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Perché le traduzioni dei menù sono sempre sbagliate

Emily Monaco, traduttrice culinaria di professione, ha scritto un ottimo articolo su Atlas Obscuraconfrontandosi con i suoi colleghi sparsi per il mondo. «Quando sono arrivata a Parigi», racconta all’inizio, «mi sono dovuta confrontare con uno strano problema: non riuscivo a capire i menù in inglese, anche se conoscevo già i piatti francesi. Da “chicken in her juice” a “chicken wok way” e “baba with old rum”, mi sembrava che le traduzioni alternassero doppi sensi osceni a composizioni totalmente surreali».

«È solo quando ho iniziato a tradurre menù di professione che mi sono accorta quanto questo lavoro sia difficile». Un esempio nell’immagine. La “Cigarette pie”, chiamata così per via della forma, in traduzione dà più l’idea di una torta a base di sigarette (non molto invitante, bisogna ammettere). Insomma, come sottolinea Monaco, la comicità involontaria di molte traduzioni non sempre è imputabile ai refusi (come sotto: “Lamp” al posto di “Lamb”) o agli errori di persone con abilità linguistiche limitate, ma può anche essere colpa di esperti traduttori. Tradurre correttamente il nome di un piatto, spesso, è praticamente impossibile. Nel suo articolo elenca le difficoltà, niente affatto banali, che si incontrano in quest’impresa.

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Un esempio: alcuni nomi di cibi o di piatti possono avere significati positivi in certe culture ma non in altre. I cubani adorano il ropa vieja (un piatto di vitello servito a striscioline che sarebbe da tradurre come “vestiti vecchi”). I messicani hanno invece i tacos sudados (letteralmente: tacos sudati), un concetto che molti potrebbero trovare poco invitante. «Gli alimenti sono spesso così specifici di una determinata cultura che è difficile tradurre l’idea in modo efficace», ha detto all’autrice Jim Beason, un traduttore con sede a Strasburgo. «È un po’ come tradurre la satira politica da un Paese all’altro: capisci le parole, ma senza lo stesso contesto culturale non è più divertente». Con i menù è praticamente il contrario, come dimostrano i commenti all’annuncio pubblicato da Atlas Obscura su Facebook, che chiedeva ai lettori di condividere esperienze di menù tradotti male.

Così Emily Monaco conclude la sua lunga riflessione (che Atlas Obscura ha illustrato con le riproduzioni delle traduzioni sbagliate più divertenti ricevute dai lettori). «La gamma dei menù è così ampia, là fuori, che alcuni sembrano ridicoli perfino ai madrelingua. Un traduttore di menù dev’essere un po’ come un traduttore di poesia: capace di manipolare la sfumatura culturale dell’originale e trasformarla in qualcosa che piacerà, incanterà, e delizierà i lettori stranieri. Perché una traduzione di menù venuta male è peggio di una brutta poesia».

 

Immagini realizzate da Atlas Obscura a partire dagli errori di traduzione suggeriti dai lettori.