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Per evitare il prossimo Coronavirus bisogna vietare il commercio di selvaggina?

Tra i tanti interrogativi che stanno emergendo in questi giorni di confusione a proposito del nuovo Coronavirus c’è anche quello sollevato da Rachel Nuwer sul New York Times: se la trasmissione del virus agli uomini in Cina è dipeso dal loro stretto e poco igienico contatto con il mondo animale, non sarebbe meglio che questo contatto venisse ridotto o persino eliminato per evitare il prossimo virus? D’altronde non è neppure una novità: anche le epidemie più recenti, quella di SARS e quella di MERS, erano scoppiate a partire dal contagio dell’uomo da parte di animali. Motivo per cui nella diffusione di quest’ultimo virus (mercato del pesce, pipistrelli o pangolini che siano) i più prudenti vedono una lezione da tenere a mente: se vogliamo prevenire un’epidemia trasmessa dagli animali, bisogna farla finita con il commercio di animali vivi.

È un tema di cui si è parlato anche in Cina, che nelle parole di Nuwer è «il fulcro del commercio illegale» di selvaggina. Lo scorso mese il governo centrale di Pechino ha stabilito un divieto nazionale (ma solo temporaneo) al commercio di animali; divieto che include il loro trasporto e la loro vendita nei mercati, nei ristoranti e tramite le piattaforme online. Intervistato dal Nyt, l’esperto di politica interna cinese Peter Li ha spiegato che molti cittadini cinesi sono arrabbiati perché «hanno capito che il commercio di selvaggina ha ancora una volta causato una crisi sanitaria nazionale», e perché «un piccolo numero di commercianti continua a tenere in ostaggio l’intero paese».

I mercati di selvaggina, osserva Nuwer, sono dei laboratori particolarmente adatti alla diffusione di nuove malattie: quando gli animali sono stressati tendono a spargere di più i virus, e sono al contempo più suscettibili a infezioni. Senza tener conto del fatto che le casse in cui vengono rinchiusi sono spesso una sopra l’altra, a stretto contatto: l’igiene di quei luoghi, insomma, è ampiamente sotto i requisiti minimi. È anche per questo motivo che alcuni esperti si sono schierati a favore di un divieto nazionale e permanente del commercio di animali vivi: senza questo divieto, secondo loro, il prossimo Coronavirus sarà solo una questione di tempo. Ma le posizioni in merito sono più d’una. Per Peter Daszak, Presidente della EcoHealth Alliance, basterebbe monitorare le specie più pericolose; altri sostengono invece che un divieto di questo tipo sia non solo non necessario, ma soprattutto non praticabile.