Attualità

Stonewall riots, 45 anni dopo

La rivolta del 1969 del Greenwich Village, New York, è da sempre una data simbolica: per sfilare, per reclamare diritti soprattutto. Un po' di storia di quel giorno, e qualche ricordo su come i media trattavano l'omosessualità allora.

di Ivan Carozzi

Ricorrevano sabato 45 anni dai riots di Stonewall. Sulla cifra 45 e sul tempo che ci separa dal giugno 1969 vorrei tornare più tardi, in fondo a questo articolo. In Christopher Street a New York, dove ancora sorge lo Stonewall Inn, nel 1980 venne installata una scultura di George Segal. Questa.

Una coppia di uomini, in piedi, e una coppia di donne, sedute. Lui tocca la spalla di lui, che tiene le mani in tasca. Lei guarda lei e le posa il palmo aperto sulla coscia. In entrambe le coppie c’è qualcuno che parla e qualcun altro che ascolta. Non ci sono paillettes, boa di struzzo. Indossano abiti qualunque. Una camicia, i jeans. Atene casual, abitata da gente comune. Intorno un parco, la vita consueta e diurna. La terra americana. L’affetto certo, il sentimento quotidiano e potente, che sento fluire in queste quattro figure, credo sia amplificato dal contesto che le accoglie. Un parco -col suo popolo che lo riempie ogni giorno- una città, una nazione. Perciò se guardo questa immagine io penso ad Alexis De Tocqueville. Alla democrazia, ai diritti. E mi convinco che la politica trova un senso specie quando intende l’eros.

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Undici anni prima, il 28 giugno 1969, intorno all’una di notte la polizia fece irruzione proprio allo Stonewall Inn, gay bar di New York sulla gay street del Greenwich Village. Lì dove verrà collocata la scultura di Segal. “Police! We’re taking the place!”. La notizia dell’irruzione si diffuse per il Village e in centinaia subito si raccolsero spontaneamente di fronte al locale. Si sparse voce che alcuni dei clienti trattenuti e trascinati nei cellulari della polizia fossero stati picchiati. A quel punto partì un primo tiro di bottiglie e monetine contro poliziotti e furgoni. Questa in breve è la storia dei riots di Stonewall, che continuarono per tutta la notte, con lanci di oggetti e un parchimetro sradicato e usato come ariete. Il 28 giugno 1970, in ricordo di quel giorno, venne celebrato il primo Gay Pride. Stonewall è il mito fondativo del mondo arcobaleno. Ma perché la polizia fece irruzione? Perché lo Stonewall Inn non disponeva della licenza per la vendita di alcolici. Oppure, scenario alla James Ellroy: perché il locale, proprietà della famiglia del gangster mafioso Vito Genovese, ospitava un giro d’informatori utile al ricatto degli omosessuali che lavoravano a Wall Street. Terzo scenario: secondo lo storico John D’Emilio, il sindaco uscente John Lindsay, repubblicano, trovandosi a caccia di voti in vista delle amministrative non aveva esitato a ricorrere ad operazioni propagandistiche e al limite della legalità. Tutti e tre i casi si radicavano all’interno di una cultura e di istinti omofobi. Ma forse è meglio porsi un’altra domanda ancora: perché – fatto fino ad allora inedito – la comunità omosessuale, con la complicità del Village, si era ribellata alla polizia e aveva scatenato una rivolta? Lo Stonewall ospitava persone che, semplicemente, non erano benvenute altrove. Così, quando lo videro attaccato dalla polizia, decisero di difenderlo come se fosse stato casa loro. Un testimone disse ad un giornalista: «Quando si era mai vista una rivolta di froci? I tempi stanno cambiando […] È ora di dire basta a questa merda». Parlava in lui, evidentemente, lo spirito del tempo. Che era antiautoritario, libertario, militante, progressista. Del resto quella notte lo slogan “black power” delle Pantere Nere venne riadattato in “gay power”.

Secondo scenario: proprio quel giorno si erano celebrati a New York i funerali di Judy Garland, l’attrice de Il mago di Oz, morta ad appena 47 anni. Judy Garland era considerata “The Elvis of homosexuals”. Molti, tantissimi omosessuali, forse migliaia, avevano partecipato al funerale. Senz’altro alcuni di loro, quella notte, si ritrovarono a bere allo Stonewall. In lutto, sotto choc, traumatizzati e a fine serata con troppo alcol in corpo. Perciò si sarebbero lasciati tentare dal tafferuglio. È la tesi, folkloristica e psicologica, del film Stonewall.

Fu Sylvia Rivera, transessuale di origini portoricane e venezuelane, secondo la versione passata alla storia, a lanciare la prima bottiglia contro i cops.

