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È meglio scrivere un romanzo o un racconto breve?

«Essere brevi richiede tempo», scrive John Dufresne su Literary Hub. Secondo lui (che ha appena scritto un libro dedicato all’argomento: Flash! Writing the Very Short Story) scrivere racconti brevi è quasi più difficile che scrivere un romanzo. Volendo esagerare con la concisione, poi, esiste una forma ancora più breve del racconto breve: è quel tipo di storia, che può anche consistere in una sola frase, che ha fatto vincere a Lydia Davis il Man Booker International Prize nel 2013. Così i giudici del premio commentarono il lavoro della scrittrice, famosa per le sue storie cortissime: «Come categorizzarle? Le abbiamo chiamate storie ma potremmo anche definirle  miniature, aneddoti, battute, parabole, favole, testi, aforismi o massime, preghiere o semplici osservazioni».

Secondo Dufresne il racconto breve è il formato ideale del ventunesimo secolo, un’era in cui la nostra concentrazione è sempre più  difficile da catturare, abituata com’è a saltellare tra i social network e le mille finestre aperte sugli schermi dei nostri pc e smartphone. Ed è proprio questo il punto: i nostri schermi sono il medium ideale per la “flash fiction”. Una forma ridotta e concentrata che, nei suoi esiti migliori, non ha niente da invidiare al romanzo.

«Il mercato della flash fiction è in costante crescita», scrive Dufresne. «È molto più facile trovare dove pubblicare una storia breve che convincere un editore a leggere un romanzo». E poi: «Se stai pensando di scrivere un libro, cominciare con una storia breve potrebbe essere il primo passo». In effetti, il caso editoriale di “Cat Person” è un esempio della sua teoria: il racconto pubblicato sul New Yorker e diventato virale, infatti, ha permesso all’autrice, Kristen Roupenian, fino a quel momento piuttosto sconosciuta, di strappare un contratto da un milione di dollari all’editore che pubblicherà il suo primo libro, You Know You Want (che non sarà un romanzo, ma una raccolta di racconti).

Lydia Davis (foto Getty)