Attualità

Masielli, factotum e zingari

Gli ultimi sviluppi levano quel poco di fascino esotico al romanzo globale del calcioscommesse

di Davide Coppo

C’è da distinguere tra Bari e Cremona, in tutto questo chiacchiericcio su scommesse, derby venduti, masielli, factotum e zingari.

L’indagine della procura lombarda, come testimoniato dalle 340 pagine di ordinanza di custodia cautelare (invero uno dei romanzi italiani più avvincenti usciti negli ultimi cinque anni), si occupa di una rete internazionale di scommesse, non clandestine ma perfettamente legali. Il crimine sta tutto nella manipolazione dei risultati delle partite, per poter poi puntare grossi quantitativi di denaro sul finale pre-deciso. Una rete che parte da Singapore, passa dalla Malpensa, poi giù a Mantova, Piacenza, Bologna, Grosseto, riparte per l’estremo oriente ma facendo tappa in Germania, Finlandia, Croazia, Ungheria. Lo scenario è, perdonate la leggerezza, affascinante. Certamente letterario, tipico di quei romanzi che in pochi ammettono a voce alta di aver letto e apprezzato, ma di cui tutti conoscono l’immaginario. Intrighi trans-continentali, voli tra Sud America, Europa, sud-est asiatico, un incrocio di etnie, lingue, monete. Ci sono anche, nell’intreccio, transazioni di denaro, telefonate da un capo all’altro del mondo, passaporti truccati, schede telefoniche piratate, remoti server cinesi utilizzati per puntare centinaia di migliaia di euro su un’apparentemente insignificante partita tra squadre della maremma toscana. Il gruppo criminale composto da bulgari e slavi dal volto sfregiato dalle cicatrici, il capo, un oscuro e apparentemente taciturno singaporiano sempre in volo tra l’Europa e l’Asia. Le voci su un traffico d’armi che pende sull’organizzazione, più come una minaccia fantasma che come un legittimo dubbio. C’è il cast, c’è il regista, ci sono i pesci piccoli e quelli grossi, c’è la scenografia e la sceneggiatura. Ci sono anche atti di timido o involontario eroismo, nascoste nelle nefandezze dei corrotti di provincia, ma è una storia lunga, romantica e forse nemmeno tanto vera. Perché nemmeno le intercettazioni, nemmeno gli atti della procura sono strumenti precisi e sicuri, almeno non del tutto.

Per quanto riguarda Bari la storia è differente. L’Ordinanza di Custodia in Carcere è in questo caso più smilza, le pagine sfiorano il centinaio senza raggiungerlo, e tratta un triangolo di individui, ristretto ed omogeneo. C’è Andrea Masiello, venticinquenne (non è un dettaglio. Venticinquenne.) difensore dell’Atalanta, in precedenza al Bari, e i suoi amici pugliesi Giovanni Carella e Fabio Giacobbe, circa cinquant’anni il primo, poco più di trenta il secondo. Le pagine fotocopiate della procura, in questo caso, non hanno nulla di affascinante. Sono presente anzi quasi soltanto interrogatori, pubblici ministeri dai nomi sciasciani (De Angelillis) che bisticciano con l’avvocato di turno che intromette la sua curiosità tra la domanda e il balbettante tentativo di risposta dell’interrogato («E aspetti, avvocato! Facciamo parlare lui, sennò…!»). Gli scenari sono quelli più familiari, ma molto meno esotici e meno fantasiosi, del meridione italico, tra ritiri, trasferte, ristoranti di pesce e faccendieri factotum bolsi e vittimisti. La stessa intercettazione ambientale tra Iacovelli e De Tullio, in una sala d’attesa della Procura, puzza di pareti ingiallite e lampadine intermittenti. Un’altra storia, certo coinvolgente, ma molto meno “spy”, e molto più tristemente italiana. Ci si immagina quasi anche la copertina, un tascabile degli anni ’80 con una brutta grafica invecchiata.

Poi ti fermi, e pensi che un “romanzo” ti ha fatto intravedere palme, spiagge, un po’ di Prova a Prendermi e un po’ di Bourne Supremacy, ma l’altro ti ha lasciato qualcosa nel petto, come un fastidioso sassolino che lentamente diventa piombo pesante. Capisci che c’è qualcosa di diverso dell’indagine di Bari, c’è un protagonista che non è da ascrivere alla sfera dei malavitosi, dei criminali, dei truffatori. La scommessa è un vizio, Beppe Signori lo sa bene, e come ogni vizio contiene anche una piccolissima dose di giustificazione, di umana compassione. Quello che Andrea Masiello, un ragazzo di venticinque anni che si è spesso fregiato della fascia rossa di capitano, ha fatto in occasione di Bari-Lecce, non ha nulla a che fare con il vizio, con il peccato, con la possibile redenzione. Non c’erano scommesse in ballo, solo una valigetta con dei soldi. È pura infamia. Ha voluto, spingendo la palla in porta, quando già i suoi compagni di squadra avevano rifiutato di vendere la partita più importante dell’anno, «cristallizzare definitivamente l’esito di sconfitta per il Bari», come scrive lui stesso, con una precisione e una lucidità grottesche e rabbrividenti, nella nota inviata al pm pochi giorni fa. Curzio Malaparte, ne La Pelle, descrive l’orrore incomprensibile delle madri napoletane che, nel dopoguerra, vendono i propri figli ai soldati marocchini, i tristemente famigerati goumiers. Il romanzo della procura di Bari ci racconta dello stesso sentimento, lo stesso brivido di disgusto nell’unico conflitto che credevamo sano, e bello, e infinito. Masiello ha venduto più dei suoi figli, ha venduto l’anima di una città intera.