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Anche la Jugoslavia di Tito aveva incluso il diritto all’aborto nella Costituzione

Si sta giustamente parlando moltissimo della riforma con la quale la Francia ha fatto dell’aborto un diritto affermato e garantito dalla Costituzione: «La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria della gravidanza», recita ora l’articolo 34 della Carta, la cui modifica è stata approvata dal Parlamento con 780 voti favorevoli e 72 contrari (ampiamente superata la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea necessaria per approvare le modifiche alla Carta). Tutti i giornali del mondo stanno raccontando la Francia come il primo Paese al mondo a inserire il diritto all’aborto nel dettato costituzionale, ma in realtà un precedente c’è già.

Pur non avendolo fatto in maniera altrettanto esplicita, nella  Jugoslavia di Tito era riconosciuto e tutelato il «diritto umano di decidere liberamente per ciò che riguarda la procreazione». Era una parte, questa, della Costituzione jugoslava del 1974, la terza e ultima riscrittura della legge suprema della Repubblica socialista federale. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, tutti gli Stati balcanici che sono venuti dopo hanno adottato leggi simili in fatto di aborto, implicitamente proteggendo il diritto di scegliere e la libertà di abortire della donne. La differenza tra la Jugoslavia e la Francia sta proprio in quell’avverbio, “implicitamente”: la formulazione della Costituzione jugoslava lasciava degli spazi interpretativi che quella della nuova costituzione francese invece non lascia.

Non lo lascia per una scelta precisa del Presidente Macron e del Primo Ministro Attal. Quest’ultimo, dopo il voto del Parlamento e l’approvazione della riforma, ha commentato dicendo che la politica francese aveva «un debito morale nei confronti di tutte le donne. […] Abbiamo l’opportunità di cambiare la storia». Il premier ha dedicato questa vittoria politica a Simone Veil, ex ministra della Salute francese, femminista che nel 1975 portò avanti la battaglia per la legalizzazione dell’aborto. «L’abbiamo resa orgogliosa», ha detto Attal.