Attualità

Dagli sbagli si impara

Ascesa, declino e ritorno (forse) di Nokia, l'ex leader mondiale della telefonia mobile che comincia a orientarsi nel mercato degli smartphone.

di Michele Boroni

Nell’ultimo disco di Fabri Fibra c’è una canzone (quasi jovanottiana) dal titolo “Dagli sbagli si impara”. Il ritornello, cantato da Elisa, recita “Gli sbagli ti attirano verso il fondo / il finale poi dipenderà da te (sbagliare è facile) / Ma il segreto è nel capirlo / La notte porta consiglio (dagli sbagli si impara)”. Un invito rivolto alle persone, ma che possiamo applicare anche a brand e ad aziende. A Nokia, ad esempio. Che di sbagli in passato ne ha commessi parecchi e che l’hanno catapultata verso il fondo (come vendite, come reputazione e come oggetto del desiderio). Grazie ad una profonda e fredda analisi degli errori commessi, a una certa dose di coraggio nelle scelte di mercato e una serie di decisioni sull’organizzazione interna, il marchio finlandese ha rialzato la testa e, per la prima volta dopo cinque anni, è tornato a produrre degli utili. Ma quali sono stati gli sbagli che hanno traghettato Nokia dall’essere per 14 anni il più grande produttore di telefoni cellulari al mondo che occupava 130 mila dipendenti in 120 paesi nel mondo fino alla debacle che l’ha portata a licenziare negli ultimi sei anni circa 30.000 dipendenti e a cedere cospicue quote di mercato a Samsung e Apple?

Tutto ha inizio con l’arrivo di iPhone. Allora – era il 2007 – il cellulare di punta della casa finlandese era l’N95, ma il modello e lo standard imposto da Apple erano nettamente superiori. Da qui in poi Nokia non è più riuscita a sfornare un hardware all’altezza dei rivali. Idem sul fronte software: il sistema operativo Symbian, per anni imbattibile per immediatezza d’uso, si è visto sorpassato dalle app e dalla loro facilità d’uso sugli smartphone touchscreen. Poi è arrivato il market di Nokia, Ovi Store, ma non è nemmeno riuscito ad avvicinarsi all’app Store e all’Android Market. Allora Nokia ci ha provato con i servizi musicali digitali e una gigantesca campagna di P.R. ed eventi, ma anche Ovi Music e il programma Comes With Music sono stati snobbati dal pubblico e dal mercato. Stessa sorte per i giochi con la piattaforma N-Gage.

La madre di tutti gli sbagli – tipica da ex leader – è stata quella di essersi ostinatamente tenuta lontana dalla piattaforma Android, che nel frattempo cresceva rapidamente e, con lei, anche i cellulari Samsung, diventata in breve tempo la nuova leader del mercato, cioè la nuova Nokia. Nel frattempo è arrivato Stephen Elop, ex Microsoft, che nel 2010 ha sostituito il precedente amministratore delegato Olli-Pekka Kallasvuo. È lui che ha deciso di mandare definitivamente in pensione Symbian, allearsi con Microsoft e far diventare Nokia il marchio ufficiale dei nuovi modelli con Windows Phone 7, Lumia in primis. Da una parte Nokia si è concentrata sugli smartphone di fascia alta per aumentare rapidamente i ricavi, dall’altra con un prodotto entry level (l’Asha – che in linguaggio Indi significa “speranza” – un cellulare qwerty dual SIM venduto a 60€) venduto nei paesi emergenti, per fare volumi e togliere quote di mercato a Samsung.

Lumia sta funzionando molto bene, specie tra i giovani, per l’integrazione con i social, per un’impostazione della piattaforma molto cool e differente dalla classica sfilza di icone degli altri smartphone (è forse la prima volta che mi ritrovo ad associare la parola cool a Microsoft. Le. Cose. Cambiano). E anche Asha – che è un ottimo prodotto a prezzo basso – sta andando benone. Risultato? Nell’ultimo trimestre del 2012 la divisione cellulari di Nokia ha chiuso con un utile operativo del 2% delle vendite; un risultato inatteso, considerato che a ottobre Nokia aveva previsto una perdita operativa del 10% delle vendite. Anche la divisione reti, una joint-venture tra Nokia e Siemens, ha registrato un utile operativo del 13%.

Risultati positivi che hanno comportato immensi sacrifici, come tagli del personale e chiusura di stabilimenti. Però la modalità con cui Nokia ha gestito la crisi è interessante e mette in luce il genius loci finnico. Nel 2001 le esportazioni di Nokia incidevano per il 25% su quelle della Finlandia e rappresentava il 4% del Pil della repubblica nordica. È evidente quindi che la crisi di Nokia è stata anche la crisi di un paese, che però non è stata accompagnata da barricate sindacali, scioperi e rivendicazioni varie, ma sono stati inventati strumenti di sostegno in linea con la contemporaneità globale. Come il Nokia Bridge, un fondo che finanzia nuove start-up fondate da ex-dipendenti licenziati Nokia, al fine di non disperdere importante know how e stimolare l’imprenditorialità. È stata quindi creata una sorta di Nokia Valley con oltre 300 nuove imprese innovative finanziate realmente dal fondo, alcune delle quali già di successo internazionale. Un modo intelligente, come ha scritto Edoardo Narduzzi su Italia Oggi, per gestire una trasformazione industriale salvaguardando le conoscenze specialistiche. Ecco perché la Finlandia vanta il più basso rapporto debito pubblico/Pil dell’Eurozona.

In altri paesi (indovinate quali?) si sarebbe fatto ricorso all’aumento indiscriminato della spesa pubblica piuttosto di puntare sull’innovazione privata, creando un circolo vizioso.

Dagli sbagli s’impara. Ma anche dalle soluzioni virtuose.

 

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