E infine: come si era accesa la scintilla dei riot? Grazie a Sylvia Rivera, una transessuale cresciuta per strada, di origini portoricane e venezuelane, poi diventata una famosa attivista LGBT. Fu Sylvia, infatti, secondo la versione passata alla storia, a lanciare la prima bottiglia contro i cops. L’immagine mi ha riportato alla mente un ritaglio che avevo conservato sul computer. Nella foto, che risale al settembre del 1970, un travestito brandisce una borsetta contro un carabiniere.

La città è Torino. Le forze dell’ordine da una decina di giorni stanno operando lo sgombero dei travestiti che si prostituiscono al margine del parco del Valentino.  Vengono scovati per strada e nel folto dei cespugli per poi venire caricati dentro i cellulari e trascinati in questura. I giornali coprono giorno per giorno la vicenda. Nelle cronache si leggono espressioni come «depravati»; «sventurati»; «pulizia»; «bonifica»; «figure squallide»; «gambe da calciatori»; «querule grida». Nella prima foto il travestito sembra prendersi una vendetta e ghignare – come una specie di Johnny Rotten – a favore di fotografo. Ma  quello sguardo pecettato, e la smorfia sotto della bocca, formano senz’altro un’espressione di sfida rivolta al lettore. Contro il lettore e la pubblica opinione del tempo. In quei giorni al quotidiano La Stampa vennero recapitate le lettere di alcuni travestiti. Come questa che, nelle pieghe ingenue di una prosa alla Edmondo De Amicis, rivelava più di un germe di autocoscienza.

«Same sex marriage isn’t gay privilege, it’s equal rights. Privilege would be something like gay people not paying taxes. Like churches don’t».

Torno sulla cifra 45 e sul tempo che ci separa dal giugno 1969. Sono appunto passati 45 anni. Immagino quindi un bambino o una bambina nati nel giugno ’69. Intorno al 1975, o forse anche prima, avranno cominciato ad intuire qualcosa del proprio orientamento sessuale. L’intuizione si sarà fatta più precisa col passare del tempo: nel 1976, nel 1977 e poi nel 1978, nel 1979 e nel 1980. Come un’immagine di sé e del mondo che diventa sempre più a fuoco. Curioso pensare alla vita ormonale di ciascuno, all’epoca, mentre si affacciava innocente nel corpo di un bambino e nello stesso tempo trasudava, repressa, dal muro disegnato di una latrina: Chi vuole il culo gratis oggi? (scritta rinvenuta nel bagno della stazione di Voghera, fine anni ’70); Prendo cazzi, ultima fila (scritta rinvenuta nel bagno del Cinema Marconi, fine anni ’70, Milano). Nella seconda metà degli anni ’80 quel bambino o quella bambina, adolescenti e giunti al picco del desiderio, nel liceo di una grande città o nel silenzio di un paese sull’Appennino, avranno forse cominciato ad avere i primi rapporti. Prima o dopo, o forse mai, avranno informato del loro orientamento i genitori, una sorella, un fratello, gli amici, e un giorno i colleghi. E poi ci saranno stati gli anni ’90 e gli anni Zero. Oggi a 45 anni, come chiunque o come tanti o come alcuni, forse da un pezzo sentiranno il desiderio di sposarsi. Per una questione sentimentale; per una questione pratica e di convenienza; per una questione di dignità e di aspirazione all’uguaglianza.

Durante l’ultima assemblea nazionale del Pd, sabato 14 giugno, il premier Matteo Renzi ha annunciato il prossimo varo di una legge sulle civil partnership. Il modello è quello della legge tedesca. Il testo è stato anticipato dal quotidiano L’Unità e prevede che le coppie omosessuali possano iscriversi in un apposito registro dedicato a persone dello stesso sesso. Reversibilità della pensione; diritto alla successione in caso di morte; la possibilità di assistenza negli ospedali e nelle carceri nonché di partecipare ai bandi per le case popolari. Non è prevista l’adozione, ma un partner potrà adottare il figlio dell’altro per garantire una continuità relazionale. Il varo è previsto per settembre o in autunno, dopo la riforma della legge elettorale. Dubitare è lecito, specie se c’è di mezzo la legge elettorale e una cultura politica suscettibile e disomogenea come quella del Partito Democratico e delle larghe intese. Non sperarci è cinico. Dubitare resta inevitabile, tuttavia, anche per via di un fattore non discusso in questo articolo, ma evocato in fondo ad un tweet del comico inglese Ricky Gervais: «Same sex marriage isn’t gay privilege, it’s equal rights. Privilege would be something like gay people not paying taxes. Like churches don’t».