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I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.

La rischiosa abitudine dei Golden Globe

I vestiti sempre brutti, i siparietti brillanti, i telefilm sopravvalutati: l’importante è sospendere l’incredulità, come ogni anno.

12 Gennaio 2016

Ogni anno torna in mente il nome di alcuni giornalisti italiani che, in quanto stampa estera negli Stati Uniti, votano per i Golden Globe, e dunque ci si ricorda che non bisognerebbe prendere troppo sul serio quelle sferette dorate. Finisce che comunque li si guarda, li si commenta, li si posta (stavolta meno, il day after ci si è svegliati con la morte di David Bowie). Lo si fa un po’ perché va così da sempre, e non vorremo mica cambiare le abitudini, un po’ perché si confida nella civiltà altrui che ci ha appena raccontato Checco Zalone: esisterà pure un giornalista norvegese che sa l’inglese, vede i film e vota assennatamente.

Va poi sempre come da previsione per ogni annata che dio manda in terra, senza alcun margine di sorpresa. Ci sono i monologhisti irriverenti, come scriveranno poi i commentatori, che aprono lo spettacolo: anche stavolta c’era Ricky Gervais, che ha irriverentemente (appunto) citato el Chapo e Caitlyn Jenner e le fregole sulla parità di salario a Hollywood. Ci sono i vestiti sempre brutti, i siparietti brillanti, i globi a film scarsi, i telefilm premiati che sono sempre i più sopravvalutati (quest’anno Mr. Robot, miglior serie drammatica) ma che al contempo fanno sentire gli americani ogni volta un po’ più colti, e se glielo dice qualche europeo o terzomondista sono ancora più contenti. C’è sempre la stessa roba, ma i Golden Globe cadono così strategicamente, nel pieno della cosiddetta Awards Season (“stagione dei premi”, tradotto per la nostra stampa a Los Angeles) e a pochi giorni dall’annuncio delle candidature ai successivi premi Oscar (questo giovedì; la cerimonia sarà il 28 febbraio), da meritarsi tutti i fondi, i blog, i tweet, la fashion police di questa terra.

L’importante è sospendere per qualche ora l’incredulità, dimenticare che in passato sono stati candidati ai Globe titoli ignobili

L’importante è sospendere per qualche ora l’incredulità, dimenticare che in passato sono stati candidati ai Globe titoli ignobili pur di aver garantito un buon red carpet. Nulla batterà il caso The Tourist, nominato come miglior film commedia/musical (la doppia categoria – l’altra è «drama» – e di conseguenza il doppio numero di star candidabili spesso a muzzo è un altro dei nonsensi del premio) e per le interpretazioni di Johnny Depp e Angelina Jolie. Che, siamo tutti d’accordo, bastano da soli a rendere rilevante qualunque tappeto rosso, ma The Tourist era, senza troppi giri di parole, un film di merda.

L’importante è sospendere l’incredulità, dimenticare che quest’anno Lady Gaga ha vinto come «miglior attrice in una miniserie o film tv» per il tremendo American Horror Story: Hotel, maledetto il giorno che Hollywood ha incontrato Ryan Murphy. La signorina è volenterosa, ha detto nel discorso di ringraziamento che il suo sogno era fare l’attrice e non la cantante/autoinstallazione, ma si capisce che il premio vale più per le foto e i titoli generati a catena che per il vero contributo alla storia della televisione, altrimenti da noi Manuela Arcuri avrebbe dovuto vincere tutto.

2016 InStyle And Warner Bros. 73rd Annual Golden Globe Awards Post-Party - ArrivalsLa Awards Season comincia in realtà molto prima della notte dei globi d’oro, inizia esattamente il giorno dopo la consegna degli Oscar, come da noi con Sanremo: «L’anno prossimo lo condurrà ancora lei? Cambierà qualcosa nel regolamento? La cartolina del Comune di Sanremo verrà svecchiata con dei filtri di Instagram?», viene puntualmente domandato al carloconti di turno a nemmeno dodici ore dalla finale. Così, un attimo dopo che l’Academy ha tolto i segni con lo scotch dal palco del Dolby Theatre, la cavalcata riprende. Ci sono dei matti dell’Internet, gente che io stimo moltissimo, che attaccano fin da allora con le loro prediction sui film dell’inverno successivo, molti dei quali ancora in post-produzione ma già teoricamente candidabili sulla base di dati di produzione, caratura del nome di registi e attori coinvolti, e via così. Ci sono luoghi della rete (vedi la sezione Premi del sito di Indiewire, e le moltissime altre analoghe) che non dormono mai, vengono aggiornati ogni giorno pure a Pasqua e Ferragosto. Poi giunge il Festival di Cannes a corroborare le ipotesi più fondate (quest’anno è successo con lo splendido Carol di Todd Haynes), quindi la Mostra di Venezia sempre più scarsa ma in grado di sparare ancora qualche buona cartuccia (nelle annate passate Gravity e Birdman, a ’sto giro Spotlight), e poi arriva l’autunno, cadono le foglie e gli screener, ovvero le copie destinate ai votanti che finiscono piratate e da for your consideration di uno diventano consideratissime da tutti. Il ritardo della loro diffusione quest’anno, anzi, è stato il vero Nightmare before Christmas persino in Italia, dove fino a qualche anno fa un film non esisteva finché non lo doppiava Pino Insegno. Il 2015 sarà ricordato come l’anno dei lamenti sui social: «Caro Babbo Natale, quando ci sganci il torrent di Tarantino?».

