Attualità

70 volte Venezia

Oggi comincia la 70esima edizione del Festival lagunare: una breve guida per capire cosa e chi tenere d'occhio (aspettando le uscite al cinema).

di Federico Bernocchi

Quest’oggi, mercoledì 28 agosto 2013, parte la 70° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Tra poche ore nella Sala Grande del Palazzo del Cinema del Lido di Venezia verrà proiettato il film d’apertura, ovvero Gravity di Alfonso Cuarón. La pellicola del regista e sceneggiatore messicano arriva a ben 7 anni di distanza dal suo ultimo film, I Figli degli Uomini, presentato proprio al Festival di Venezia del 2006 e che si portò a giustamente a casa l’Osella d’oro per la Miglior Fotografia di Emmanuel Lubezki. Cuarón, che ha cominciato a farsi notare con il divertente Y Tu Mama Tambien (anch’esso premiato a Venezia nel 2001), dopo un pericolosissimo film americano come Paradiso Perduto (che fortunatamente però ricordano in quattro), nel frattempo ha affinato maggiormente la tecnica. Gravity, come molto probabilmente saprete, racconta di due astronauti interpretati da George Clooney e Sandra Bullock che, come nel peggior incubo della sci-fi letteraria più pura, si trovano a vagare senza alcun appiglio nello spazio più profondo. Del film si sa ancora pochissimo, anche se si vocifera di una serie di piani sequenza azzardatissimi ed interminabili, di cui uno pare di ben 18 minuti. Coloro che saranno in sala avranno insomma di che stupirsi. Noi, che ingiustamente dobbiamo aspettare più di un mese prima di vederlo in sala, ci stupiamo di come sia stata scelta la Bullock per il ruolo di astronauta pasticciona, ma forse è più un problema di chi scrive. Gravity è fuori concorso, un evento speciale per celebrare l’inaugurazione della manifestazione – si spera – nel migliore dei modi possibili. Da domani invece si comincia a fare sul serio con il Concorso vero e proprio. Diamo un veloce sguardo ai titoli a nostro personale avviso più interessanti della competizione.

Driver ha avuto la fortuna, dopo una serie di apparizioni in film Tv o in piccoli cortometraggi, di essere scelto da Lena Dunham per una delle parti centrali della sua serie Girls

Cominciamo da Tracks dello statunitense John Curran. Il film è tratto da una storia vera: nel 1977, Robyn Davidson, una scrittrice australiana, attraversa più di 2700 chilometri di deserto con quattro cammelli e il suo cane. Il tutto è diventato poi un libro, Tracks, da cui è tratto il film. Ma il viaggio della Davidson è stato documentato anche dal fotografo Rick Smolan, con cui la donna ha avuto un burrascoso rapporto proprio durante l’avventura. Il soggetto insomma c’è, ed è anche piuttosto interessante. La sequenza che gira in rete, al contrario, sembra un estetizzante spot per un profumo. Ciò detto, l’aspetto che ci incuriosisce è il cast. La parte della protagonista è affidata alla brava Mia Wasikowska, attrice con il volto da bambina che abbiamo imparato a conoscere grazie all’orribile Alice In Wonderland di Tim Burton ma che poi abbiamo visto crescere grazie alle sue interpretazioni in titoli come Lawless di John Hillcoat o Stoker, film americano del coreano Park Chan Wook. La Wasikowska, che come detto ha un viso e una fisicità delicati e gracili, possiede una sua personale freddezza che la rende potenzialmente perfetta per la parte in questione. Va ancora meglio Adam Driver, l’attore chiamato a ricoprire il ruolo del fotografo Smolan. Driver ha avuto la fortuna, dopo una serie di apparizioni in film Tv o in piccoli cortometraggi, di essere scelto da Lena Dunham per una delle parti centrali della sua serie Girls. Da allora in tanti si sono accorti di questo ragazzo dalla faccia che sembra quasi disegnata dal nostro Gipi e dalla presenza scenica veramente potente. L’abbiamo visto in una piccola parte in Lincoln di Spielberg, lo vedremo nel prossimo film dei fratelli Coen Inside Llewyn Davis e in quello del reginetto del cinema indie Noah Baumbach, While We’re YoungTracks forse non ha dalla sua il miglior regista del mondo, ma ha un cast su cui è lecito puntare.

