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Le vecchie canzoni stanno diventando sempre più importanti nei film e nelle serie tv

Da "Running Up That Hill" a "Murder on the Dancefloor", sono tanti ormai i pezzi riscoperti grazie al cosiddetto effetto jukebox, risultato dell'incrocio tra la nostalgia pop e rielaborazione social.

di Lorenzo Peroni

L’altro giorno scrollando il feed di TikTok mi sono imbattuto in un video in cui ad alcuni ragazzi Gen Z viene mostrato il video di “Genie in a Bottle” di Christina Aguilera. Il format è quello delle “reaction” (coreani che assaggiano snack italiani, nonne che ascoltano le canzoni di Azealia Banks, etc.). Esperimenti sociomassmediali in cui si registrano le reazioni (più o meno spontanee: s’è c’è un video di mezzo è tutto fiction) delle cavie di fronte a input volutamente “eccentrici” rispetto alla loro estrazione culturale, demografica, geografica. I giovani in questione, ovviamente, non avevano idea di chi fosse Christina Aguilera. “Perché canta ‘così’?”, si chiedeva uno di loro. “Perché è sdraiata, non sa camminare?”, si chiedeva un altro. Una ragazza ha apprezzato il suo look (merito del revival Y2K). Pur riuscendo a collocarla approssimativamente negli anni ‘90 (’96? ’92?), nessuno conosceva la canzone.

Da poco è passato al cinema, seguendo la traiettoria di un treno deragliato, Madame Web, nuovo capitolo della saga Marvel (non Marvel Marvel, ma Marvel Sony) con un budget relativamente contenuto (non oltre i 100 milioni di dollari). In una delle sequenze clou del film di S. J. Clarkson, Cassandra Webb (Dakota Johnson) è alla guida di un taxi tutto scassato e si dirige verso un fast food nel tentativo di salvare tre spider woman, in fuga dal cattivo di turno, che stanno ballando su un tavolo. A commento di questo montaggio alternato c’è “Toxic” di Britney Spears.

4 ottobre 2024, nei cinema arriverà Joker: Folie à Deux, attesissimo sequel del Leone d’Oro 2019 diretto da Todd Phillips. Arthur Fleck, l’antieroe di Gotham City interpretato ancora da Joaquin Phoenix, in questo nuovo capitolo troverà la sua Harley Quinn, ovvero Lady Gaga, e la loro follia a due sarà tutta a passo di musica (Stefani Germanotta vuole i premi, i Grammy, i Golden Globe, gli Oscar, non è mai sazia). La pellicola sarà (pare) un musical jukebox con almeno 15 canzoni molto famose rivisitate per l’occasione, una di queste dovrebbe essere “That’s Entertainment” da The Band Wagon, musical del 1953 diretto da Vincente Minnelli, con Fred Astaire e Cyd Charisse, canzone poi ripresa anche da Judy Garland per il suo repertorio. Accanto alle canzoni di repertorio sicuramente avremo anche qualche inedito, per puntare all’Oscar per la migliore canzone originale. L’operazione fa parte di un filone, quello del jukebox musical, che negli ultimi anni ha riscosso sempre maggior successo. Ce ne sono di basati su discografie singole (Mamma Mia!, We Will Rock You, On Your Feet!, Jagged Little Pill) o su compilation eterogenee (Moulin Rouge!, Priscilla, la regina del deserto, 42nd Street).

In una recente intervista per Ascap (American Society of Composers, Authors and Publishers) il produttore e rapper JD ha parlato del processo di produzione di “Made For Me” di Muni Long, canzone che sta avendo un discreto successo nelle classifiche americane, in salita nell’indice di gradimento. La canzone era già pronta quando JD, scrollando TikTok, si imbatte in un mashup tra “We Belong Together” di Mariah Carey, una sua vecchia (sigh!) produzione, e “Stay The Same” di Yeat, rapper americano classe 2000: «Ho visto questi ragazzini di 20 anni ballare come se fosse la canzone più nuova mai sentita». Quel beat del 2005 usato per il mashup funzionava ancora, JD quindi decide di riprendere quel sound per “Made For Me”.

