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In Food for Profit ci sono tutti i modi sbagliati di fare ambientalismo oggi

Nelle intenzioni di Giulia Innocenzi, il documentario sull'industria della carne dovrebbe essere un film di denuncia. Il risultato è, invece, un manifesto populista.

di Ferdinando Cotugno

Di Food for Profit, il documentario della giornalista Giulia Innocenzi e del filmmaker Pablo D’Ambrosi sugli allevamenti intensivi, possiamo dire due cose. La prima è grazie, per aver portato nel dibattito pubblico un argomento che fa così fatica ad arrivarci. L’industria della carne è un rimosso della conversazione ecologica contemporanea, spunta in ogni crisi ambientale, dall’inquinamento in Pianura Padana al riscaldamento globale, ma il settore ha un’innata capacità di scaricare la pressione su altro – le automobili, le centrali a carbone, le aziende oil&gas – perché il piatto è uno specchio, la caldaia a gas no. Invece prima o poi dobbiamo parlare in modo organico degli allevamenti intensivi come dell’enorme problema ecologico che sono, quindi bene gli incassi discreti di Food for Profit, il passaparola, gli eventi, la proiezione in Parlamento. La seconda è grazie, di nuovo, per essere un perfetto carotaggio del rigetto anti-ecologista. Food for Profit è un’infografica di novanta minuti sui motivi per cui l’ambientalismo sta diventando politicamente radioattivo. Dopo anni di corteggiamenti, inviti, palchi, nel 2024 ogni attivista si trova a essere detestato qualunque cosa faccia o dica, ogni volta che apre bocca si avvicina il momento in cui verrà rimessa in vigore pure la caccia alla megattera, così, per sfregio. Tanto è andato storto, dagli scioperi del 2019 di Fridays for Future in poi, un piano inclinato fatto di sfortune (pandemia, guerre, crisi energetica, inflazione) ed errori difficili da individuare. Poi esce Food for Profit, e all’improvviso è tutto chiaro: ecco perché ci odiano. Perché siamo così.

Il documentario di Giulia Innocenzi può essere visto come una serie di giusti motivi per diventare vegani, ma anche come una serie di consigli su come non fare comunicazione politica nel 2024. A una proiezione di questa settimana Innocenzi ha pubblicato la foto di una pecora in sala. «Ieri la pecora Giulia (si chiama come me!) ha guardato il film con attenzione e voleva persino fare una domanda!!!». È solo un post riuscito male (e sommerso di polemiche vegane, per altro, perché le pecore non vogliono essere macellate, ma nemmeno andare al cinema, pare), ma è anche la spia di questa infantilizzazione della complessità che sta soffocando le ragioni dell’ecologia, facendoci sembrare tutti degli imbecilli a cui non affideresti nemmeno un agriturismo, figurarsi la nuova rivoluzione industriale.

Food for Profit è un lungo servizio delle Iene spacciato per documentario, in cui i cattivi col volto oscurato vengono inseguiti sotto casa con la telecamera ed esposti alle loro malefatte, dentro una società in cui non esistono corpi intermedi, sfumature, modi adulti di articolare il discorso, niente, c’è solo la giornalista solitaria in missione contro le multinazionali e le istituzioni, che sono tutte corrotte, sempre, comunque. Per questo metodo di giornalismo, tutto il mondo è Gotham City. Buoni contro cattivi. Non esiste contesto, esistono solo giustizieri. Food for Profit è un cinecomic giornalistico in cui ci affidiamo agli occhi e al microfono di Giulia Innocenzi, sempre in primo piano, per sgominarli tutti. E lei percorre mezza Europa per bussare alle porte degli allevamenti, mostrare le immagini raccolte dagli attivisti in incognito e chiederne conto puntando il dito sulle fotografie.

