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Perché la moda cerca i paparazzi?

Non è un rapporto nuovo ma è sempre più stretto il legame tra paparazzate e campagne pubblicitarie dei grandi brand.

di Caterina De Biasio

Nella Dolce Vita di Fellini, Paparazzo si distende per terra a scattare, incita alla violenza per ottenere foto più suggestive, trama con furbizia per ottenere lo scoop, il flash sempre pronto in una mano, e nell’altra la macchina fotografica. Sono passati più di sessant’anni dalla creazione di questo personaggio, che segue il protagonista Marcello, interpretato da Mastroianni. Ispirato al grande fotografo Tazio Secchiaroli, Paparazzo darà poi il nome a tutti quei fotografi che per professione immortalano scoop, segreti e vita quotidiana di personaggi famosi. Figura che per antonomasia dovrebbe rimanere nell’ombra, senza nome, per contare al meglio sull’effetto sorpresa e catturare i momenti più veri del soggetto rincorso, col tempo il paparazzo è lui stesso assurto a celebrità, grazie a figure come Ron Galella e Bill Cunningham, diventati famosi sia per la loro bravura sia per prossimità alla celebrità delle stesse persone che ritraevano, che si è traslata su di loro. L’emancipazione e legittimazione di questa figura spesso disprezzata hanno portato a una conseguente collaborazione (più o meno cercata) con la moda, sempre ansiosa di aggiornare il proprio linguaggio visivo.

Da quando la moda ha iniziato a stringersi sempre di più attorno a Hollywood e a tutta la “celebrity culture”, i paparazzi hanno svolto un ruolo importante per brand e case di moda. Capaci di catturare i momenti di quotidianità di personaggi famosi, lo stile dei paparazzi è servito alla moda per riprodurre e attrarre immediatezza e realismo. Nel 1992 Steven Meisel, maestro di perfezionismo e studioso maniacale dei dettagli, scatta la campagna “La Dolce Vita” per Dolce & Gabbana, con Isabella Rossellini e Monica Bellucci circondate da uomini adoranti. E sempre Meisel scatta la cover di Vogue Italia del gennaio 2005, “Hollywood Stile”, specchio glamour ma studiatamente trasandato di anni in cui l’ossessione per la vita privata delle celebrity era alle stelle (basta ricordarsi dell’attenzione morbosa che circolava intorno a Kate Moss e a Britney Spears). È in questi anni che il rapporto tra celebrity, paparazzi e, più in generale, i media, cambia. Nonostante il potere non fosse mai stato solo dalla parte dei fotografi, tanti personaggi famosi hanno compreso l’importanza di avere controllo completo sulla propria immagine e, di conseguenza, hanno imparato a sfruttare al meglio le foto dei paparazzi. Negli ultimi anni, sono diventati perciò sempre più frequenti i servizi creati in accordo con i fotografi, spesso usati come occasione per promuovere prodotti o per creare una narrazione coerente con il personaggio che il pubblico desidera vedere.

Sono tanti i marchi, a cominciare da Balenciaga che nel 2018 utilizzò Kim Kardashian (regina degli accordi commerciali con le testate di gossip, in particolare Tmz) e Kanye West, che hanno usato l’immagine da paparazzo come immagine pubblicitaria: d’altra parte quel tipo di fotografia è da sempre in bilico tra verità e finzione, calcolo e spontaneità, contrasti su cui la moda ama lavorare. Lo scorso ottobre è uscita la campagna della valigeria Gucci con protagonisti Kendall Jenner e Bad Bunny fotografati in aeroporto, con l’iconografia classica delle immagini paparazzate di attori famosi in viaggio (vedi l’account Instagram Airport Looks): il flash, i soggetti in movimento, l’abbigliamento comodo da tutti giorni (i giorni di una stretta minoranza di persone, ovviamente). Gucci ha poi utilizzato lo stesso format con Nini e Chang Chen, gli attori della serie televisiva cinese Love and Destiny. A fine gennaio GCDS, il marchio fondato da Giuliano Calza, ha lanciato la collezione Primavera Estate 2024 con la campagna “Baci da L.A.” collaborando con l’agenzia di immagini Backgrid. I modelli sono stati paparazzati in luoghi molto riconoscibili della città, meta di sogni di fama e casa di molte celebrity.

