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Cucina botanica è qui per salvarci (senza insistere)

Il segreto del libro di ricette, già caso editoriale, è l'atteggiamento pacato della sua autrice: una vegana che non odia chi mangia carne.

di Clara Mazzoleni

«Stasera facciamo le kale chips. Dividiamo il cavolo nero, in questo modo. Condiamo con sale e olio. Aggiungiamo i semi di sesamo, stendiamo su due teglie e inforniamo a 160 gradi, forno ventilato, per circa 25 minuti». Non ci vuole un genio per preparare un “piatto” del genere, così come non dovrebbe volerci del genio per spiegarlo. E allora perché solo dopo aver visto le stories di Cucina botanica mi decido ad acquistare, per la prima volta nella mia vita, un cavolo nero (e dei semi di sesamo)? E non solo: mi metto addirittura a prepararle, e non succede niente di strano (o normale, nel mio caso: dipende dai punti di vista). Non bruciano, non fanno schifo, il cavolo nero non marcisce dimenticato nel frigorifero perché non ho voglia di mangiarlo, abituata da decenni a una rigida dieta a base di toast, tramezzini del supermercato, bastoncini Findus e barrette Kinder. Anzi. Le kale chips, nella loro semplicità, sono buonissime, croccanti. Tra le ricette pubblicate sul profilo di Cucina botanica scelgo le più facili, a prova di idiota, quale io sono. Le patate al forno. La pasta al pesto con i pomodorini. Il farro con le verdure. Piatti che la maggior parte delle persone non ha certo bisogno di farsi spiegare passo per passo. Grazie ai video su Youtube, alle stories e da poco anche al libro di Carlotta Perego sto riuscendo, per la prima volta nella mia vita, a preparare dei piatti che mangio con gusto, perché, incredibilmente, sono anche buoni, nonostante li abbia cucinati io. La cosa davvero sorprendente è che, a quanto pare, non sono l’unica persona sulla terra ad aver bisogno di una spiegazione dettagliata per organizzare un barattolo di granola per la colazione. Lo dimostrano i numeri: 361mila follower su Instagram, un libro che a poche settimane dall’uscita è già un caso editoriale. Tutti pazzi per Cucina botanica, vegani e non. Com’è possibile?

Il primo segreto del suo successo è la semplicità. Ci vuole del talento per essere così comprensibili e proporre piatti così buoni e facili. Sarà anche che siamo in lockdown e abbiamo più tempo e voglia di cucinare. Ma a fare davvero la differenza, è l’idea di proporre e promuovere un’alimentazione esclusivamente vegetale senza mai denigrare chi mangia carne e ostentare di essere dalla parte giusta. Non sorprende scoprire, leggendo le interviste a Carlotta Perego – spuntano ovunque come funghi – che la maggior parte dei seguaci di Cucina botanica sono onnivori (lo sono anch’io). Molto probabilmente, ancora per poco. È questo il secondo segreto, l’inclusività.

 

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I video di Carlotta Perego hanno uno strano potere rasserenante, così come il feed del suo profilo Instagram. La cucina semplice, pulitissima e piena di piante, i suoi capelli naturalmente rossi, sempre perfettamente in piega, i maglioncini e le magliette dai colori neutri (nero, beige, grigio), la sua voce vellutata, confortante. Carlotta è sempre calmissima e pacata, non conosce picchi o movimenti improvvisi, non si sbilancia più di tanto sulla sua vita privata, se non per confessare che in passato ha sofferto di disturbi alimentari. Nata a Monza nel 1993, è vegana da quando aveva 19 anni. Si è laureata in Design alla Naba di Milano, e per qualche tempo ha lavorato nel settore merchandising per Ermanno Scervino. Un lavoro che, lo dice spesso, non faceva per lei. Decide allora di licenziarsi e trasferirsi a Los Angeles per frequentare PlantLab, la scuola dello chef-star vegano Matthew Kenney. Le propongono di insegnare lì ma dopo un po’ la scuola chiude: lei torna in Italia e apre il canale Cucina Botanica. È la storia che ha raccontato qualche giorno fa in diretta da Antonella Clerici, su Rai1, ottima da riutilizzare come messaggio motivazionale del tipo: “molla tutto e insegui i tuoi sogni”.

Carlotta è l’esatto contrario dello stereotipo del vegano radicale, quello che a ogni occasione ti aggredisce ricordando a te, onnivoro, quanto sei crudele e fai schifo. Lei ti fa un lavaggio del cervello graduale, tenue, dolcissimo, sussurrato, una specie di ipnosi. Sfogli il libro con le immagini golose delle ricette, le belle illustrazioni della verdura, le spiegazioni semplici. Ti sorbisci tutte le stories in cui gioca con il suo cane Fiocco. E senza quasi accorgertene, ti ritrovi a guardare uno dei documentari che consiglia, Earthlings, e a riflettere sul fatto che se Joaquin Phoenix, l’uomo più figo del mondo, è vegano, vorrà dire qualcosa. Poi, improvvisamente, senza neanche capire come e perché, eccoti a piangere davanti a Dominion. In alcune storie recenti, Carlotta ha taggato e “pubblicizzato” Masterchef (cosa che nessun vegano farebbe, considerato che è un programma in cui si consumano in continuazione prodotti di origine animale) esprimendo il suo desiderio di una puntata interamente dedicata alla cucina vegetale. Senza prediche né pipponi, Carlotta si infiltra nelle vite di noi onnivori, e pianta il seme del suo messaggio con gentilezza e senza fretta: prima o poi crescerà.

Secondo il Financial Times, il 2020 è stato l’anno del cane. Durante il lockdown, cani e gatti sono stati la nostra salvezza. Chi non ne aveva uno, ha fatto in modo di procurarselo. Vogue Italia ha dedicato agli animali il numero di gennaio, The Animal Issue. Quello degli animali domestici è sempre stato un cavallo di battaglia dei vegani: che differenza c’è tra un micio e una mucca? Perché uno lo coccoliamo e l’altra la massacriamo? Il 2020 è stato anche l’anno in cui, per colpa della pandemia, abbiamo imparato che, se proprio dobbiamo, siamo capaci di stravolgere completamente le nostre abitudini. Il 2021 potrebbe essere l’anno perfetto per smettere di mangiare carne.