Usare Tinder a Gaza

Il fotografo Federico Vespignani ha raccolto centinaia di screenshot di profili Tinder dei soldati dell'Idf: ne è uscito un libro, Short-term, But Long-Term, che racconta in maniera inedita la distruzione della Striscia di Gaza e cosa sia lo Stato d'Israele oggi.

25 Giugno 2025

Le dating app sono rimaste attive anche durante il massacro di Gaza. Le usano i soldati dell’Idf alla ricerca di appuntamenti con donne israeliane fuori dalla Striscia o di colleghe nelle vicinanze. Tinder permette di raggiungere utenti entro un raggio fino a 160 km, e i militari israeliani colgono l’opportunità di sfoggiare fucili automatici, divise mimetiche, carri armati e bandiere nazionali per fare colpo su potenziali anime gemelle mentre sono in servizio.

La guerra e i social

Un anno fa, il fotografo Federico Vespignani ha iniziato a indagare sulla guerra a Gaza attraverso il filtro di Tinder e a raccogliere migliaia di screenshot dei profili attivi nell’area. Vespignani, che ho conosciuto per un lavoro sulle gang in Honduras, mi dice di esser sempre stato affascinato da come l’immagine di guerra agisce nei social media, che definisce «un nuovo posto per parlare di conflitto». Sono diventati tristemente popolari le foto di riservisti in posa in un appartamento distrutto con indosso la biancheria femminile delle vittime che vi abitavano. Su TikTok e OnlyFans spopolano le Military influencer che, con un linguaggio giovane e appealing per le Gen Z, fanno un utile lavoro di propaganda. «In passato vedevamo le guerre attraverso il personale addetto nelle forze armate, che produceva immagini, oppure tramite operatori media professionisti. Oggi abbiamo tutti una telecamera in tasca, e anche i combattenti postano immagini sui social media, come facciamo tutti noi».

Le immagini che il fotografo ha ottenuto sono oltre 3000, provenienti da altrettanti profili di soldati presenti a Gaza, principalmente riservisti tra i 18 e 35 anni. «Short-term, but long term OK», scrive in bio la maggior parte di loro. Da qui il nome del progetto, che sta riscuotendo interesse internazionale: dopo essere stato parte di una mostra a Bilbao, sarà esposto anche al festival internazionale di fotografia Cortona On The Move 2025, dal 17 luglio al 2 novembre.

Short-term, But Long-Term 🥂, uscito per Debatable Publishing lo scorso dicembre, è una raccolta di oltre 300 degli screenshot raccolti nel corso di quattro mesi, tra giugno e settembre 2024, uno dei picchi dei combattimenti via terra dell’Idf, che in quel periodo aveva inviato nella Striscia decine di migliaia di riservisti. Gli uomini nelle foto sono vestiti da capo a piedi in divise militari, spesso coi volti nascosti dai passamontagna, occasionalmente a petto nudo. Quasi sempre abbracciati ai propri fucili d’assalto Tavor, sventolando bandiere di Israele.

Short term fun

«Questi ragazzi si sentono completamente deresponsabilizzati e moralmente buoni, nonostante quello che sta accadendo a Gaza sia qualcosa di abominevole. Hanno introiettato una forte dialettica della difesa della patria, e i loro corpi nelle app di incontri sono una manifestazione di questo», mi dice Vespignani. A volte nelle immagini del profilo non compaiono nemmeno persone, solo bandiere e simboli nazionalisti come lupi e stelle di David. In altre, la foto di un carro armato, di una città palestinese rasa al suolo, o di qualche proiettile personalizzato, bastano per presentarsi in modo efficace. Ovunque dietro ai volti spavaldi, le divise e i pettorali, si vedono prove di crimini contro l’umanità: le macerie delle case bombardate, le nuvole di polvere lasciate da recenti esplosioni, i mobili e gli effetti personali abbandonati dalle famiglie uccise nelle case occupate.

In un’immagine, un soldato di 27 anni cerca “Short term fun 🎉”. È sposato ed è il proprietario di un’agenzia immobiliare di lusso a Tel Aviv. Nella foto, che ha postato anche su Instagram e che nel libro è censurata, posa tra le macerie accanto a un edificio devastato con appeso un banner della sua ditta: “Yehonatan Hen”.

Muscular Judaism

La costante in background sono le vite annientate dei palestinesi, di cui ogni foto porta le tracce. In effetti, sembra sia proprio questo l’elemento che non può mancare, da sfoggiare per sentirsi più attraenti, più sicuri di sé, più virili. Nel 1989, il sociologo ungherese Max Nordau coniò in un suo discorso il termine Muscular Judaism, teorizzando un nuovo ideale di “corpo sionista”, sano e sportivo, muscoloso e patriottico, macho e sempre pronto alla guerra,  in risposta allo stereotipo dell’ebreo intellettuale e fisicamente debole e alla vittimizzazione storica che gli ebrei avevano dovuto subire.

