Maria Bakunin, vita dimenticata di una donna illustre

Figlia del famoso rivoluzionario anarchico, scienziata, mezza russa, mezza napoletana, un libro di Mirella Armiero racconta la storia di una figura antesignana di molte cose.

08 Maggio 2025

Chi era Maria Bakunin? Una domanda a cui probabilmente in tanti non saprebbero rispondere, a dispetto dell’eccezionalità che ha connotato questa donna: metà russa e metà italiana, per la precisione napoletana, vissuta a cavallo tra due secoli e sempre geniale e anticonvenzionale. Il primo merito della giornalista Mirella Armiero, direttrice delle pagine culturali del Corriere del Mezzogiorno, tornata in libreria con Un pensiero ribelle (Solferino), è quindi di aver dedicato la propria attenzione a una figura così immeritatamente dimenticata, a cui tutti dobbiamo moltissimo e che fu una vera e propria outsider, una pioniera che segnò un prima e un dopo nella cultura otto-novecentesca.  

Una famiglia particolare

Il suo cognome dice già qualcosa, rivelatore com’è di una parentela non da poco, connessa direttamente al celebre filosofo nonché ideologo dell’anarchismo moderno Michail Bakunin, il quale, pur non essendo il padre biologico di Maria, costituirà per lei un riferimento costante, l’esempio morale e insieme etico con cui confrontare la propria esistenza, che tuttavia seguirà itinerari diversi. Difatti la vita di Maria, chiamata affettuosamente Marussia, prese direzioni imprevedibili: nata nella Siberia centrale, terzogenita di quattro fratelli, in seguito alla morte di uno dei due fratelli maggiori si stabilì definitivamente a Napoli, città che accolse per un periodo lo stesso Bakunin. Con lei c’era anche la madre Antonia, ufficialmente vedova ma già compagna di Carlo Gambuzzi, che la donna avrebbe presto sposato e che era tra i fedelissimi del rivoluzionario russo, e come lui anarchico e prosecutore in terra partenopea dei suoi ideali, che andavano intanto diffondendosi in tutta Europa. 

Basterebbero queste poche e suggestive notizie per capire di essere di fronte a una famiglia fuori dalla norma, per nulla ortodossa e ancor meno prevedibile, strabiliante nelle sue relazioni intime quanto in quelle pubbliche, in qualunque suo legame interno ed esterno. Legami che Mirella Armiero ha ricostruito minuziosamente, col gusto della ricerca scrupolosa mista all’empatia; lo ha fatto cioè senza mai stancare, e con una perizia appassionante e arguta ci ha restituito il ritratto di una figura non comune, il suo come quello dell’ambiente in cui crebbe fin da bambina, e che non a caso permise al suo genio di crescere e fortificarsi. 

La prima donna laureata in Chimica in Italia

Seguiamo quindi la giovane Marussia maturare una speciale inclinazione per le materie scientifiche, e dal liceo passare rapidamente all’Università di Napoli, iniziando a lavorare a soli 17 anni come “preparatore” nei laboratori accademici. Attraverso i capitoli la vediamo laurearsi in Chimica, prima donna in Italia, con una tesi sperimentale e avendo come relatore il suo futuro marito. Ma la vediamo anche diventare professoressa ordinaria nel 1906, la vediamo essere eletta socia dell’Accademia nazionale dei Lincei nella classe delle scienze fisiche e perfino venire ammessa all’Accademia Pontiniana, della quale nel ‘44 diventerà presidente per volere di Benedetto Croce. Tutti avvenimenti di portata storica, tradizionalmente preclusi al genere femminile e a quello italiano in particolare. 

Come se non bastasse, la storia di questa scienziata è avvincente anche per tutto il resto, andando oltre i suoi successi e il suo curriculum. Maria Bakunin è stata tantissimo altro, e il secondo grande merito del libro di Mirella Armiero è averne dato conto, attraverso una delicata archeologia dei ricordi, dissepolti anche tramite svariate interviste a persone che conobbero la grande chimica. 

Dietro le quinte

Un pensiero ribelle riesce così a far emergere, e coraggiosamente, anche il privato della studiosa italo-russa, nei suoi aspetti più nascosti e spinosi, nelle sue fragilità, nelle sue speranze e nelle sue delusioni. Tuttavia il dietro le quinte di Maria Bakunin, se così possiamo chiamarlo, il backstage di colei che era soprannominata la Signora, per la sua autorevolezza e i suoi modi severi, ha qualcosa di diverso rispetto al quello di chiunque altro. L’origine, tanto per cominciare, e la sua eredità valoriale con cui fare i conti; ma anche il contesto storico, specie il periodo nazifascista, affrontato tra numerose contraddizioni e traversie; senza dimenticare il lato sentimentale, dove similmente Marussia lasciò il suo marchio, uno di libertà ed emancipazione. 

Veniamo poi a conoscenza di altro; piccole, insospettabili rivelazioni che illuminano ancora di più quest’intellettuale irripetibile: adorava i gatti, tanto da averne la casa piena, e viveva letteralmente attaccata all’Università Federico II, alla quale accedeva attraverso una finestra che dava sulla strada, numerata come fosse un civico. Maria Bakunin fu inoltre un’instancabile viaggiatrice e nell’ultima parte della sua vita era solita parlare con un sacerdote, col quale discuteva di tutto tranne che di religione.

Rivoluzionaria mancata

«Maria non visse da rivoluzionaria» scrive l’autrice, «ma più di un indizio ci dice che in fondo le sarebbe piaciuto»; ed è vero, in quanto il sovvertimento d’ordini di Maria Bakunin si verificò non in versione classica, non prevedeva fughe e inseguimenti, non credeva nella lotta più spicciola. La sua battaglia avvenne piuttosto tra libri, calcoli ed esperimenti, il suo sforzo fu volto a ribaltare atavici luoghi comuni e la sua guerra non si affidò che all’intelletto. Quella guerra è diventata anche la nostra, se pensiamo alla quantità di donne ancora fiaccate da preconcetti in relazione ai settori di studio, le stesse che continuano a faticare per dedicarsi a discipline scientifiche (le cosiddette STEM, acronimo inglese che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics). Solo tenendoci dentro il perimetro italiano, come riporta l’ultimo aggiornamento di Save the Children sulla base di dati Istat del 2024, le ragazze tra i 25 e i 34 anni con una laurea in questi ambiti sono appena il 16,8 per cento, in sostanza meno della metà dei loro colleghi di sesso maschile: una disparità che all’epoca di Maria Bakunin era ben superiore, meglio ancora era un invito alla resa se non alla disfatta completa. Maria Bakunin invece visse per testimoniare l’esatto opposto. Ancora oggi il suo percorso non fa che parlarci di una vittoria, della possibilità di scardinare un pregiudizio, della potenzialità infinite di una donna e ancor prima di un essere umano.

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