La mitizzazione di Goliarda Sapienza ha raggiunto l’apice

Dopo L'arte della gioia di Valeria Golino arriva Fuori, film di Mario Martone, con la stessa Golino protagonista, presentato a Cannes: siamo nel picco della "Sapienza Fever".

20 Maggio 2025

Succede spesso, in Italia: a un certo punto, per nostra stessa sorpresa, la scrittrice (o regista, o artista) che abbiamo snobbato più o meno gravemente, viene accolta con entusiasmo all’estero, e allora ecco che la “scopriamo” anche noi, e la celebriamo con rinnovato e sfacciato entusiasmo, senza alcun imbarazzo, senza neanche chiedere scusa, anzi rivendicando orgogliosamente la sua italianità. La doppia fortuna di Elena Ferrante è stata di assistere a questo processo da viva e da anonima: oltre a godere personalmente dei frutti del suo successo, ha evitato e continua a evitare di sorbirsi la sua faccia di ragazza spiattellata ovunque e accompagnata dai titoli stucchevoli degli inserti letterari dei quotidiani. Goliarda Sapienza è stata doppiamente sfortunata. Tre anni prima che l’edizione Einaudi del 2008, con quella rassicurante immagine di donna in bianco e nero distesa sulla copertina, trasformasse L’arte della gioia in un long-seller, la casa editrice francese Viviane Hamy lo scopriva e lo pubblicava – copertina rossa con faccia di ragazza dell’autrice – con sorprendente successo di pubblico e di critica. Mentre era in vita, però, del suo romanzo Sapienza vide pubblicate (gratis!) soltanto le prime 100 pagine dalla casa editrice Stampa Alternativa, grazie agli sforzi del marito Angelo Pellegrino. Morì due anni dopo, nel 1996, a 72 anni.

Il modo in cui Sapienza venne snobbata è difficile da giustificare, anche perché lei, al contrario di Ferrante, la faccia ce l’avrebbe messa volentieri, ed era una bella faccia, magari già intravista da qualcuno al cinema o a teatro grazie ai suoi ruoli di attrice, e abbastanza nota nell’ambiente culturale italiano, compagna per 17 anni del regista Alessandro (Citto) Maselli e poi moglie dello scrittore Angelo Pellegrino, ora curatore delle sue opere. Il suo romanzone L’arte della gioia aveva tutte le caratteristiche di un best-seller, e le parti che oggi, col senno di poi, potremmo considerare passibili di censura, non erano in realtà più trasgressive di quelle di altri libri pubblicati nello stesso periodo. Come si evince dall’ intervista della Rai del 1994, per la serie di documentari Soggetto Donna, anche quando parlava, Sapienza era carismatica e generosa: si vede che moriva dalla voglia di raccontarsi e raccontare, ed è triste pensare che non abbia potuto godere il meritatissimo (e desideratissimo) successo mentre era in vita.

«In America sicuro avrebbero fatto un film su quel mio processo… Anche umoristico», dice nell’intervista, riferendosi alla vicenda che oggi vediamo effettivamente trasformata in film da Mario Martone. Fuori, presentato al Festival di Cannes e in arrivo nelle sale italiane il 22 maggio, racconta un’esperienza che Goliarda Sapienza romanticizzò per tutta la vita, trasformandola in un libro, L’Università di Rebibbia: essere arrestata e trascorrere 5 giorni nel carcere di Rebibbia (un po’ come Massimo Pericolo col suo primo album, Scialla Semper: lui però, almeno, nel carcere di Varese, 4 mesi se li è sorbiti). Ma forse essere una vera scrittrice è anche questo: trasformare un’esperienza di 5 giorni in un modo nuovo d’intendere la vita e la società. A giudicare dalla sua biografia era abbastanza plausibile che nel 1980 Goliarda Sapienza avesse bisogno di soldi, e decidesse quindi di rubare dei gioielli a casa di un’amica benestante, ma c’è chi crede che quel furto fosse stato commesso di proposito per farsi arrestare e vivere l’esperienza del carcere.