Mettiamo assieme i pezzi. Quello del revival è un fenomeno che in questi ultimi anni sembra essersi intensificato grazie a due fattori che giocano a suo favore. Da una parte i media tradizionali, come film e serie tv, e dall’altra i social media che, soprattutto con TikTok, hanno dato nuovi strumenti per le modalità di condivisione dei contenuti, premiando, nel solco dei vari trend (canzoni e balletti), la creatività dei creator. Questa strategia di “ripescaggio e riattualizzazione” funziona benissimo anche grazie ai due target principalmente coinvolti: i Millenial e i Gen Z. I primi pronti, felicissimi, ad abbandonarsi alla nostalgiorrea dei bei tempi andati della musica pop. I secondi, non sapendone niente, pronti ad accogliere tutto come una novità freschissima. Ecco allora che “Running Up That Hill” viene riscoperta come una canzone modernissima grazie all’hype per Stranger Things, tanto da finire, grazie agli algoritmi dello streaming, per la prima volta dopo 37 anni dalla sua pubblicazione nella top 3 della Billboard Hot100 (#1 nella Billboard Global 200). “Murder on the Dancefloor” di Sophie Ellis-Bextor rilanciata grazie a una scena cult, con Barry Keoghan chiappe all’aria, di Saltburn. “Unwritten” di Natasha Bedingfield viene ritrascinata in classifica dal successo scanzonato di Tutti tranne te (e dai frequentatissimi profili social della protagonista Sydney Sweeney).

Pensandoci, gli anni ‘90 oggi sono quello che erano gli anni ‘60 negli anni ‘90. Eppure, il divario musicale, nonostante lo stesso gap di 30 anni, non è oggi così netto. Anzi, chi a fine anni ‘90 produceva hit come “Baby One More Time” di Britney Spears, Max Martin, è in grado di sfornare hit ancora oggi, con popstar giovani e amate dai giovanissimi: “Yes, And?” e “We Can’t Be Friends” di Ariana Grande, per esempio. Il suo, di Max Martin, è un repertorio che si è consolidato nel tempo (da Katy Perry a Taylor Swift) e che ha plasmato con il suo sound una sorta di eterna giovinezza nel panorama della pop music. Questo serbatoio senza fondo si muove così nel tempo andando a intercettare diversi target demografici, talvolta separati da una generazione intera, cambiando a volte la direzione dei processi creativi e della fruizione dei contenuti. Gli utenti e i content creator di professione (ormai la differenza è spesso labile) sui social media sperimentano una creatività che parte dal basso, e a questa spesso guardano gli attori del mercato (audio e video). Ciò che viene poi prodotto e servito al pubblico diventa tema e spunto per ulteriori nuovi trend, in un ciclo infinito di materia creativa che rielabora se stessa. Le traiettorie si confondo, l’interscambio si fa più fitto, il contenuto nell’era della rete 4.0 diventa un fiume carsico che scava alvei apparentemente invisibili, lambendo o esplodendo direttamente in superficie in maniere inattese, inconsuete, nuove e a volte imprevedibili. Individuare il fenomeno non è sufficiente per imbrigliarlo, per addomesticarlo. Le menti al lavoro sull’adattamento di Madame Web speravano di imbroccare un momento virale grazie a “Toxic” di Britney o a “Scandalous” delle Mis-Teeq (il film è ambientato nel 2003 – Y2K mania dance)? Non è dato saperlo per certo, ma… Comunque, così non è stato.

Invece un momento di vitalità inaspettata, seppur minore e non sufficiente da farla rientrare in classifica, l’ha avuto “Work”, il primo singolo ufficiale di Iggy Azalea, un pezzo del 2013. Su TikTok alcuni account hanno iniziato a condividere fancam di Priscilla, il film di Sofia Coppola, con “Work” in sottofondo. La canzone non fa parte della colonna sonora del film, ma i tiktokiani hanno deciso che era perfetta per il personaggio di Priscilla Presley: “No money, no family, sixteen in the middle of Miami”, ridisegnando idealmente la geografia di tutta la storia (o più semplicemente ignorandola – ma comunque sono dettagli). Caso analogo era successo con Mercoledì, la serie Netflix con Jenna Ortega che, sempre grazie al laboratorio fucina di TikTok – mi piace immaginarlo come lo studio di Amici Mostri con Alessia Marcuzzi – aveva dato vita al balletto tormentone sulle note di “Marry The Night” di Lady Gaga, brano che non compariva nella serie ma che le che era stato liberamente associato, dando vita a un contenuto creativo contemporaneamente legato al prodotto ma al tempo stesso slegato dalla sua forma originale.

Viene quindi da chiedersi quanto gli algoritmi funzionino dall’alto, quanto invece un social come TikTok e i prossimi a venire, che avranno strutture sempre più aperte e plastiche, sono propulsori di energia caotica? E cosa fa più paura? Un sistema che è in grado di indirizzare, incanalare, prevedere e influenzare l’utenza? O un sistema potenzialmente fuori controllo in cui il panorama dell’imprevedibilità è una frontiera quotidiana in grado di ridisegnare il concetto di “autentico”?