Cose che succedono | Ucraina

La leader delle Pussy Riot è riuscita a scappare in Lituania travestendosi da rider

Sono più di 10 anni che Maria V. Alyokhina combatte perché il suo Paese rispetti i diritti umani più elementari, come la libertà di espressione. Dopo essere uscita di prigione nel dicembre 2013, lei e un altro membro delle Pussy Riot hanno fondato Mediazona, una testata giornalistica indipendente che rivela ai russi cosa succede veramente in Russia. Alyokhina ha anche scritto un memoir, Riot Days, dal quale ha tratto uno spettacolo che ha portato in giro con un tour internazionale: sebbene il suo sogno fosse esibirsi in Russia, solo tre sedi hanno accettato di ospitarla e hanno dovuto affrontare dure ripercussioni. Per tutti questi anni Alyokhina, che ora ha 33 anni, si è impegnata a rimanere in Russia nonostante la regolare sorveglianza e la pressione delle autorità.

La prima volta che le Pussy Riot attirarono l’attenzione della stampa mondiale e delle autorità russe risale a dieci anni fa. Nel 2012 Maria V. Alyokhina e il resto della band organizzarono una protesta contro Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Da quell’episodio per le Pussy Riot è iniziato un rapporto on-off con il carcere e gli arresti domiciliari, volto a soffocare il loro attivismo politico. Lo scorso aprile, però, le autorità hanno comunicato a Alyokhina che per via dell’inasprimento delle sanzioni deciso da Putin per reprimere qualsiasi critica alla guerra in Ucraina, i suoi arresti domiciliari sarebbero stati convertiti in 21 giorni da scontare in una colonia penale. Alyokhina ha capito che era il momento di lasciare la Russia. Come nella scena di un film sulle Pussy Riot che speriamo prima o poi qualcuno realizzi, («Sembra un romanzo di spionaggio», ha detto lei stessa al New York Times commentando la sua fuga) Alyokhina si è travestita da rider (in Russia la catena di consegne più diffusa ha una divisa tutta verde) ed è riuscita a passare davanti alla polizia di Mosca che sorvegliava l’appartamento dell’amica dove alloggiava.

Una delle foto pubblicate dal New York Times: Alyokhina, a sinistra, e la sua ragazza, Lucy Shtein, provano i loro travestimenti da rider a Mosca.
La polizia arresta Maria Alyokhina durante una manifestazione in piazza Trubnaya a Mosca, il 27 luglio 2019 (Foto di Kirill KUDRYAVTSEV / AFP Getty Images)

Un amico l’ha accompagnata al confine con la Bielorussia e dopo una settimana è riuscita a entrare in Lituania. Alyokhina ha raccontato che quando è arrivata al confine aveva un visto lituano che ha cercato di utilizzare con il suo documento d’identità nazionale russo perché la Russia le aveva confiscato il passaporto e l’aveva inserita nella lista dei ricercati. Il suo primo tentativo di attraversare è andato male, così come il secondo: la prima volta è stata trattenuta dalle guardie di frontiera bielorusse per sei ore prima di essere rimandata indietro, la seconda è stata cacciata immediatamente. Al terzo tentativo, però, è riuscita a passare. Ad aiutarla è stato l’amico Ragnar Kjartansson. L’artista islandese ha convinto un paese europeo (che preferisce restare anonimo) a rilasciare a un documento di viaggio che sostanzialmente conferiva alla donna lo stesso status di un cittadino UE. Il documento è stato contrabbandato in Bielorussia e consegnato ad Alyokhina che, mentre era lì, ha evitato gli hotel o qualsiasi luogo in cui avrebbe avuto bisogno di mostrare un documento d’identità. Quando ha ottenuto il documento per entrare in UE, è salita a bordo di un autobus per la Lituania.

È da un monolocale a Vilnius, la capitale lituana, che Alyokhina ha parlato col New York Times: «Sono stata felice di averlo fatto, perché è stato un grande e imprevedibile “saluto” alle autorità russe» (le giornaliste che l’hanno intervistata ci tengono a specificare che Ms Alyokhina ha utilizzato un termine meno educato). In un bellissimo articolo che ricostruisce la sua storia, il quotidiano riporta una grande foto delle sue scarpe: Alyokhina ha infatti intrapreso il suo viaggio indossando delle scarpe con la zeppa nere, senza lacci ma con due strani fiocchetti bianchi in cima. Come spesso accade quando si tratta delle Pussy Riot e dell’arte della performance, anche i piccoli dettagli hanno un senso. Le scarpe rimandano infatti alla vita in prigione, dove i lacci vengono confiscati. Per riuscire a camminare e tenersi addosso le scarpe le carcerate infilano negli occhielli salviettine umidificate a mò di stringhe. Come dichiarazione, lei e gli altri membri dei Pussy Riot indosseranno delle scarpe allacciate così mentre si esibiranno durante un tour che inizierà il 12 maggio a Berlino, per raccogliere fondi per l’Ucraina.