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Gwyneth Paltrow è la Wanna Marchi di Hollywood?

La parabola di una ex brava attrice che è stata appena multata per aver venduto uova vaginali pericolose.

di Silvia Schirinzi

Gwyneth Paltrow al party per il lancio di Goop a Dallas, il 20 novembre 2014 (Layne Murdoch Jr./Getty Images for Goop)

Se penso a Gwyneth Paltrow, ci sono delle immagini piuttosto precise che mi vengono in mente: la prima è il suo abito rosa di Ralph Lauren agli Oscar del 1999, così etereo e iconico (mi si perdoni il termine) da meritarsi una sua pagina Wikipedia), seguita a ruota da quella di Margot Tenenbaum mentre fuma una sigaretta: il bob biondo fermato dalla mollettina, la pelliccia e la Kelly di Hermès al braccio, la linea di eyeliner incorniciata dalle lentiggini, ma anche la Lacoste a righine azzurre e il babydoll color carne. La ricordo accanto a Brad Pitt ai tempi della loro relazione, tra il 1995 e il 1997: la mia Gwyneth preferita, con il caschetto corto e quell’allure minimal che oggi le influencer tentano goffamente di riprodurre su Instagram. Mi ricordo pure Sliding Doors, perché quando è uscito avevo dodici anni e mi piacevano gli Aqua (sì, lo confesso) e nel film c’era l’unica canzone seria della loro memorabile carriera, Turn Back Time. Nel video, che era e resta piuttosto imbarazzante, c’era anche lei, che di quegli anni rappresentava il meglio: la giacca di pelle nera, i maglioni a collo alto, quel caschetto! Non potevo certo immaginare che solo qualche anno prima, l’attrice fosse già incappata nelle molestie di Harvey Weinstein, dalla cui spirale l’aveva salvata proprio Pitt, come ha raccontato recentemente.

Crescendo l’ho persa di vista, diciamo così, ritrovandola solo molti anni dopo come guest star di Glee – sul cui set ha conosciuto il nuovo marito Brad Falchuk, tra l’altro – e poi nella saga degli Avengers, dove compare nei panni di Virginia “Pepper” Potts, fidanzata storica di Tony Stark/Ironman. Vederla apparire sullo schermo è sempre una sorpresa, soprattutto perché ormai Gwyneth Paltrow, più che un’attrice che presta il suo volto, è Gwyneth Paltrow, e nessun altro. È una cosa strana, questa particolare trasformazione che può derivare dalla celebrità, tanto più quando succede agli attori. Alcuni li ricordiamo per i loro ruoli più significativi, altri perché sono camaleontici, altri ancora per la loro vita spericolata o, al contrario, per la loro riservatezza: esiste però una speciale categoria fra di loro, e cioè quelli che trascendono il proprio mestiere diventando un vero e proprio marchio di fabbrica. Paltrow ne è l’esempio perfetto.

Ma quand’è che G.P., come la chiamano i suoi dipendenti e come la apostrofa Taffy Brodesser-Akner nel suo spassosissimo ritratto uscito lo scorso luglio per il New York Times Magazine, ha smesso di essere “solo” un’attrice ed è diventata qualcos’altro? La decisione di smettere di recitare, dice lei nell’intervista, è stata piuttosto naturale: «Mi ero stancata di avere così poco controllo su tutto», alludendo anche alle complicazioni del rapporto con Weinstein. Ma una prima manifestazione concreta di quanto le cose fossero cambiate l’abbiamo avuta nel 2014, quando G.P. e Chris Martin hanno annunciato il loro “conscious uncoupling”, concetto elaborato dalla terapeuta ed esperta di dinamiche familiari Katherine Woodward Thomas al posto del più comune divorzio. E se Woodward Thomas, in un’intervista al Guardian dello scorso aprile, dice di aver compreso le ragioni dell’ondata di scherno seguita all’annuncio, Paltrow non si è mai lasciata scalfire dalle nostre battutine invidiose, né è rimasta rinchiusa nel cliché della star eccentrica. Al contrario, ha cavalcato quel risentimento e ci ha costruito sopra un impero nella forma del famigerato sito Goop, che oggi vale 250 milioni di dollari, riuscendo nella mirabolante impresa di vendere un lifestyle elitario (il suo) come qualcosa di abbordabile anche per i comuni mortali.

