Industry | Moda
Cos’è il cringe-chic e cos’ha a che fare col ritorno dei leggings
La Gen Z ha definitivamente abbracciato uno stile post-ironico che è, allo stesso tempo evoluzione e involuzione dell’ugly-chic di Miuccia Prada.
Non è più tempo di lettere d’amore come quella che negli anni Duemila Alex Turner scrisse ad Alexa Chung e, probabilmente, noi continueremo a ricevere le solite reaction con fiamma a una storia Instagram, ma di certo potremmo indossare, di nuovo, i pantaloni skinny neri del leader degli Arctic Monkeys. E, grazie alla strada già spianata da quegli stessi pantaloni aderenti, i fratelli perbene, stanno per tornare anche i loro figliol prodighi: i leggings. Da poco rivisti in passerella, i leggings già da tempo spopolano massicciamente su TikTok. Quindi, giusto per riprendere Highsnobiety che solo qualche giorno fa ha pubblicato un articolo intitolato “Sorry, Gen Z: skinny jeans are officially back”, sorry Millennial, ma la Gen Z se li era già ripresi, ed è andata oltre.
Di certo questa notizia farà sprofondare nello sconforto tutti i fratelli maggiori sfigati che non comprendono perché la Gen Z si senta in dovere di rispolverare trend che provocano imbarazzo nella maggior parte delle persone. Una delle tante risposte si potrebbe trovare proprio su TikTok, nel fenomeno del meta-cringe, che ha come obiettivo quello di creare consapevolmente disagio e imbarazzo in chi guarda. Se una volta la nuova frontiera della provocazione era l’ugly chic, ora è arrivato il momento del cringe-chic. L’ugly chic, il fratello maggiore intellettuale e ironico, il Nanni Moretti della moda, è nato convenzionalmente con Miuccia Prada nel 1996, con una collezione di tailleur dai colori tappezzeria e sandali bassi con calzini. Nasce come superamento della concezione borghese di buon gusto e ha l’obiettivo di riformulare con ironia i canoni estetici e la concezione stessa di eleganza. Il cringe-chic si addentra invece in una zona più paludosa in cui ironico e serio si fondono e in cui il disgusto, tipica reazione provocata dall’ugly-chic, si tramuta in fastidio strisciante. Seppur derivative, le due estetiche sono vicine nelle intenzioni anche perché, diciamocelo, cosa c’è di più brutto dell’imbarazzo, della vergogna e dei ricordi di quando si era adolescenti e con gusti rozzi sventolati con orgoglio?
Addio allora all’ironia di Prada e addio anche ai collant da segretaria sofisticata (o da donna misteriosa che va a letto alle nove e mezzo, dice il New Yorker) come quelli visti nell’ultima sfilata di Miu Miu. Bentornati invece ai leggings, i cugini di provincia che speri di vedere solo alle feste obbligate e che invece ti ritrovi all’ombrellone di fianco al tuo. Ed è proprio il re dei leggings, quello che tutti speravano di non vedere mai più – ovvero quello a fantasia galaxy – il più amato dalla Gen Z. Sempre su TikTok, svariati utenti consigliano abbinamenti e outfit per sfoggiare il leggings galaxy e mentre li osservo mi chiedo se siano ironici o se davvero li trovino belli. Ma poi mi dico che non è la domanda corretta. Perché questa ironia dell’ironia che conduce all’assenza totale della stessa e questa ambiguità tra serio e ironico portano a non voler più chiedersi se un contenuto è serio o meno, ma a domandarsi solamente se quello che vedo mi piace o no.
All’inizio dell’anno, il New York Times ha pubblicato un pezzo con una lista di cose che forse, in futuro, considereremo cringe. L’articolo è interessante in qualità di esercizio: provare a immaginare i limiti di questo fenomeno e quanto potrà ancora intaccare e plasmare la moda. Perché le mille stratificazioni, ironiche e non, che caratterizzano il linguaggio internet della Gen Z, e le informazioni e i significati che si mescolano e si uniformano tra loro, si riverberano nella moda e in scelte stilistiche incomprensibili ai più. Anche se ennesima prova dei ritmi ridicoli con cui si riciclano stili e mode, forse il leggings galaxy e, più in generale, il cringe-chic potrà avere il merito di condurci verso la superficialità che la moda dovrebbe rivendicare nuovamente. Verso il diritto a non dover essere esplicitamente impegnata e seria, per mantenere invece con sofisticazione un’apparente assenza di contenuto che, come in più cose della vita di quanto siamo propensi ad ammettere, diventa il contenuto stesso.