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Oggi il Muscular Judaism ha ritrovato posto nei social come strumento narrativo ed estetico nazionalista. In un panorama mediatico controllato dallo Stato, scrive l’artista e attivista Adam Broomberg – che insieme a Ido Nahari ha firmato la prefazione di Short-term, But Long-Term 🥂 – l’ebraismo muscolare assume una funzione visiva fondamentale. «La presentazione dei soldati israeliani come forti, mai feriti e mai mutilati, li rende disconnessi dalle loro stesse azioni». A differenza dei corpi palestinesi, descritti in modo crudo come «cadaveri in divenire», i soldati non sono mai associati alla morte. Quelli che vediamo nelle immagini raccolte da Vespignani sono emanazioni dell’idea dell’ebreo muscolare in versione 4.0.

Commentando il progetto, Adam Broomberg parla poi di «sexual capital», capitale sessuale, il potere sociale ed economico che deriva dal mostrarsi sessualmente attraente nell’economia capitalista. Natalia Fadeev, influencer soldatessa dell’Idf di 26 anni, nota su Instagram e TikTok come Gun Waifu, ha un profilo da oltre 760 mila follower dove posta foto hot sul campo, in divisa e armata, o a bordo di carri armati. La monetizzazione avviene tramite Patreon e OnlyFans, dove la bio recita: «Your Ultimate Israeli Fantasy 👅💦». Nell’immaginario di una cultura così militarizzata, prosegue Broomberg, «devastare le città e le popolazioni diventa promessa certa di riuscire a strappare un paio di slip al primo appuntamento».

Le piattaforme non sono neutrali

Stando alle policy della piattaforma, su Tinder sarebbe vietato postare armi, violenza e simboli di odio di ogni genere. Eppure, qui vediamo apparire fucili d’assalto, frasi come «Keep Calm and Fuck Palestine» (nell’ultima immagine della pubblicazione), e addirittura esplodere una bomba al fosforo, il cui uso in aree civili è vietato dalla legge internazionale. Come è possibile? Secondo il fotografo, la piattaforma tollera questi comportamenti «Semplicemente perché riflettono Israele in questo momento». Short-term, But Long-Term 🥂 ci fa notare che i social media – come tante altre tecnologie che usiamo nella vita quotidiana senza pensarci troppo – non sono neutrali, ma «sono lo specchio di dinamiche di oppressione e di potere che esistono nella società»: la Gaza delle dating app non è popolata da uomini e donne palestinesi in cerca di relazioni, ma da soldati che mentre radono al suolo una città, cercano qualcuno da portarsi a letto.

Nel libro, i volti dei soldati sono stati censurati per una ragione di «sicurezza personale», mi dice l’autore, che, nel corso della sua ricerca è rimasto colpito anche dalla spensieratezza con cui i militari in servizio tenessero attiva la geolocalizzazione dei propri smartphone, una funzione necessaria per utilizzare app di incontri. Vespignani, che ha lavorato in diverse zone di guerra nel corso della sua carriera, parla di operations security, un termine che in gergo militare indica le linee guida di sicurezza e gestione del rischio da rispettare per impedire che informazioni sensibili finiscano nelle mani sbagliate. «Normalmente, l’uso della geolocalizzazione verrebbe considerato un breaching dell’operation security». Il fatto che a Gaza non se ne preoccupino è significativo. «Credo sia dovuto al fatto che l’Idf sta combattendo gruppi di insurrezione con un livello tecnologico molto più basso, e quindi può permettersi di mantenere un certo livello di comunicazione. Cosa che non può succedere nei combattimenti tra eserciti convenzionali. In Ucraina, tenere il Gps attivo equivale a una condanna a morte».

Vespignani non è l’unico ad aver analizzato i conflitti contemporanei attraverso archivi di materiale preso dai social. Nel 2017, Thomas Galler ha pubblicato Pantries, Sunsets, and Turmoil, una raccolta di fotografie prese da Flickr ai tempi dell’invasione dell’Iraq. A maggio scorso, invece, è uscito per 550 Trust in God, Believe in Ammunition, un archivio visivo di immagini postate sui social da combattenti contemporanei in tutto il mondo, raccolte attraverso tecniche di Social media intelligence (Socmint).

Lavori archivistici come questi hanno il potere di raccontare i conflitti in modo genuino, mostrandone lati che normalmente restano fuori dai media convenzionali, dove, secondo Vespignani, prevale una narrazione quasi cinematografica. «Questi invece sono contenuti estremamente intimi, tanto intimi che alla fine riesci a notare aspetti che attraverso la copertura tradizionale non noteresti».

Tutte le foto presenti in questo articolo vengono da Short-term, But Long-Term di Federico Vespignani.

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