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Un’opera d’arte per rielaborare il lockdown

Fino al 25 ottobre "Il cielo in una stanza" di Gino Paoli risuonerà, cantata dal vivo, tra le pareti di San Carlo al Lazzaretto: è il progetto di Ragnar Kjartansson voluto dalla Fondazione Trussardi.

di Studio

Cos’hanno in comune una mente innamorata e una mente intrappolata? Entrambe, per ragioni diverse, tendono a spingersi oltre il limite conosciuto, oltrepassando lo spazio fisico per liberarsi in un luogo nuovo e indefinito. Tra le più belle canzoni d’amore mai scritte, “Il cielo in una stanza” parla proprio di questo slancio dell’immaginazione verso l’alto e verso l’altro: «Quando sei qui con me / Questa stanza non ha più pareti / Ma alberi, alberi infiniti / Quando sei qui vicino a me / Questo soffitto viola / No, non esiste più / Io vedo il cielo sopra noi». La stanza è una dolce prigione da cui l’innamorato non può fare a meno di evadere: troppo piccola e limitata per contenere un amore che ha bisogno di espandersi in spazi e concetti illimitati, come il cielo e gli alberi infiniti. «”Il cielo in una stanza” è l’unica canzone che conosco che rivela una delle caratteristiche fondamentali dell’arte: la sua capacità di trasformare lo spazio»: sono le parole tanto semplici quanto illuminanti con cui l’artista islandese Ragnar Kjartansson (Reykjavík, 1976) ha descritto The Sky In A Room, il progetto che dal 22 settembre al 25 ottobre occupa la Chiesa di San Carlo al Lazzaretto di Milano. Ogni giorno, dei cantanti professionisti si alternano, uno alla volta, all’organo della Chiesa di San Carlino per eseguire un arrangiamento della celebre canzone di Gino Paoli, che si ripeterà ininterrottamente per sei ore al giorno. «In un certo senso», continua l’artista, «è un’opera concettuale. Ma è anche una celebrazione del potere dell’immaginazione – infiammata dall’amore – di trasformare il mondo attorno a noi. È una poesia che racconta di come l’amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciare il cielo e gli alberi…».

A cura di Massimiliano Gioni, che nel 2013 aveva invitato Kjartansson a partecipare alla 55a edizione della Biennale di Venezia (non era la prima volta che l’artista esponeva in Biennale: nel 2009, a 33 anni, era stato il più giovane artista a rappresentare l’Islanda), il progetto voluto da Beatrice Trussardi è da leggere come un gesto per elaborare il periodo del lockdown che ha costretto gli italiani e soprattutto gli abitanti della Lombardia a passare alcune settimane rinchiusi nelle proprie case, e quindi nelle proprie stanze: «Dopo i mesi trincerati in casa», si legge nel testo della Fondazione, oggi al suo diciottesimo anno di attività nomade, «accompagnati dal suono delle sirene dell’ambulanza, fra una torta e un applauso alla finestra, la performance di Kjartansson diventa un poetico memoriale contemporaneo, un’orazione civile in ricordo dei dolorosi giorni trascorsi sognando nuovi modi per stare insieme e combattere solitudine e malinconia». In quanto spazio fisico e circoscritto che custodisce ciò che è immortale, infinito ed eterno, la chiesa è il luogo in cui la canzone di Gino Paoli assume un carattere ancora più ampio, in cui la dimensione mistica e artistica si unisce a quella sentimentale. Ma c’è di più: la storia della Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, infatti, è intimamente legata alle precedenti epidemie che hanno coinvolto la città di Milano, dalla peste del 1576 a quella del 1630, resa celebre da I promessi sposi di Alessandro Manzoni che cita in più occasioni il Lazzaretto e ambienta proprio lì uno dei capitoli più noti.

«La prima volta che ho sentito “Il Cielo in una stanza” la cantava Mina», ha raccontato l’artista quarantaquattrenne. «Una versione fantastica. Mentre quella di Gino è più tenera e dolce». Padre e madre attori di teatro, nonno scultore, madrina cantante folk di successo, Ragnar Kjartansson è cresciuto respirando musica e cultura. Da adolescente ha suonato con band come i Kanada, i Kósý, e i Trabant. Nel 2013 ha lavorato con i The National, obbligandoli a suonare la loro canzone Sorrow dal vivo per sei ore consecutive al MoMA PS1 di Brooklyn. Nel 2012 aveva presentato all’Hangar Bicocca il progetto The Visitors, una grande installazione costituita da nove proiezioni video in scala 1:1, che mescolava concerto dal vivo, performance, poesia e cinema attraverso un allestimento immersivo, basato sulla ripetizione e la circolarità dei gesti e delle ambientazioni. Nei nove video di The Visitors comparivano musicisti differenti, tutti amici di Kjartansson (fra cui Kristín Anna e Gyða Valtýsdóttir, sorelle fondatrici della storica band islandese dei Múm, e Kjartan Sveinsson, tastierista fino al 2012 dei Sigur Rós), che cantavano e suonavano per più di un’ora, ciascuno con uno strumento diverso, la stessa melodia della canzone Feminine Ways, ispirata alla poesia composta dell’ex moglie dell’artista, Asdís Sif Gunnarsdóttir. Ispirata nel titolo e nel tema all’omonimo e ultimo album del celebre gruppo svedese ABBA, The Visitors offriva una riflessione intorno al tema della forza e della persistenza dei legami affettivi. Le opere di Kjartansson sono caratterizzate da un senso di profonda malinconia e sono spesso ispirate alla tradizione del teatro e della letteratura nordica del Novecento, con riferimenti all’opera di Tove Janson, Halldór Laxness, Edvard Munch e August Strindberg, tra gli altri. La musica è un elemento fondamentale e viene utilizzata, nelle parole dell’artista, «come un elemento quasi plastico».