Quel che è successo ai globi l’altra sera, e che con tutta probabilità sarà replicato agli Oscar tra un mese, ormai lo sanno pure i sassi. Leonardo DiCaprio ha vinto come miglior attore (drammatico) per aver sventrato in Revenant – Redivivo la carcassa di un cavallo e averla quindi usata per dormirci dentro, come fosse il Pisolone. Vincerà anche l’Oscar, così sospirato e parodiato negli anni da costargli una terribile punizione: la gente si sta già preparando a commentare «finalmente ha vinto, ma per la più inutile delle sue interpretazioni: vuoi mettere The Wolf of Wall Street?». Il rischio è che Revenant vinca pure come film, e che lo stesso accada al regista Alejandro González Iñárritu (vedi doppietta agli ultimi Globe), e questa è una vera disgrazia: Iñárritu ci aveva appena convinto di saper girare un film spassosissimo come Birdman (doppio Oscar a film e regia l’anno scorso) e ora torna agli intensissimi silenzi e magagne esistenziali, con in più pelli di bisonte marce e salmone mangiato crudo direttamente dal ruscello, sempre dal povero DiCaprio: cosa non si fa pur di mettersi un Oscar in bagno.

NBCUniversal's 73rd Annual Golden Globes After Party - ArrivalsSe l’anno scorso la sensation della stagione era stato il roscio inglesino Eddie Redmayne, vincitore per La teoria del tutto (stavolta sarà sicuramente candidato di nuovo: dopo Stephen Hawking diventa trans nel pastrugno The Danish Girl, al prossimo giro probabilmente farà il canarino Titti per guadagnare un’altra nomination), nel 2016 la novità sono le femmine. A vincere l’Oscar come protagonista (ha già strappato il globo drammatico) sarà quasi sicuramente Brie Larson, mammina contritissima nel claustrofobico Room. Il nome da noi suona maluccio ma lei è brava, anche più in passato (Short Term 12, invisibile in Italia) che ora. Però sta chiusa in una stanza e non c’ha nemmeno il pesce crudo, l’impegno le va riconosciuto. Ma il vero talk of the town è Alicia Vikander, svedese (la Scandinavia! Checco Zalone!), fulgida promessa da due-tre stagioni e, da quando si è fidanzata con Michael Fassbender, presa ancor più in considerazione da Harvey Weinstein e compagnia di giro. Fa la moglie della trans in The Danish Girl e l’androide innamorato in Ex Machina, ai globi si è presa la doppia nomination e c’è chi dice potrebbe accadere pure agli Academy Award.

I matti dell’Internet non smettono di predire il futuro di Hollywood dalle loro stanzette del Minnesota. «E se gli incassi di Star Wars sparigliassero la candidature a miglior film?»… «E se trionfasse l’outsider che mette d’accordo un po’ tutti come il modestissimo Argo di Ben Affleck qualche anno fa?»… «E se invece arrivano le cavallette nel pieno della cerimonia e Leo non vince l’Oscar manco stavolta?». Basti come risposta il mezzo sorriso di Sylvester Stallone, Golden Globe come non protagonista per Creed – Nato per combattere, ovvero l’ennesimo sequel (affatto brutto) di Rocky. I colleghi non l’hanno manco candidato ai premi del sindacato (gli Screen Actors Guild Award), lui per contro ha vinto quello della stampa straniera e si beccherà una sicura candidatura agli Oscar. Dev’essere la beffa di un qualche giornalista norvegese, lo dice pure Checco che a quelli non li freghi.

Immagine di copertina: Iñárritu e DiCaprio posano con i globi vinti per Revenant (Kevin Winter/Getty Images); nel testo: Sylvester Stallone all’after party del The Beverly Hilton Hotel (Frazer Harrison/Getty Images), Kate Winslet allo stesso after party  (Matt Winkelmeyer/Getty Images).
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