Abbiamo incontrato la scrittrice per parlare di Terrestre, raccolta di racconti che ha definito come «il lato b di L’invincibile estate di Liliana», il libro con cui ha vinto il Pulitzer.
«Mentre scrivevo il mio esordio (De brug over de Tara, 1994), avevo un appunto sul computer con la parola “distanza“. Per poter scrivere, ho dovuto prima fare qualche passo indietro rispetto a tutto ciò che avevo vissuto in due anni come corrispondente di guerra nei Balcani. Come un pittore davanti a una tela bianca. Ho preso in prestito da Kapuściński questo metodo di distanziarmi, preferibilmente nel tempo e nello spazio». Basta questo breve stralcio nell’introduzione alla raccolta The Portable Kapuscinski per capire l’idea di giornalismo di Frank Westerman. Autore olandese tra i più apprezzati della non-fiction europea, nei suoi saggi-reportage parte sempre da domande e spunti personali per tentare di padroneggiare poi grandi questioni universali.
Nel suo ultimo libro, Bestiario Artico (pubblicato in Italia da Iperborea, nella traduzione di Francesco Panzeri), basandosi sulle avventure dell’esploratore polare Willem Barents, Westerman attraversa la regione artica, una zona che sta subendo una significativa trasformazione a causa del cambiamento climatico e delle crescenti tensioni tra Russia e Occidente. Attraverso il racconto di sette animali autoctoni del luogo, lo scrittore olandese intreccia storia, geografia e diari di esplorazione del XVI secolo con le trasformazioni ambientali, geopolitiche e culturali del presente. Come già visto in Pura razza bianca (2013) con i cavalli lipizzani alla corte imperiale asburgica, l’autore finisce per indagare i confini tra umano e animale, etologia e la logica antropocentrica, scienza e natura.
Lo abbiamo così intervistato in occasione della terza edizione di MIP, il Mondo in periferia, il Festival del giornalismo di esteri e di comunità previsto dal 23 al 25 ottobre 2025 nei quartieri di Corviale e Torpignattara a Roma.
ⓢ Partiamo dal suo ultimo libro pubblicato in Italia, Bestiario artico. Aveva già in mente questa struttura specifica?
Per il primissimo schizzo avevo in mente un arco, o una cupola. Il Polo Nord come il tetto del nostro pianeta, disabitato dagli esseri umani, ma non privo di vita animale. Gli esploratori olandesi, alla fine del XVI secolo, partirono per circumnavigare la Siberia alla ricerca di una via più breve dall’Europa all’Asia e si imbatterono nel ghiaccio solido, nelle difficoltà e nelle volpi polari, orsi polari, renne, oche e balene… Quando ho intrapreso il mio viaggio per il mio bestiario artico, la Via della Seta Artica — come viene chiamato il Passaggio a Nord-Est — si era ormai completamente aperta. Così non ho avuto soltanto una struttura nello spazio, ma anche due momenti definitivi nel tempo (oggi e quattro secoli fa) tra cui muovermi.
ⓢ Willem Barents compare più volte in questo libro. Cosa rende questo esploratore così interessante?
La fama di Barents nei Paesi Bassi è immensa. È considerato un eroe marittimo tragico, poiché lui e il suo equipaggio furono costretti a costruire un rifugio con i resti del loro vascello, il Cigno Bianco, e a sopportare la lunga notte polare — tre mesi consecutivi di oscurità — all’estremità settentrionale della Novaja Zemlja, dove Barents morì nella primavera del 1597. Solo dodici esploratori sopravvissero, remando e navigando verso la Russia su una scialuppa di salvataggio aperta. Il loro diario divenne un bestseller in tutta Europa (l’edizione italiana uscì a Venezia nel 1599). Mentre la maggior parte dei Paesi si prendeva gioco di quel fallimento olandese, “noi” ne facemmo un’epopea nazionale, celebrando il loro coraggio, la loro resistenza e il loro spirito di scoperta. Così Barents divenne il Colombo dei ghiacci, raffigurato nell’arte, nella letteratura, nei libri di testo scolastici e in un celebre disegno che li mostra mentre combattono un orso polare con le loro alabarde… Da bambino avevo un puzzle con quella scena.
ⓢ Nel libro ha citato diversi modelli di bestiario, quello medievale, quello di Cortázar, così come Il libro degli esseri immaginari di Borges. Ma mi ha colpito il fatto che tu abbia menzionato il libro Il processo degli animali contro l’uomo di Ikhwan al-Safa, in cui i rapporti tra umani e animali vengono capovolti. Cosa l’ha colpita in particolare di questo libro, scritto nel X secolo?
Il reportage è anche lettura. Si può scavare negli archivi, scendere in stretti cunicoli di biblioteca, analogici o digitali, con una luce legata alla fronte, per così dire. Ero alla ricerca della prospettiva degli animali. Come “videro” Barents e il suo equipaggio gli orsi polari, le pulcinelle di mare o i trichechi? Possiamo liberarci dallo sguardo umano? Nelle favole si parla quasi sempre degli esseri umani (alla fine). Un testo come Il processo… è diverso, perché rappresenta uno dei primi tentativi di prendere le parti degli animali (sottomessi, domestici) in un’aula di tribunale. Anche gli “houyhnhnm” nei Viaggi di Gulliver offrono una magnifica prospettiva su ciò di cui noi, gli “yahoo”, siamo capaci. In definitiva, non si scrive mai partendo da zero, non si vive mai nel vuoto.
ⓢ L’idea che la natura sia essa stessa cultura è sempre stata presente nei suoi libri, ma in quest’ultimo lavoro sembra essere al centro della scena. Qualcosa ha cambiato la sua prospettiva?