Brad Pitt e Gwyneth Paltrow alla consegna degli Oscar il 25 marzo 1996 a Los Angeles (Kim Kulish/Afp/Getty Images)

Sulla carta, anzi sulla mail, Goop era nato molto prima: per essere precisi nel 2008, come un’innocua newsletter che Gwyneth scriveva dalla cucina di casa per assecondare la sua passione “nell’indirizzare” gli altri verso le ultime novità, e in cui dispensava consigli piuttosto generici di wellness, meditazione, un pizzico di new age e qualche ricetta salutare. Niente di paragonabile a quello che Goop sarebbe poi diventato, tanto più dopo l’incontro, sempre nel fatidico 2014, con Elise Loehnen, ex editor con il pallino del benessere. E cioè un vero e proprio ricettacolo di santoni e venditori di stranezze, splendidamente confezionato, dove si possono acquistare, oltre a vestiti in stile ricca ereditiera degli Hamptons e costosi prodotti beauty, uova di giada da inserire nella vagina per ricavarne i più svariati benefici, olio di serpente e stickers da applicare sul corpo per “bilanciarne” le energie e polverine Moon Juices da sciogliere nello smoothie mattutino (per i curiosi: qui The Cut ha raccolto i casi più eclatanti). Ma anche guardare un tutorial culinario può essere insidioso su Goop, soprattutto se lo chef dichiara che dopo «aver seguito per molti anni la medicina convenzionale» che lo ha fatto solo ingrassare, ha trovato altrove l’elisir di lunga vita, a conferma di una più generale attitudine anti-scientifica che dimostra, se non altro, che si potrebbe fare Rousseau con un minimo di senso estetico.

Le diavolerie di Goop sono state smentite praticamente da tutti: dalla Nasa, che sugli stickers fatti dello stesso materiale delle tute degli astronauti ha avuto qualcosa di ridire, dal Council of Better Business Bureaus, non proprio convinto degli effetti salvifici delle Moon Juices, e dal TINA (TruthInAdvertising.org) fra gli altri, che ha diffidato Paltrow più volte per pubblicità ingannevole. Le uova vaginali di Shiva Rose, poi, le sono costate ultimamente ben 145.000 dollari di sanzione civile per aver diffuso informazioni false: no, non danno orgasmi migliori né regolarizzano il ciclo mestruale, al massimo vi regalano una bella infezione batterica, dicono gli esperti su Donna Moderna.

E pensare che solo qualche mese fa si era tirata indietro alla richiesta degli editor di Condé Nast, con i quali ha collaborato per l’edizione cartacea di Goop, di pubblicare solo consigli e teorie del benessere che avessero un qualche riscontro scientifico. «È stato bello lavorare con Anna Wintour, ma in Condé Nast le cose si fanno ancora, comprensibilmente, alla vecchia maniera», aveva dichiarato all’annuncio dell’ennesimo divorzio consapevole. Poi è dovuta correre suo malgrado ai ripari: al posto della pletora di guru da fare invidia al Mago Do Nascimento di Wanna Marchi e Stefania Nobile, infatti, ora Goop farà ricorso solo a esperti certificati e avrà, per la prima volta da quando esiste, un fact-checker. Il che significa, nella pratica, che continueranno a vendere le uova di giada, ma non potranno attribuire loro poteri miracolosi se non il piacere, quello legittimo, di infilarsele dove un* preferisce.

Eppure G.P., come tutti i provocatori di oggi, politici o celebrity che siano, non ha fatto altro che approfittare di qualcosa che già c’era, ovvero quella sete di “altro” – altro dalla scienza, altro dalla politica, altro dalla moda – della nostra epoca. «Conosco donne che sono state etichettate dai loro medici come pigre, negligenti, depresse o pazze. Ci si può davvero sorprendere che abbiano iniziato a cercare aiuto da chi non le accusava di inventarsi tutto?» scrive a un certo punto Brodesser-Akner. D’altronde, spiega con ironia l’autrice, ci siamo lanciate sul benessere quando abbiamo deciso di boicottare l’idea che, per essere felici, bisognava avere tutto: famiglia e carriera. «[Il wellness] è stato un modo di ri-orientare noi stesse, non eravamo più al servizio di nessuno ed eravamo le uniche destinatarie delle nostre cure». Che poi abbiamo scelto le uova di G.P. per farlo, in realtà, dice più di noi che di lei.