Attualità | Stati Uniti
Giovani, carini e trumpiani
Tra le tante sorprese riservate dalle elezioni americane, una è stata particolarmente sconvolgente: la scoperta che la Gen Z americana, e in particolare i maschi, è di destra.
È inizio agosto, e il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump siede di fronte a una telecamera nel lusso della sua residenza a Mar-a-Lago, Florida. Al suo fianco, un giovane uomo bianco diventato ricco e famoso facendo streaming di videogiochi. Spilla a stelle e strisce al bavero della giacca, cappellino che grida “Make America Great Again”, Adin Ross dà il benvenuto a Trump per un’intervista in diretta di fronte a quasi seicentomila spettatori, principalmente maschi bianchi tra i 18 e i 29 anni, la cosiddetta Generazione Z.
«Tante delle persone che ci guardano possono votare per la prima volta», esordisce Ross, 24 anni, milionario nel conto in banca e nel conto dei follower sui social. «Voglio che sia molto chiaro a tutti che tu sei un grande essere umano, e voglio che ti rivolga alla telecamera per spiegare perché è importante votare e votare per te«.
«È una questione di sogno americano», risponde Trump. «Voi non avete il sogno americano. Noi renderemo questo Paese così grande che quando entrerete nel mondo del lavoro troverete un lavoro fantastico, guadagnerete tanti soldi come Ross e anche di più, amerete la vostra vita e avrete successo già a una giovane età».
La promessa di prosperità ha convinto: tra i dati chiave delle elezioni presidenziali appena concluse negli Stati Uniti c’è proprio lo spostamento a destra della Generazione Z. Rispetto al 2020, Trump ha ridotto il divario di consensi tra il Partito Repubblicano e quello Democratico nella Generazione Z in maniera significativa: 43 per cento degli under 30 ha preferito Trump quest’anno di contro al 36 per cento di quattro anni fa. È distinguendo tra elettori maschi e femmine che si chiarisce il motivo del trend: se solo il 37 per cento delle elettrici tra i 18 e i 29 anni ha votato per Trump, il candidato repubblicano ha raccolto i voti del 49 per cento dei coetanei uomini, mentre Kamala Harris si è fermata al 47 per cento. Tra i giovani uomini che hanno votato per la prima volta, il consenso sale al 63 per cento.
«L’attrattiva di Trump è il messaggio che promuove in un momento in cui ce n’è disperato bisogno», mi ha detto uno di questi giovani uomini, il ventiduenne Tanner Egloff, vicepresidente della Federazione dei Giovani Repubblicani del Colorado per la zona che comprende Boulder, la città dove risiedo (e che ha espresso una netta preferenza per Kamala Harris). «Trump ci indica la via per tornare a un’America prospera che favorisce i suoi cittadini». Il riferimento è al tema dell’immigrazione, che Travier Craddock, coetaneo di Egloff e presidente dei Giovani Repubblicani della Contea di Boulder, definisce incontrollata e rea di danneggiare le opportunità per la sua generazione di trovare lavoro e crescere professionalmente. Poi l’economia: «I democratici passano il loro tempo a incasellare le persone in categorie», continua Egloff, «dimenticandosi che le persone sono persone, che tutti desideriamo le stesse cose e soffriamo a causa dei prezzi della spesa e della benzina. Gli uomini della mia generazione desiderano stabilità e normalità».
Ad alimentare l’ascesa di Trump a presidente degli uomini Gen Z è intervenuta la “dieta mediatica dei bro”: il consumo di contenuti online prodotti da personalità maschili di spicco – oltre ad Adin Ross, anche gli imprenditori Elon Musk e Dana White, il podcaster Joe Rogan, il comico Theo Von e gli YouTuber conosciuti come Nelk Boys – che rappresentano modelli di mascolinità forte e di successo e all’unanimità hanno scelto Trump come portavoce politico delle loro istanze.
Non si tratta solo dei temi caldi in questa tornata elettorale. In maniera più profonda e legata a quel sogno americano che ruota tutto intorno alla ricerca della felicità scolpita nella Dichiarazione di Indipendenza che l’America ha fondato, Donald Trump è apparso ai giovani maschi come l’unico volto della politica in grado di tendere loro la mano. È in lui che hanno trovato attenzione ai loro bisogni, desideri e speranze, in un momento in cui hanno l’impressione che per quelli come loro, la felicità sia sempre più inafferrabile.
Per chi, come la sottoscritta, si spende per i diritti e la libertà delle donne in una società occidentale tradizionalmente dominata dai maschi bianchi, può suscitare indignazione l’idea che un giovane ragazzo bianco, eterosessuale, cittadino di una ricca democrazia, i cui hobby sono Reddit, YouTube e i videogiochi, ritenga di trovarsi in posizione svantaggiata rispetto a immigrati, donne, afro-americani, ispanici, alla comunità Lgbtq+.
