Mai come quest'anno abbiamo assistito a pubbliche manifestazioni di odio nei confronti dei turisti. Reazioni comprensibili a un problema che si fa sempre più grave, ma che non è così che risolveremo.
Questo è il primo articolo del nuovo numero di Rivista Studio, intitolato “Gran Turismo”. Lo trovate in edicola, nelle librerie selezionate oppure, più semplicemente, sul nostro store online.
Oltre a non esistere più le mezze stagioni, una delle nuove certezze su cui spesso capita di trovarsi d’accordo è che non esistano più neanche i voli low cost. Protagonisti della grande democratizzazione del settore turistico tra fine anni ’90 e inizio anni Zero, con nuove compagnie (Ryanair, Wizz Air, easyJet) dai nomi e loghi spesso più colorati e sexy delle classiche Lufthansa, Air France, Iberia, e aeroporti mai sentiti nominare prima (Orio al Serio), i low cost hanno segnato un’epoca in cui viaggiare era o sembrava facile come buttare giù un bicchiere d’acqua. Il collegamento a 39.90 € per un weekend a Londra chi non lo ha fatto una volta nella vita? Ora non è che siano fallite le compagnie o si siano chiusi gli aeroporti, ma offerte del genere sembrano sempre più difficili da trovare. Smanettare su Skyscanner è diventata una valida alternativa allo scrolling infinito, ma alla fine ne si esce quasi sempre con un commento sconsolato su quanto sia diventato costoso andare in Grecia, o su un volo per Palermo ad agosto caro quasi quanto uno per New York.
Airbnb, da utopia a distopia
Qualche tempo dopo quella grande rivoluzione disattesa, ne sarebbe nata un’altra con spirito, all’apparenza, altrettanto democratizzante. Parlo ovviamente di quella di Airbnb. Il sogno di andare a dormire a casa di qualcuno, possibilmente qualcuno che potesse somigliare a noi, a un prezzo decisamente inferiore di quello dei classici alberghi, con le comodità e le atmosfere da cittadini del mondo, ha avuto, come quasi tutte le disruption arrivate dalla Silicon Valley, la classica parabola da utopia a distopia. L’idea molto social di ospitare e farsi ospitare è tramontata abbastanza presto e sono bastati pochi anni per fare diventare queste case sempre più simili a dei piccoli alberghi, arredati spesso nello stesso stile (l’estetica AirSpace) e con costi paragonabili se non addirittura superiori a quelli della classica hospitality. Da qui la spinta data da Airbnb al classico investimento, il bilocale da comprare non più per metterlo in affitto, ma per metterlo sulla piattaforma. Poi l’atto finale, quello in cui Airbnb si è proprio trasformato in un nemico da combattere, identificato come causa principale dell’aumento dei prezzi del mercato immobiliare di molte città europee e di tutti i centri storici italiani, con qualche amministrazione (vedi Barcellona) che ha provato a correre ai ripari attraverso regolamentazioni più rigide, proteste di piazze e un neologismo che si affiancato al più storico gentrificazione: airbnbizzazione.
Tempo avverso
Un altro tassello da aggiungere al quadro è il climate change. Il riscaldamento climatico, che forse non ha (ancora) condizionato così profondamente il nostro modo di viaggiare come avrebbe dovuto, ma ha iniziato a instillare qualche senso di colpa nei ceti più riflessivi. Magari un weekendino a stagione in una capitale europea non è così necessario, cerchiamo di tenere bassa la nostra carbon footprint, non al punto, certo, da impedirci il viaggione intercontinentale, perché quello quando si può fare si fa, con buona pace dell’estinzione.
Ma allora si può dire che quell’idea di democratizzazione del viaggio che per una ventina d’anni è sembrata una certezza, negli ultimi anni ha mostrato un arretramento? Che il viaggiare sia tornato a essere un’attività esclusiva, elitaria? Sì e no, perché le tendenze e i dati dicono in realtà cose contrastanti. Nel 2024 (fonte UNWTO) il turismo è tornato per il 99 per cento ai livelli pre-pandemia del 2019: parliamo di 1,4 miliardi di arrivi. Una cifra enorme che da un lato si accorda bene all’immagine delle città italiane invase dal turismo, dall’altro è più difficilmente spiegabile se si guarda all’aumento costante dei prezzi (dei voli, dei ristoranti, degli alberghi) a fronte della nostra capacità di spesa rimasta invariata. La soluzione va forse trovata spostando lo sguardo lontano dall’Italia e dall’Europa. È aumentato, infatti, il turismo dai Paesi emergenti e impressiona, tra gli altri, un dato che riguarda i turisti cinesi, cresciuti da 10 milioni nel 2000 a 150 milioni nel 2019.
Il turismo degli altri
Forse da europei e da italiani (l’Europa accoglie oggi la metà del flusso turistico mondiale), dovremo rassegnarci all’idea che nel futuro saremo sempre meno turisti e sempre più mete turistiche. Ma ci potremo consolare con i social (se esisteranno ancora). Vagheggiando paradisi che non potremo permetterci. Coste mediterranee molto slow con case bianche e sdraio a righe, o trekking misteriosi nel Caucaso alla ricerca della pecora albina. Oppure potremo provare un liberatorio Fremdschämen guardando turisti che fanno cose assurde a casa nostra. Come le due ragazze che qualche settimana fa hanno pubblicato su TikTok un video in cui provavano l’Acqua Panna, convinte, probabilmente dopo traduzione automatica, che si trattasse di «cream water» e infine deluse dall’assaggio che rivelava trattarsi di semplice acqua. O come un’altra ragazza straniera che raccontava ai suoi follower la delusione per non aver trovato neanche l’ombra di un tè matcha a Palermo. I social sono pieni, del resto, di racconti della delusione di questo tipo. La Taormina così diversa da quella vista in White Lotus. La Costiera Amalfitana con troppe curve e troppo traffico e quel treno sgangherato chiamato Circumvesuviana.
Noi intanto potremo abbassare le nostra aspettative restando nelle vicinanze, facendo turismo a chilometro zero, consultando su Instagram una delle tantissime guide che hanno proliferato in questi anni, tipo i “5 posti dove fare il bagno a un’ora da Milano”, dove immancabilmente appaiono i Caraibi della Lombardia (trattasi invariabilmente dell’ansa di un fiume o di un lago). C’è sempre il rischio, però, di finire in code interminabili e di non trovare parcheggio o posto al ristorante, anche se non sei a Venezia. Ma il caos ormai rende l’esperienza degna di essere fatta perché ambita. Chiedere ai follower di Rita De Crescenzo, altrimenti detti “invasori di Roccaraso”.

È una parola vecchia che però sta tornando attuale per descrivere la straniante sensazione che tutti proviamo ormai da un pezzo: quella di dover continuare a funzionare come individui mentre il sistema attorno a noi crolla, tra guerre e crisi economiche.