Sempre a Los Angeles si era già svolta la sfilata Pre Fall 2024 di Balenciaga, in cui i modelli indossavano i classici look della Hollywood contemporanea: tute da ginnastica e sneaker, soprattutto, con tanto di smoothie del supermercato di lusso Erewhon (il New York Magazine aveva dedicato un lungo articolo alla sua interessante storia), in un tentativo di critica e celebrazione del celebrity system. Il marchio Sporty&Rich, invece, aveva ambientato la sua campagna per l’Autunno Inverno 2023 scegliendo di ricreare le paparazzate di Carolyn Bessette e John John Kennedy, anche loro presenze fisse sui moodboard social, da Tumblr a TikTok. Lo scorso dicembre, Bottega Veneta ha poi confermato una volta per tutte il rinnovato interesse della moda per la fotografia dei paparazzi, questa volta però acquisendo direttamente le immagini dalle agenzie fotografiche Getty e Backgrid. Il marchio infatti ha scelto Kendall Jenner e A$AP Rocky, che hanno indossato alcuni total look della collezione Resort 2024 alcuni mesi prima della sua uscita, un approccio che continua, come dimostra la bella foto di Ayo Edebiri in total look Bottega Veneta circolata negli ultimi giorni. Le immagini di Kendall e A$AP sono diventate subito virali e sono comparse poi come parte della campagna ufficiale, con il nome del brand stampato sopra: così Bottega Veneta ha convalidato ed esteso la propria autorialità sulle fotografie.

Questa rinnovata attenzione da parte della moda per le fotografie dei paparazzi non sottolinea solo la necessità dei marchi di stare al passo con le tempistiche forsennate dei social media e di ingannare i loro meccanismi, appropriandosene con strategie mimetiche. Non è neanche la semplice conferma della curiosità spasmodica che la società contemporanea ha per le vite dei personaggi famosi, ai quali imputa spesso colpe che non riesce ad assumersi. E non è nemmeno solamente una reazione ai tempi nostalgici in cui viviamo, in cui il passato assurge a presente, in cui icone e immaginari trascorsi – gli anni Novanta e i primi anni Duemila, in questo caso – diventano oggetto di venerazione malinconica (come successo con l’ultima, meravigliosa, sfilata di John Galliano per Maison Margiela). Appropriarsi dei codici stilistici e delle immagini stesse dei paparazzi è tutte queste cose, ma anche il sintomo di un nuovo rapporto con il concetto di autorialità e originalità, che rinnova il dibattito perpetuo sulla veridicità delle immagini, ora più che mai intensificato dallo sviluppo e dalla democratizzazione dell’intelligenza artificiale. Queste campagne si prendono gioco del concetto di originalità, e fanno salire a galla innumerevoli domande, alcune delle quali già assillavano quasi un secolo fa Walter Benjamin. Di chi sono queste immagini? Dei paparazzi? Del marchio che le utilizza per farsi pubblicità? Quanta autorialità può avere un paparazzo e quanta autorialità viene oggi richiesta a un marchio? Le immagini una volta acquisite dal brand acquisiscono un valore artistico autoriale? Prima non lo avevano? Quello che vediamo è reale? Le immagini paparazzate che vediamo riprodursi all’infinito nel web sono un’adeguata rappresentazione della realtà che pretendono di immortalare? E quanto c’è di reale nella vita delle celebrity che cerchiamo di intravedere e comprendere da pochi scatti? Sono gli scatti a essere falsi o lo è la realtà stessa?

Se le campagne paparazzate ci scandalizzano perché ci fanno indagare sul significato di originalità, non può che farci bene. Se ci corrucciamo a vedere campagne in cui ci sono «boring clothes», specchio di una «perverse banality», come ha spiegato Matthieu Blazy a Business of Fashion, non può che essere un buon segno. In Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia diceva che solo le persone profondamente incerte si scandalizzano. Anche questa volta la moda ci restituisce quello che più o meno scientemente chiediamo, e lo porta all’estremo, appropriandosi di codici in modo deliberato, rendendo opaco e visibile il nostro bisogno di essere rassicurati e rifugiarci nel passato e nel conosciuto. Queste campagne, ognuna a modo suo, in maniera più o meno riuscita, non ci restituiscono un’immagine di quello che sono diventate le celebrity, e neanche di quello in cui si è trasformata la moda. Ci fanno vedere come siamo diventati noi e ci mettono davanti ai nostri desideri e alla nostra profonda, perversa banalità.