Come più volte detto dal direttore Barbera, il tema del Festival di quest’anno è la crisi e la provenienza greca di Miss Violence di Alexandros Avranas assume quindi un altro significato

Dalla Grecia arriva invece Alexandros Avranas con il suo secondo lungometraggio Miss Violence. La storia è quella di una ragazzina di undici anni che decide di suicidarsi proprio il giorno del suo compleanno, durante la festa organizzata dalla sua famiglia. La polizia indaga e, mentre i parenti della bambina insistono affinché il tutto venga archiviato come un banale incidente domestico, qualche scomoda verità comincia a venire a galla. Personalmente non conosco il cinema di Avranas ma Venezia sembra portare fortuna alla Grecia. Solo due anni fa è passato infatti dal Lido Alps, ultimo film di Yorgos Lanthimos uno dei registi personalmente più stimolanti e personali oggi in circolazione. E guardando il trailer di questo Miss Violence mi sembra di intuire che Avranas la pensa allo stesso modo. Il suo ultimo film richiama alla memoria, per stile e per atmosfere, Kynodontas, film del 2009 che ha fatto affiorare il talento di Lanthimos. Rapporti famigliari morbosi e instabili, coperti da un mare di ipocrisia, sottolineata da uno stile registico freddo e distante che spesso trascendere nella più scura dark comedy. In più, come più volte detto dal direttore Barbera, il tema del Festival di quest’anno è la crisi e la provenienza greca della pellicola assume quindi un altro significato.

L’attore James Franco porta al Lido il suo film Child of God – Figlio di Dio, tratto dall’omonimo e bellissimo romanzo di Cormac McCarthy. La storia è quella di un uomo, Lester Ballard, interpretato dall’inquietante Scott Haze, che si trova a vivere in una condizione di isolamento quasi forzato. Abbandonato dalla famiglia, sfrattato dalla sua terra, Lester diventa un vero e proprio outsider, un reietto della società che mano mano si trasforma in qualcosa di diverso da un normale essere umano. Lester perde progressivamente il contatto con quella società con cui tutti noi siamo abituati a fare i conti quotidianamente e si avvicina a uno stato primitivo. Ovviamente il fatto che il regista di un film tratto da un libro così complesso sia il bel James Franco è già motivo d’interesse ma non dimentichiamoci che McCarthy, dopo Non è Un Paese Per Vecchi e di The Road è uno degli scrittori venerati dalla Hollywood più intransigente. Un film sulla carta estremamente curioso che potrebbe regalare molte sorprese sia in negativo che in positivo.

Rimaniamo ancora negli Stati Uniti con Night Moves, ultima fatica di Kelly Reichardt. La regista è già stata a Venezia con il suo Meek’s Cutoff, curioso western con la brava Michelle Williams come protagonista. Il film, girato in 4/3, raccontava le sorti di una sfortunata spedizione avvenuta in Oregon nel 1845, basando gran parte del proprio fascino su un cinema volutamente passato, antimodernista. Un modo di fare coraggioso, in un certo modo realmente indipendente, che la Reichardt porta avanti da tempo: nel 2006 era stata la volta di Old Joy, il racconto di due vecchi amici (uno dei due con il volto di Will Oldham, aka Bonnie Prince Billy) che si ritrovano dopo anni per una gita tra le cascate dell’Oregon. Nel 2008 è la volta di Wendy And Lucy; qui ancora Michelle Williams tenta di raggiungere l’Alaska per cambiare vita, ma una serie di sfortunate circostanze le scompiglieranno i piani. Questo suo ultimo Night Moves ha un ottimo cast che comprende Dakota Fanning, Peter Sarsgaard e Jesse Eisenberg e racconta di tre ambientalisti che decidono – per motivi differenti – di far esplodere una diga idroelettrica. Come detto, il cinema della Reichardt è un cinema unico e radicale, che riesce realmente a dividere il pubblico in due gruppi ben distinti: chi lo ama e chi invece lo detesta.

Concludiamo questa breve guida alle visioni veneziane con il titolo personalmente più atteso: The Uknown Known. Il “noto ignoto” è un’espressione coniata da Donald Rumsfeld. Segretario della Difesa degli Stati Uniti sia durante la presidenza di Gerald Ford tra il 1975 e il 1977, sia sotto quella di George W. Bush dal 2001 al 2006. Quattro volte consigliere del Presidente e influente membro del congresso. La frase in questione è stata scelta come titolo dei cosiddetti Fiocchi di Neve, appunti presi da Rumsfeld stesso durante la sua vita, dal regista Errol Morris, il miglior documentarista vivente. Come già fatto per il suo The Fog of War sull’uomo Robert (Strange) MacNamara, Morris tenta di svelarci qualcosa di inedito su Rumsfeld, un uomo importante, estremamente noto, che ha deciso del destino di milioni di persone, ma che al tempo stesso è riuscito a rimanere misterioso e sostanzialmente inavvicinabile.

 

Immagine: il Leone d’Oro, il celebre premio del Festival del Cinema di Venezia (Marco Secchi / Getty Images)