Si intitola "Mio Cristo Piange Diamanti", che lei definisce «la sua versione di un'aria», cantata in un perfetto italiano.
«Sono stata creata per fare ciò che è giusto fuori di me e dentro di me». Così canta Rosalía in “Divinize”, la terza traccia di LUX: un album che si rivela come un corpo di luce dopo una lunga gestazione. Non ci eravamo accorti di questo travaglio, e così la nascita di R4 – così chiamano il suo quarto album i fan – si è compiuta sotto i nostri occhi analfabeti di fronte a questa nuova grammatica. Tutto era iniziato la scorsa estate, con la registrazione del nome LUX. Poi la popstar catalana, che ha attraversato vestita di bianco Plaza Callao a Madrid il 20 ottobre, ci ha detto che il tempo stava compiendosi, come un’apocalisse scandita dai billboard di tutto il mondo: «Volevo che la luce entrasse» ha detto a Zane Lowe di Apple Music.
E la luce è entrata tutta in questa crepa di soli 33 anni, trasfigurata come un’apparizione. C’è sicuramente un’operazione di marketing nel lancio di un album. Ma tre anni dopo Motomami, album minimalista e perfettissimo nei tempi e nelle coreografie, Rosalía ha inanellato 18 brani – di cui tre esclusivi, presenti solo nel disco – per dirci che Dio è alla soglia delle nostre imperfezioni: «That’s gonna be the energy» canta in “Mio Cristo piange diamanti”, brano in italiano ispirato all’amore platonico tra Francesco e Chiara d’Assisi, sacralizzando l’eccessivo lirismo del finale con il sapore autentico dell’umano.
«No soy una santa, pero estoy blessed»
Non è una creatura eterea Rosalía: «No soy una santa, pero estoy blessed». Dovevamo già immaginarlo ascoltando “Bagdad”, brano de El Mal Querer, in cui l’amore era vissuto con l’apnea di un’immersione. Nel 2017, quando usciva il suo primo album Los Ángeles, lei cantava già la notte oscura dell’anima di san Giovanni della Croce. Certo, era una notte acerba, vissuta fra relazioni tossiche e illuminata dai tizzoni della sigaretta. “Pienso en tu mirá”, nel suo secondo album, ripercorre questa tossicità trasfigurata in liturgia, in psicoterapia si parla di replicazione di pattern. E lo sguardo maschile, fattosi proiettile, preannunciava la più cinica delle conclusioni: tutto scorre, anche l’amore, specialmente se trasformato in un tir che sfreccia su un’autostrada.
Il simbolismo sacro di R2, dalla Virgen de la Macarena di Siviglia al Nazareno penitente in skate, fino alla bulimia di crocifissi gold e urbani, evocava una purificazione soltanto formale. Motomami, che esce quattro anni dopo El Mal Querer si presenta come un inno di empowerment, ma traduce un’esperienza umana sfiancante, con uomini sempre più simili a «matador» in un’arena. In un momento in cui le popstar femminili vendono il loro malessere, Rosalía svolta: «Non c’è più spazio per le crush» diceva qualche giorno fa a Radio Noia, respingendo ogni idealizzazione dell’amore romantico: «L’amore ha affondato il coltello così in profondità che l’ha perso» canta ne “La Rumba del Perdon”, insieme ad Estrella Morente e Silvia Pérez Cruz. Siamo nell’ultima parte dell’album, nel quarto dei movimenti in cui è sparita ogni idealizzazione delle relazioni. A margine della presentazione, Rosalía ha dichiarato di essere una celibe volontaria, di praticare cioè l’astinenza sessuale come pratica di sopravvivenza a un contesto machista aggressivo e violento.
E le sue alleate diventano le mistiche cristiane, sufi, taoiste, per le quali i tropi di castità e purezza sono un modo per riconquistare l’identità vissuta per addizione o sottrazione a un mondo maschile. Ne “La Perla”, una ballata di etero pessimismo, il machismo scandito da un’onda di archi e ottoni come un pensiero intrusivo – motivo che ritorna in “Berghain” – è interrotto dalla voce ridanciana di Rosalía e di Yahritza y su Esencia: come se, tornando alla genesi di sé stesse, ritrovassero la genesi di ogni elemento in natura; perla compresa, frutto della relazione irritante a un corpo estraneo.