Ma se dovessi isolare un concetto su cui questa elezione presidenziale si è giocata, sarebbe la capacità di ascolto di segmenti della popolazione che la sinistra progressista non ritiene di dover aiutare, perché già privilegiati da un punto di vista razziale e di genere. Questa disattenzione è costata cara al Partito Democratico: proprio in virtù della mancanza di ascolto, questi segmenti della popolazione si sono rivelati decisivi per la vittoria di Trump.
Possiamo dibattere il merito delle loro recriminazioni, ma dobbiamo riflettere sulla sensazione dei giovani uomini americani di essere stati abbandonati rispetto alle comunità più storicamente marginalizzate. Grazie a conquiste fondamentali per la parità di genere, alle università americane si iscrivono e si laureano più studentesse che studenti. La partecipazione degli uomini al mercato del lavoro negli Stati Uniti è in continua diminuzione, così come la disponibilità di lavori manuali che non richiedono laurea, occupazioni tradizionalmente maschili. Dati federali stimano che un quinto dei giovani uomini laureati sono disoccupati e non cercano lavoro. Sempre più famiglie vivono del lavoro della madre come fonte di reddito unica o maggiore.
E poi c’è la sensibilità culturale che sta cambiando in una società che non può più permettersi di chiudere gli occhi di fronte a espressioni di razzismo, sessismo, misoginia e omotransfobia, perché anche quelle più subdole hanno conseguenze reali sulla ricerca della felicità di certi gruppi sociali. È iniziato così un contorto gioco a somma zero, per cui quasi la metà degli uomini americani tra i 18 e i 29 anni ritiene che ora le vittime di discriminazione siano loro. Si sentono soffocati dal politicamente corretto, demonizzati dalla sinistra, esclusi da slogan quali “il futuro è femmina” ed espressioni come “mascolinità tossica” per descrivere meccanismi di oppressione delle donne.
Egloff articola questo punto di vista: «I media e le fonti di intrattenimento dominanti trasmettono il messaggio che se sei un uomo bianco sei un oppressore, che i bisogni degli uomini bianchi sono stati sempre soddisfatti, quindi non devono più essere soddisfatti. Questo messaggio non funziona per i maschi della Gen Z». Impegnato politicamente nella vita analogica, Egloff non ha bisogno di rifugiarsi online per trovare modelli ai quali ispirarsi, ma riconosce che tanti coetanei lo fanno proprio perché non trovano alternative. L’impressione è la stessa anche da sinistra: «I giovani maschi non hanno figure maschili forti a cui guardare che non siano di destra», sostiene Kate Kuisel, 23 anni, dottoranda in Storia all’Università della California a Berkeley ed elettrice democratica.
Mentre la sinistra progressista si concentrava su comunità storicamente marginalizzate, dall’ascensore del palazzo omonimo sulla Quinta Strada di New York è sceso Donald Trump. Su X è arrivato Elon Musk. Su Spotify ha preso il microfono Joe Rogan. Su Twitch si è messo al controller Adin Ross. Tutti uomini bianchi, tutti paradigmi di successo dai quali prendere ispirazione, tutti maschi forti irriverenti e politicamente scorretti, la cui ascesa è stata possibile non malgrado l’irriverenza, ma grazie a essa. Modelli dall’attrattiva irresistibile con un chiaro messaggio per i giovani uomini in crisi d’identità: non solo ti permetto di essere come sei, ma ti dimostro anche che puoi abbracciare ciò che sei senza paura, vergogna e rimorsi e andare comunque lontano nella direzione del sogno americano, alla ricerca della felicità.
«È l’individualismo americano: questi uomini vogliono passare in testa», ha commentato Lydia Mathews, 25 anni, come Kuisel dottoranda in Storia a Berkeley ed elettrice democratica. Mathews e Kuisel convengono che il Partito Democratico ha fallito la comunicazione con i loro coetanei maschi. Secondo Mathews, «i democratici hanno dato per scontato che l’uguaglianza dei diritti sia un concetto su cui tutti gli elettori convergono. Devono spiegare in maniera più chiara perché questi temi sono importanti, perché poi non vuoi che i movimenti progressisti si dimentichino di prendersi cura di chi è veramente marginalizzato».
È ai piedi di questa montagna che le elezioni presidenziali statunitensi del 2024 ci hanno lasciato. Come può la sinistra progressista ascoltare anche i giovani maschi senza rinunciare all’impegno per le comunità più storicamente marginalizzate? Quel che è chiaro, è che rispondere a queste elezioni raddoppiando la distanza da chi ha reso possibile la rielezione di Donald Trump – la reazione, comprensibile, della bolla progressista a cui appartengo – sarebbe, com’è già stato, un fatale errore strategico.
Foto di Jason Connolly/Afp via Getty Images.