Fare l’intellettuale a Sabaudia

Un libro, uscito quest'estate, ripercorre il ruolo di una città ambigua, fascista nell'architettura e selvaggia nella natura, che non ha mai smesso di attrarre celebrità e vip.

14 Agosto 2025

Da un lato un promontorio imbevuto di mitologia, dall’altra parte una città disegnata da architetti razionalisti. In mezzo, tra San Felice Circeo e Sabaudia, lunghe dune di sabbia, tanto vento e molte zanzare, vegetazione mediterranea, onde di un mare selvaggio. Negli anni questa bellezza aspra e sfrontata è diventata meta e ritrovo anche di artisti e intellettuali. Circa cento chilometri a sud di Roma, non ben collegata con la città, quest’area è preservata dal Parco Nazionale del Circeo che tutela e impedisce venga sfigurata. Tra i più affezionati a questi luoghi bisogna subito ricordare Alberto Moravia, con le sue celebri incursioni in pescheria, e Pier Paolo Pasolini, che condivideva la villetta con Moravia. Con amici e colleghi si ritrovavano qui a sistemare sceneggiature, chiudere romanzi, discutere soggetti cinematografici. A un distributore di benzina del Circeo Pasolini si procura anche una denuncia per tentata rapina a mano armata nel 1961 (sarà assolto per mancanza di prove). Intorno a Moravia e Pasolini, e a Dacia Maraini, gravitano Elsa Morante, Mario Schifano, Laura Betti, Lorenzo Tornabuoni, Bernardo Bertolucci, Enzo Siciliano. Ognuno è sedotto da un aspetto diverso della zona, il sorprendente esotismo, il silenzio ideale per leggere, la possibilità di incontri interessanti.

Ora c’è anche un libro, uscito questa estate, che restituisce bene le atmosfere di quelle cene, di quel fermento di idee sotto al sole e che ripercorre il ruolo di Sabaudia, città che non ha mai smesso di attrarre celebrità e vip, fino ai paparazzi che nelle estati più recenti fotografavano i Totti, le Fendi, registi e attori in cerca di visibilità. Il libro si intitola La vacanza degli intellettuali. Pasolini, Moravia e il circolo di Sabaudia (Utet). Interpellata nel libro di Paolo Massari, Dacia Maraini, per spiegare come dilagava l’interesse per questo tratto di costa, usa l’immagine del contagio: «Tornabuoni ha contagiato Moravia, che a sua volta ha contagiato Pasolini, che ha contagiato Laura Betti, che ha contagiato Schifano, che ha contagiato Bernardo Bertolucci e così via. Una catena legata alla bellezza del luogo e al respiro di un mare pulito e poco frequentato».

La cerimonia per la posa della prima pietra della futura città di Sabaudia – il nome è in onore dei Savoia come Littoria/Latina si chiamava così in onore del fascismo – avviene il pomeriggio del 5 agosto 1933. Mussolini ovviamente è presente. Da allora la città non fa che essere rivalutata e riletta, visitata e ammirata da Le Corbusier, oggi è traguardo di nuovi pellegrinaggi di appassionati di architettura razionalista. Già Pasolini si sente di doversi ricredere davanti allo stereotipo della città fascista: «Quanto abbiamo riso noi intellettuali sull’architettura del regime, sulle città come Sabaudia, eppure adesso osservando questa città, proviamo una sensazione assolutamente inaspettata: la sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo, il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere, diciamo così, tra metafisico e realistico». Che cosa è successo? Come fa una città fascista a sembrargli incantevole? Per Pasolini Sabaudia ha solo i caratteri esteriori del fascismo, che non sarebbe riuscito a scalfire la realtà italiana provinciale e rustica. 

Sabaudia e l’Agro Pontino, raccontati letterariamente da Antonio Pennacchi nel Canale Mussolini, sono anche uno sterminato set, dalle riprese di Scipione l’Africano ai film di Carlo Verdone. Il suo Compagni di scuola è girato proprio a Sabaudia, a Villa Volpi, imponente dimora iconica, neoclassica, eccentricamente affacciata sulla grande spiaggia (e già set di Divorzio all’italiana). Bertolucci e Ian McEwan tentarono di ritirarsi davanti al mare, col Circeo che al solito incombeva, per lavorare al film tratto dal romanzo di Moravia 1934, sebbene alla fine non se ne fece nulla. Marco Bellocchio è ospite di Laura Betti, Schifano inserisce Sabaudia nel suo film Umano, non umano del 1969.

In autunno saranno cinquant’anni dalla morte di Pasolini e del delitto del Circeo. Pochi giorni prima di essere assassinato, Pasolini scrive sul Corriere della Sera che il massacro sarebbe il risultato della società dei consumi alimentata dalla televisione, e mentre discute a suon di editoriali con Italo Calvino viene ucciso. Edoardo Albinati, che ha dedicato il suo romanzo La scuola cattolica, vincitore del premio Strega, al delitto del Circeo, interviene nelle pagine del libro La vacanza degli intellettuali per sottolineare la natura poco italiana di questo tratto del Lazio: «tra tutte le località di mare Sabaudia era quella più selvaggia, proprio per la sua conformazione, la grande duna, la spiaggia molto profonda e più o meno deserta. Essendo ventosa, e “aperta”, non somigliava al luogo tipico della vacanza italiana di quegli anni; piuttosto ispirava un senso di wilderness. E poi le case, queste ville costruite sulla duna avevano un che di californiano assai diverso da luoghi non troppo distanti». Per alcuni, come Schifano, la duna lì «è come l’Africa», Bertolucci paragona il centro storico di Sabaudia alla città proibita di Pechino, per Francesca d’Aloja l’ambiente è così poco tipico del nostro paesaggio che capita di aspettarsi «che prima o poi dalle acque possa sbucare un ippopotamo».

La montagna del promontorio, il lago di Paola con i ragazzi che praticano il canottaggio, il parco immenso e ombroso, le dune bollenti, ginepri e lecci a perdita d’occhio: era inevitabile che da Ulisse in poi tutti fossero stregati dalla magia di contrasti mozzafiato. C’è qualcosa di lugubre e di vitale in questo incrocio tra natura e architettura, un richiamo della preistoria a cui nessuno ha trovato il modo di resistere.

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