Non proprio. Cioè, è cambiato durante il mio viaggio: mentre scrivevo Bestiario artico, ho evidenziato le carenze di Cosa si prova ad essere un pipistrello – il saggio di Thomas Nagel. Quindi, invece di dare la parola agli animali, lasciarli parlare (come ne La fattoria degli animali) o parlare a loro nome (come ventriloqui in un’aula di tribunale), credo che nella saggistica si dovrebbe stare molto attenti a non dire sciocchezze. Il massimo che si possa fare è cercare di vedere chiaramente nello specchio quello che gli animali mostrano a noi umani.
ⓢ Le attuali problematiche geopolitiche si riflettono anche nell’Artico. Qual è la situazione attuale? È in corso un nuovo conflitto?
Il nuovo Grande Gioco si svolge nell’Artico, con il coinvolgimento di tutte le superpotenze. Nel capitolo dedicato alle renne ( 41 esemplari furono presi in ostaggio dai russi dopo aver attraversato la nuova Cortina di Ferro dalla Norvegia, alla fine del 2023) ho cercato di mettere in luce l’assurdità del gioco di potere in corso. A mio avviso, gli esseri umani sono creature piuttosto patetiche, e queste 41 renne riflettono in modo superiore la nostra follia — i norvegesi pagarono un riscatto per ottenerne la liberazione, dopodiché il pastore e proprietario Sami le portò direttamente al macello.

ⓢ Quale metodo usa per costruire i suoi reportage? C’è un processo diverso per ogni storia o varia ogni volta?
Credo che la forma sia essenziale. Il “come” (racconti la storia) è sempre più importante del “cosa” hai da raccontare. So che questo va contro l’intuizione di molti. In letteratura è una visione abbastanza comune, ma nell’arte del reportage non lo è affatto. Eppure, se non vuoi che la tua storia anneghi nel mare delle storie già esistenti, devi trovare una struttura solida che la mantenga a galla. È qualcosa di più che scegliere un punto di vista, un’angolazione. E la cosa bella è questa: nella vera prosa (o nel vero giornalismo) la sperimentazione è un campo piuttosto sterile, quindi ci sono ancora moltissime forme originali da portare alla luce.
ⓢ Quando descrive un particolare ambiente, preferisce fare ricerche e documentarsi in modo approfondito in anticipo oppure cerca di andare oltre lo schema prestabilito e lascia che sia il luogo stesso a guidarla?
Ci sono sempre almeno due viaggi. Il primo è quello a piedi, in barca o in bicicletta — non importa il mezzo — in cui si esce e si raccolgono esperienze, intuizioni, fatti. L’altro viaggio è quello in cui ci si siede e si scrive. Ed è il più insidioso dei due: si può scivolare e cadere. Portare un testo a compimento è la vera sfida. Non serve una giacca in Goretex, non serve sparare con un fucile (come feci io insieme a mia figlia alle Svalbard), ma il viaggio della scrittura richiede molto più impegno, molta più attenzione.
Amo entrambi i viaggi, ma, sinceramente, le mie emozioni scorrono più profonde quando scrivo piuttosto che quando mi trovo a Capo Nord a contemplare il Mare di Barents.
ⓢ Nel corso degli anni, ha scritto diversi saggi. È corretto affermare che il reportage narrativo è ormai un genere riconosciuto? E quali caratteristiche specifiche dovrebbe avere?
Io la chiamo prosa. Vera prosa. Esiste anche il “crime”, come genere. Nella maggior parte delle librerie e biblioteche c’è uno scaffale a parte per il “true crime”. Pensiamoci: quale romanzo distopico può superare le realtà distopiche del nostro tempo? Il reportage, come forma d’arte, si è ormai affermato da tempo. La reporter Svetlana Aleksievič ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura (non per la Pace) nel 2015. Ciò che serve affinché una vera narrazione sia letteratura ha a che fare con lo stile e soprattutto con la forma. Ogni opera letteraria possiede una certa forma di obliquità — che sia allegorica o metaforica. È come il giocatore di biliardo che deve usare le sponde invece di colpire direttamente l’altra palla.
ⓢ Come riesce a bilanciare letteratura e narrazione? E come riesce a bilanciare le esperienze personali con quelle degli altri?
Credo di fondere tutto. Preferisco un dialogo a un’intervista. Fare entrambe le cose insieme (per esempio catturare e mangiare un granchio reale in Norvegia per contribuire a fermare l’avanzata di una “specie invasiva”) apre prospettive nuove e inaspettate. Vedo l’impegno come qualcosa di positivo per un reporter, quindi mi lascio coinvolgere (Per I soldati delle parole mi sono iscritto a un corso di due settimane in un’accademia di polizia per essere formato come negoziatore con i terroristi — solo dopo aver fallito nel convincerli a deporre armi o bombe, cominci a comprendere un po’ della debolezza delle parole…). Le parole, le storie o l’arte in generale non sono intrinsecamente benevole. Tuttavia, la letteratura ti invita a vedere o a vivere le cose dal punto di vista dell’altro. In questo senso, alleniamo costantemente il nostro “muscolo” dell’empatia, senza il quale la convivenza sarebbe impossibile…
ⓢ Qual è stata la sfida più grande come giornalista nel corso degli anni, viaggiando attraverso diversi Paesi e culture?
È sempre il libro attuale. Quello su cui sto lavorando in quel momento. Le cose potrebbero crollare da un momento all’altro.
La miniserie in quattro parti, presentata a Venezia e appena arrivata su Netflix, non dà la caccia a un colpevole né prova a risolvere il mistero. Si concentra sulla confusione, l'angoscia, la violenza e sulle vittime, soprattutto le donne.
