Stili di vita | Luoghi

Gente dell’Etna

Tra turismo, escursioni e viticoltura, il vulcano sta attraversando un vero Rinascimento come il resto della regione, nell'anno in cui la Sicilia sembra essere stata riscoperta da tutti.

di Germano D'Acquisto

(Photo credit should read GUILLAUME BAPTISTE/AFP via Getty Images)

Da queste parti lo considerano inequivocabilmente “fimmina”. E qui, l’Etna è praticamente in ogni cosa. Dalle vie di comunicazione alle coltivazioni, dall’edilizia fino all’enogastronomia: tutto orbita attorno a questa grande madre che sovrasta il territorio della Sicilia Orientale e lo muta lentamente, giorno dopo giorno, come una goccia che solca la pietra. La sua attività è incessante, tanto che fino a pochi giorni fa sbuffava ancora cenere e fumo dal cratere nord. Chi abita qui lo sente ansimare come se fosse un animale. Come Egidio, che vive a Linguaglossa, a un’ora di macchina dall’aeroporto di Catania. Organizza escursioni per turisti. Il vulcano respira, si gonfia, si muove. E lui ci dice che riesce a percepirne i tremori e ad anticiparne (per quanto possibile) le nuove eruzioni. «Ho sentito già qualche fragore, fra stasera e domani qualche cratere tornerà in attività», racconta.

Egidio ci spiega che il versante Sud è quello più battuto dai turisti, ma è nel versante Nord che si possono possono provare le cose più emozionanti. Le opzioni sono varie. L’itinerario classico può partire da Piano Provenzana di Linguaglossa. La prima sorpresa si ha dopo diversi metri, quando si scorge uno degli hotel sommersi dalla lava dopo la grande eruzione del 2002. Qui ancora se la ricordano. Iniziò a fine ottobre con diverse scosse sismiche e proseguì fino gennaio provocando la chiusura degli aeroporti di Catania e Reggio Calabria e la distruzione di alberghi, bar e rifugi.  Si prosegue  poi verso il Monte Nero, da cui si può scorgere la bottoniera, profondi crateri disposti in successione. Poi si scende verso il sentiero grotta del Gelo, da visitare con una torcia. E infine si continua verso il piano della Pernicana, immerso in una pineta.

Se gli abitanti dell’area convivono col vulcano, trattandolo come uno di famiglia, c’è chi lo ama più degli altri: i viticoltori, che tutte le mattine si svegliano ringraziando il destino per averli fatti nascere e vivere in uno dei territori più straordinari del mondo. Nonostante qui si produca vino dal tempo dei romani, negli ultimi anni l’Etna è diventato quello che il West è stato per i pionieri americani, un Eldorado. Sono moltissimi infatti i produttori che hanno deciso di trasferirsi e investire qui, come rivelano anche i numeri (secondo il Consorzio Tutela Vini Etna DOC, infatti, nel primo semestre del 2021 gli ettolitri imbottigliati a Etna DOC sono stati pari a 18.693, facendo segnare un clamoroso +19 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020, alla faccia della pandemia). Le oltre 130 contrade disseminate lungo le pendici del vulcano svelano un’infinita varietà di suolo, il motivo per il quale i vini cambiano caratteristiche anche a poche manciate di metri di distanza.

Per questo il trekking lascia il campo alle degustazioni in cantina. Attraverso stradine tortuose si sale circondati da vigneti “custoditi” tra le terrazze costruite coi muri a secco, una tecnica locale in cui grosse pietre si sovrappongono l’una sull’altra senza l’uso della calce. Fra le famiglie storiche che cercano (riuscendoci) di mantenere alto il nome della doc ci sono Tasca d’Almerita, Planeta, Donnafugata. Si tratta di proprietari che nell’arco di pochi anni sono passati da una viticoltura domestica a una produzione professionale. Nella cantina di Randazzo, in contrada Statella, immersa nel Parco dell’Etna, c’è proprio la tenuta di Donnafugata, storica casa vinicola fondata nel 1983 da Giacomo Rallo e dalla moglie Gabriella. Il nome Donnafugata si ispira alla letteratura, come moltissime cose in questa regione, e prende spunto da Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Significa “donna in fuga” e si riferisce alla storia di una regina che fuggì da Napoli verso la Sicilia. Ma “donna fugata” è stata anche Gabriella Rallo, pioniera della viticoltura al femminile, che ha abbandonato per sempre la vita di insegnante di inglese per occuparsi dei suoi vigneti. Oggi l’azienda, che ha tenute in ogni angolo della regione (isole comprese, vedi Pantelleria), è guidata dai figli José e Antonio. Entrambi considerano l’Etna un’opportunità e non una minaccia. «È il nostro cuore pulsante», ci spiega Antonio, la cui famiglia da tempo produce due preziosi cru: Fragore in Contrada Montelaguardia e Etna Rosso Doc in Contrada Marchesa. «Concentriamo le nostre attenzioni su piccole produzioni di pregio grazie a territori e vigneti unici», afferma José, che alla passione per il vino unisce quella per la musica brasiliana e il canto (in passato si è esibita anche al Blue Note di New York).

Oggi molti parlano di “rinascimento” dell’Etna, tanto che i produttori dell’area non amano più essere accostati a quelli dell’Alsazia, della Borgogna o a quelli delle Langhe. L’Etna ormai fa storia a sé. E ciò vale per sia per i vini che per il turismo in generale. D’altronde esiste un posto simile in tutto il pianeta? Un luogo in cui c’è tutto e il contrario di tutto? Dove si trova un’altra montagna alta 3350 metri che se ne sta a ridosso del Mediterraneo? In cui puoi sciare e farti una nuotata in mare nell’arco di 20 minuti? Nel 1788, nel suo “Voyage en Sicilie”, Dominique Vivand Denon scriveva: «Tutto ciò che la natura ha di grande, tutto ciò che ha di piacevole, tutto ciò che ha di terribile, si può paragonare all’Etna e l’Etna non si può paragonare a nulla». La risposta alle nostre domande.