si è diffusa la notizia sconcertante che i libro Alice e i giorni della droga era in realtà un fake scritto da una casalinga mormona, e non il diario di un’adolescente tossicodipendente che inizia da un acido, passa all’eroina, inizia a prostituirsi e, alla fine, muore. Negli Usa quel libro era stato utilizzato politicamente, era diventato il simbolo della campagna anti-droga. Ma per me ha funzionato in senso completamente opposto: non ricordo come e perché sia capitato in mano a una tredicenne che si aggirava tra gli scaffali della biblioteca di Galbiate, ma mi ispirò un immediato desiderio di emulazione, così come hanno sempre fatto tutti gli altri libri e film che dovrebbero sortire l’effetto opposto. Parlando con altri ex tossici ho scoperto che è estremamente comune: le storie che scandalizzano e disgustano le persone sane (che quindi non avrebbero nessun bisogno di essere spaventate o avvisate o avvertite: non si drogherebbero comunque) funzionino per noi come dei trigger, anche se sono storie di autodistruzione, miseria, morte.

Invece di perdere tempo a creare ridicoli spot antidroga o sperare e pretendere che i libri e i film sull’argomento, da Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino a Euphoria, riescano nell’assurdo intento di “sensibilizzare” i giovani (quando invece più spesso provocano emulazione, per capirlo basta fare un rapido check su TikTok) o di insistere con la mitizzazione del cosiddetto metodo Muccioli, allora, sarebbe davvero utile concentrarsi non tanto sulla prevenzione del problema, ma sulla sua soluzione. Il servizio del Sert continua a essere carente, gli psicoterapeuti costosissimi, inavvicinabili per via dei tempi di attesa infiniti, o incompetenti, e per una persona che ha problemi di dipendenza da sostanze l’unica speranza restano i gruppi autogestiti dei Narcotici anonimi (che però funzionano nello stesso modo dal 1953) o le comunità private. Negli ultimi anni, il problema è diventato ancora più grave: il Covid ha peggiorato le condizioni della maggior parte delle persone con problemi di dipendenza (latenti o già manifesti), ma di questo non frega un cazzo a nessuno. Tolleranza zero su droghe e alcol al volante per cucire lo strappo creato dai The Borderline (come se, al netto delle sfide demenziali, dei video che pubblicavano e del popolo di imbecilli che li seguiva, alla fine la causa di tutto fossero le canne che si sono fumati) e un bel video con Mancini per ricamarci sopra e fornire l’ennesima, ottima occasione per un po’ di sano umorismo social, ridiamoci su per non pensarci, sdrammatizziamo, tutte le droghe fanno male e quindi chi si droga è stupido e non merita nessun tipo di aiuto.