Lo sfruttamento animale è una catastrofe e quegli allevamenti sono bombe sanitarie ed ecologiche, ma quello che vede uno spettatore non già radicalizzato è la giornalista laureata alla LUISS che va a tormentare poveri cristi vestiti male con gli stivali sporchi di fango nelle aree agricole d’Europa, facendosi insultare e talvolta pure inseguire di notte. Ogni sequenza del genere di Food for Profit è l’escursione fuori dalla Ztl dell’animalismo Ztl: non è politica, è turismo politico. Nel film ovviamente ci sono le traumatiche immagini delle condizioni degli animali negli allevamenti: ma YouTube è già pieno di antologie di bovini picchiati, montagne di polli lasciati a marcire, maiali terrorizzati, il cammino di autocoscienza di ogni persona che diventa vegana o vegetariana a un certo punto passa da lì. Quello che Food for Profit potrebbe aggiungere è il contesto, la complessità, un pensiero su come si fa questa transizione proteica su scala europea, una cosa così complessa da far sembrare la decarbonizzazione dell’energia davvero un’assemblea di condominio. Quello che invece Food for Profit aggiunge davvero è la continua soggettiva alla Michael Moore di Innocenzi, come se Moore non avesse fatto già abbastanza danni e fosse ancora il 2009. Guarda me, guarda la mia sete di giustizia, guarda come li metto tutti a nudo.

Il film inizia con Ursula von der Leyen che nel 2019 annuncia il Green Deal e Innocenzi che commenta guardando il monitor: smaschererò tutto. Da lì in poi non viene fatta nessuna differenza tra due livelli molto diversi. Il primo è la Politica agricola comune dell’Unione Europea, che eredita la lunga e sbagliata storia di favoritismi verso le grandi industrie e l’ossessione per la produttività. Il secondo è il Green Deal, che invece è frutto di questo ciclo politico nato dopo l’onda dei movimenti per il clima del 2019 e che oggi è l’obiettivo di ogni populismo reazionario in vista delle elezioni di giugno. Il Green Deal sarà anche imperfetto, ma è anche il piano climatico più ambizioso tra quelli reali del mondo reale. Non è Ursula Le Guin, ma è tutto quello che abbiamo, e siamo disperatamente aggrappati a questo piano, ora che l’onda anti ambientalista sta salendo e rischiamo di vederlo smantellato pezzo dopo pezzo tra pochi mesi. Questa settimana è stata affossata la legge sul ripristino della natura, c’è stata una giusta sollevazione di ambientalismo e scienza perché rischiamo di perdere uno strumento fondamentale contro il degrado degli ecosistemi, ma quella legge che ci stiamo piangendo è lo stesso Green Deal che in Food for Profit viene raccontato come una grande truffa ai danni della Terra contro cui solo Giulia Innocenzi può proteggerci.

Lo stile da Iene turba l’estetica, non ci aspettavamo Herzog ma nemmeno Brumotti, ma il guaio politico principale di Food for Profit è il suo populismo anti-europeista. Attraverso quel racconto un po’ lisergico fatto di travestimenti e video rubati, nel Parlamento di Gotham City di Innocenzi non ci sono partiti, sfumature, idee che si contrappongono, faglie e famiglie politiche che si combattono con opposte visioni del mondo, esistono solo ladri (letteralmente) di polli, un’istituzione di impostori che manipola la volontà del popolo genuinamente ambientalista. Il punto è che non c’è tanta differenza tra questa idea e l’Unione Europea vista attraverso gli occhi di no-euro o no-vax. Non si tratta di difendere le istituzioni europee a prescindere, sono piene di problemi, ma sono anche l’unico luogo che abbiamo per affrontare temi su una scala così vasta. O quello o la secessione dal mondo degli orti biodinamici, per esportare il modello Ztl anche in campagna. Tra due mesi e mezzo ci sono le elezioni, Food for Profit suona come un giusto invito a riconsiderare le proprie scelte alimentari individuali, ma sotto ce n’è un altro più subdolo. Se continuiamo a dire che le commistioni di potere economico e politico non si risolveranno mai, che ogni istituzione è marcia e piena di ladri sociopatici, allora quel giorno di giugno uno può decidere che è meglio andarsene al mare. E non ci sarebbe danno più grave.