La sua importantissima madre, sindacalista e attivista, da lei definita «intelligente più di un uomo», era finita in carcere per motivi politici e pare sostenesse che se nella vita non si conosceva l’esperienza carceraria o il manicomio non si poteva dire di aver vissuto realmente. E Sapienza poteva certo dire di aver vissuto, perché nel suo libro autobiografico Il filo di mezzogiorno, pubblicato nel 1969 (e trasformato in spettacolo teatrale da Mario Martone nel 2021) afferma di aver tentato il suicidio due volte, e aver subito altrettanti ricoveri psichiatrici e elettroshock, per poi approdare, per tre anni, all’analisi freudiana. Se oggi possiamo leggere le sue meravigliose pagine, però, è perché decise di mollare l’analisi e utilizzare la scrittura come forma di auto-terapia: cosa che se nel novantanove per cento dei casi si dimostra essere un’idea del cazzo (posso confermarlo), per lei funzionò benissimo.

Goliarda Sapienza ha tutti i requisiti per diventare un’eroina della “sad girl literature”: la famiglia caotica (genitori entrambi vedovi i cui figli avuti dai precedenti matrimoni, uniti, erano in totale 10), la madre importante ma anaffettiva (Maria Giudice, prima donna dirigente della Camera del Lavoro di Torino: non la fece andare a scuola per farla crescere libera), la bellezza, i tentati suicidi, la galera (solo cinque giorni, ok, ma non fissiamoci su queste inezie), i ricoveri in psichiatria, la bisessualità, la sfiga di diventare un mito soltanto dopo essere morta. Il suo capolavoro L’arte della gioia è il sogno di ogni scrittrice: un romanzo di formazione, anzi, di auto-creazione, che ha per protagonista una scammer geniale al cui cospetto Tom Ripley dovrebbe inchinarsi, e una storia che ruota tutta intorno alle donne. Scritto interamente a mano, in una lingua accessibile e comprensibile da tutti ma anche liberissima, magica e caotica, coraggioso nel trattare la morte, l’amore, il desiderio (nei confronti degli uomini ma soprattutto delle donne), erotico e violento ma anche tenerissimo. Un libro che avrei voluto leggere da ragazzina, e non da adulta: in quanti modi mi avrebbe aiutato!

Ora, nel 2025, in un intelligente gioco di specchi, a interpretare Goliarda Sapienza nel film di Mario Martone c’è Valeria Golino, che è anche la regista della splendida serie tv L’arte della Gioia, uscita su Sky e Now nel 2024 in concomitanza con il centenario della nascita della scrittrice e celebrata ai David di quest’anno. La serie è divina in ogni dettaglio, dalla colonna sonora ai costumi alle scenografie al cast, in cui spiccano l’incredibile bambina Viviana Mocciaro, anni undici, e la magnetica Tecla Insolia, giustamente premiata con un David di Donatello come Miglior Attrice Protagonista. Su TikTok gli occhi blu fintissimi e sensualissimi della badessa Jasmine Trinca (per non parlare dei suoi denti…) sono diventati oggetto di venerazione (nei commenti qualcuno li dichiara capaci di indurre in tentazione anche la donna più eterosessuale del mondo), ma si trovano anche gli adorabili scleri di Valeria Bruni Tedeschi nei panni della principessa Brandiforti. Esattamente come nel caso dell’amica geniale, la serie non ha deluso le fan del libro, anzi: se mai le ha invogliate a rileggerlo. Ora attendiamo di vedere il film di Martone, con Elodie e Matilda De Angelis nei panni delle amiche carcerate di Goliarda. E se anche dovesse avere dei difetti, non importa: ormai la Goliarda Sapienza Fever è all’apice, e noi sad girl ce la godiamo.

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