Sotto casa mia c’è un cantiere della metropolitana, la linea 4, quella che porterà dritti a Linate, in un tunnel senza i trenta semafori che ora mi separano dall’aeroporto. “Sotto” significa che da quasi due anni non si può entrare con l’automobile in cortile, e più di una volta ho visto parcheggiati tra le biciclette dei condomini quei pianali con le ruote che si usano all’Ikea: servono per portare bagagli, bambini, cani, passeggini, borse della spesa (ho visto anche una carriola e ho invidiato il suo proprietario geniale). “Sotto” significa che il marciapiede che porta al mio portone è stretto, e camminarci è diventato un esercizio di civiltà: non avevo mai litigato per strada con nessuno prima d’ora, ma adesso se incrocio qualcuno che non cammina in fila indiana sulla sua destra, o peggio un ciclista che non scende dalla bicicletta, non riesco a non discutere (i miei figli appena intravvedono uno di questi “incivili” mi stringono forte la mano, come un’implorazione: mamma ti prego, niente scenate).
“Sotto” significa che vivo nel frastuono: le città non sono silenziose, va bene, ma certi rumori, questi rumori, non li avevo mai sentiti tutti insieme, è come un’unghia sulla lavagna ma più acuta e più forte e in ogni momento – no, non ogni momento, ma il mio sistema nervoso è sempre in modalità “rumore insopportabile”. “Sotto” significa che le cantine si allagano, che sui muri si aprono delle crepe profonde e dritte, sempre nuove, il perito segna e controlla e rassicura, e quando un’amica ha detto, commiserandomi: «Non è che viene giù la casa?», mi sono ritrovata a parlare dello studio millimetrico per evitare le fondamenta dei palazzi, è tutto calcolato, non ci sono pericoli. Ma ora non penso ad altro: e se viene giù la casa? “Sotto” significa che la mia posta è intasata di messaggi: non abbiamo potuto consegnare il pacco, a casa non c’era nessuno. A casa c’è sempre qualcuno, ma i corrieri vedono il buco e scappano, forse mi maledicono, e ogni messaggio di Esselunga online mi terrorizza: sono certa che prima o poi mi diranno che sono molto dispiaciuti, ma al mio civico non consegneranno più fino a fine lavori, cioè il 2022.
“Sotto” è disagio e nervi a fior di pelle, ma è anche un alibi straordinario. Se non sento le urla dei figli che si picchiano è perché c’è il cantiere, se prendo una multa via l’altra non sapendo parcheggiare è perché c’è il cantiere, se restiamo senza cibo per via della mia distrazione è perché c’è il cantiere, se sono in ritardo è perché c’è il cantiere, se non sopporto più il disordine, i bambini addosso, il rumore dei videogiochi è perché sono oppressa dal cantiere. Sono inattaccabile: c’è il cantiere.
Quando tutto era ancora all’inizio e mi infastidivano le prime trivellature, mio marito era stato categorico: non si firmano petizioni, non si fanno volantini, non si partecipa a proteste, ogni istinto no-tav sarà punito. Lui riassume una coscienza cittadina, direi milanese ma credo sia molto di più: i sacrifici che facciamo oggi, i tappi nelle orecchie, le valigie trascinate nelle pozzanghere, non sono nulla rispetto al beneficio, alla bellezza, che avremo domani. Lui sopporta stoico, ridimensiona i disagi, seda gli allarmismi, alza gli occhi dal buco sotto casa e vede quanto il nostro “sotto” sarà elegante e funzionale. Avete presente quelli che dicono tutto bene ma fuori dal mio giardino? Ecco, il contrario.
“Sotto” significa anche tornaconto personale. Mio marito non può lamentarsi mai, io posso farlo sempre, e i figli sono silenziati dall’incrollabile, ammirabile fiducia paterna nel progresso. Loro non lo sanno, ma quando i lavori saranno finiti probabilmente vivranno già fuori casa, e sarò io a godermi il silenzio, gli alberi, i sorrisi dei negozianti, la linea diretta per Linate (perché viaggerò moltissimo), questa Milano che ogni giorno è più comoda e più vivibile. Intanto mi tengo stretto il mio cantiere, con quei deliziosi ponticelli che sbucano intatti dagli scavi, arredamento incantevole al mio alibi perfetto.