Elevare il femminismo a Dio
A Sabrina Carpenter, che nel suo album ironizza sugli uomini che apprezzano la femminilità solo se possono feticizzarla sessualmente, Rosalía risponde elevando il femminino a Dio. LUX è il distillato di un misticismo dove il mistero divino e la coscienza umana sono inseparabili: «Ho sempre avuto una relazione molto personale con Dio, ma solo adesso ero pronta a consacrargli un album» ha detto pochi giorni fa a Le Monde. Un’affermazione da prendere alla lettera perché, in questa sua ascesi, Rosalía scioglie il suo corpo, perso nella spuma di lenzuola come al listening party di lancio di Barcellona.
In “Novia Robot” cita Sun Bu’er, la mistica taoista del XII secolo che ascese al cielo trasformandosi in profumo e nuvole: «Io che vengo dalle stelle, oggi mi trasformo in polvere per tornare a loro». Solo al cuore della propria visione, l’anima emerge da sé. Solo nel suo massimalismo, realizzato grazie ala compositrice Premio Pultizer Caroline Shaw, il mosaico multilingue di LUX – se ne contano tredici, dal latino all’arabo, fino all’italiano e all’ucraino – può essere canto di un’ascesi in tre fasi: «Il vomito intuitivo, la perseveranza e il pulito». L’estetica nuncore alla base di LUX, Rosalía stessa in total white, il velo sui capelli e le labbra che sembrano aver baciato il fondo di un trittico dorato, sono sineddoche di una consacrazione vera. Per lei vale la definizione di santità data dalla storica Sofia Boesch Gajano: «Condizione di chi stabilisce con Dio un rapporto privilegiato, assumendo il ruolo di mediatrice tra umano e divino». “Sexo, violencia y llagas”, che fa da esergo all’intero album, racconta questa mediazione: «Prima amerò il mondo, e poi amerò Dio» canta, mai così distante da “Hentai”, la traccia di Motomami in cui il divino c’era, ma sempre in funzione del corpo: «La seconda cosa è fotterti, la prima è Dio».
Sacra e profana
Accompagnata da artisti come Björk, Carminho, Yves Tumor, Guy-Manuel de Homem-Christo, Rosalía ora guarda ai due mondi del profano e sacro come immersa in un dipinto di Tiziano: due figure che siedono alla stessa fonte e si osservano. Le donne che si offrivano allo sguardo famelico di un’officina sull’altare di Malamente si trasformano in angeli sublimi. Se LUX fosse un diagramma, avrebbe una struttura verticale. Lo ricordano brani come “Jeanne”, cantato in francese perché ispirato a Giovanna d’Arco, la parabola di un’elevazione opposta all’orizzontalità degli uomini e delle loro misere guerre. Motivo che ritorna anche in “De Madrugá”, brano che s’ispira a sant’Olga di Kiev, reggente della Terra di Rus’ nel X secolo e che, messa di fronte alla prospettiva di sposare l’assassino di suo marito, si vendica di tutti i suoi nemici riducendo in ceneri la città di Iskoroten: «Tutte le stelle del cielo si riflettono nei miei capelli» canta Rosalía, ricordando le fiamme della vendetta. Ma questo filo rosso sangue, schizzato sulla carrozzeria dell’album Motomami, in LUX diventa il fondo di un bicchiere di vino, come lei canta: «Non ho paura del passato, sta in fondo al mio calice di Sauvignon Blanc». I ricordi marcano la distanza dal proprio desiderio, e in esso c’è Simone Weil che diceva: «Amare puramente vuol adorare la distanza fra sé e l’oggetto del proprio amore».
«Io che vengo dalle stelle, oggi mi trasformo in polvere per tornare a loro» è l’anafora dell’ultimo, struggente brano di chiusura di LUX. “Magnolias”, una messa in scena del funerale di Rosalía, risponde a una domanda che non sapevamo di avere: dove sono finiti il vino, le unghie in gel, gli pneumatici e tutti quei simboli etichettati come volgari, brutti e pacchiani che quest’artista ha disseminato nel nostro immaginario? Sono combustibile di un grande falò sulla sua bara: «Quando, muoio chiedo solo di non dimenticare ciò che ho vissuto». Sono El Mal Querer e Motomami e Los Angeles messi insieme, le loro menzogne e gli eccessi diventanti pioli di una scala da cui Dio sale e scende, e Rosalía con lui: Ego sum nihil, ego sum lux mundi recita il motto di “Porcelana”: è la fragilità dei cocci resi sacri dall’oro del kintsugi.
«La verità è che entrambi abbiamo macchia e nessuno dei due può sfuggire dell’altro. C’è sempre qualcosa di te che ancora non so; come il lato nascosto della luna: una volta svelato so che non lo dimenticherò»: c’è sempre un lato non illuminato della luna, che Dio solo conosce e Rosalía adesso ci ricorda.
