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Il 5 novembre esce l’autobiografia di Flea dei Red Hot Chili Peppers sui suoi anni selvaggi

Quella di Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers, non è un’autobiografia come le altre. «Completamente non istruito», come si definisce nel suo Acid For the Children in uscita il 5 novembre, ha iniziato a scrivere per la prima volta dopo essersi rotto il braccio in cinque punti per un brutto atterraggio con lo snowboard nel 2015. Compulsivamente, «scrivevo come un matto, ma non sapevo dove sarei arrivato con le parole», ha dichiarato al New York Times. Perché se «a volte le rockstar scrivono questi libri per riconquistare un certo pubblico, Flea lo ha fatto per illuminare il suo passato. Chi è e soprattutto chi è stato», ha spiegato il ghost writer David Ritz, che ha apportato all’autobiografia il suo contributo editoriale.

In origine, Flea pensava avrebbe raccontato solo la storia della band, e invece fino a pagina 375 (di un volume che ne conta 383), della band non vi è quasi traccia. Tutto, anzi, si conclude appena dopo la notte che ne segnò il successo, quando al Grandia Room di Hollywood lui e i suoi compagni di scuola, Hillel Slovak, Jack Irons e Anthony Kiedis, si esibirono per la prima volta. Acid For the Children è la storia della sua infanzia, di tutto quello che c’è stato prima quando vi erano solo «violenza, droghe e avventure quotidiane», come riporta il Guardian. Flea ha diviso il libro in brevi e bruschi capitoli, ricreando lo stesso ritmo cui ci ha abituati con il suo basso. Dopo aver descritto le percezioni dei primi anni a Melbourne (dove Flea è nato Michael Peter Balzary), la sua voce si sposta ai sobborghi di New York, in cui è cresciuto privo di regole. Fu allora che le cose divennero ancora più instabili, quando sua madre si innamorò di un musicista jazz travagliato, Walter Urban Jr, strano, violento, dotato di una forte sensibilità bohémien.

«Erano gli anni ’70, e noi vivevamo nel seminterrato dei suoi genitori a Larchmont. Mi alzavo alle 12 e andavo a letto alle 4:00, incontrando durante le giornate ogni tipo di essere umano. Pazzi, uomini spaventosi, musicisti come Walter che mi trasmise l’intensità del suo modo di suonare». E poi la casa a Hollywood, l’erba fumata ogni giorno, e quel soprannome basato sulla sua natura irrequieta e sulla bassa statura. Fin dalla prima infanzia, scrive, «ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse in me, che tutti gli altri fossero legati a una sorta di coscienza di gruppo da cui io ero escluso. La droga mi ha fatto accedere al mio subconscio, mi ha fornito le risposte»; fino alla completa disintossicazione nel 1993, nella quale Kiedis ha avuto un ruolo centrale. Molte pagine sono infatti dedicate alla loro profonda amicizia, descritta come «la mia più duratura storia d’amore», prefigurata nei momenti dolorosi, negli anni del liceo e nei campeggi improvvisati in riva al fiume. «La decisione di fermarsi al 1983 è stata un’idea di Flea ed è stata la scelta giusta», ha detto Ritz al New York Times. «Potremmo avere di fronte un grande scrittore americano», come è diventata Patti Smith che in prefazione al testo ha scritto: «La provvidenza gli ha assegnato uno strumento. Nelle sue mani è diventato voce».