I libri del mese

Cosa abbiamo letto ad aprile in redazione.

30 Aprile 2025

Luca Misculin – Mare aperto (Einaudi)
Sono da anni appassionato di cose mediterranee, profondamente convinto che l’identità di questo continente sia nata e si sia formata sulle coste di questo mare, sulle sue rotte, tra le sue onde violente. Negli anni, mi sono fatto la mia piccola biblioteca: con il sommo Braudel e il suo successore Maurice Aymard, l’altrettanto imprescindibile Prefrag Matvejevic, ma anche Iain Chambers, Alessandro Vanoli, e il recente punto di vista climatico di Stefano Liberti in Tropico Mediterraneo. Infine è arrivato Mare aperto, di Luca Misculin, l’esordio della nuova collana Maverick di Einaudi, ed è riuscito a trovarsi uno spazio originale e un pubblico che, spero, sarà molto ampio. Rispetto ai libri già citati, Misculin si concentra sul Mediterraneo centrale, un fazzoletto più ristretto di spazio, ma in cui il peso specifico della materia storica è inestimabile: per questo Mare aperto è uno dei libri più ricchi di storia e storie che mi sia capitato di leggere di recente, in cui tre pagine hanno la densità di un capitolo intero. Quella che traccia Misculin è una “storia umana”: e si inizia proprio da quando i Sapiens e i Neanderthal riuscirono ad affrontare le poche miglia marine che li dividevano per avvicinare Africa ed Europa, dal principio – e non andrò bene ai Neanderthal. Poi: le antiche civiltà di Pantelleria, le espansioni e conquiste cartaginesi, il Medio Evo tra arabi e cristiani, la schiavitù, fino ad arrivare alla Libia, teatro principale di movimenti di popoli, conquistatori e fuggitivi, per tutto l’ultimo secolo. Al centro di tutto Misculin ci mette gli uomini, i loro spostamenti di massa, le ibridazioni culturali e genetiche che hanno causato. Chi avesse ascoltato e amato il podcast L’invasione, uno straordinario viaggio alle origini della lingua protoindoeuropea e di quelle che parliamo oggi in quasi tutta Europa, ci troverà lo stesso tono di voce, la stessa mano tesa a indicare insieme uno studio di genetica, una notizia storica e la sua eco contemporanea. (Davide Coppo)

Vanni Santoni – Il detective sonnambulo (Mondadori)
Una storia che inizia a Parigi, prosegue a Davos e poi in Svizzera, passa per Berlino e Venezia, leggendo Il detective sonnambulo mi è sembrato di essere davanti a uno di quei film il cui fascino sta esattamente nel fatto di essere ambientato intorno al mondo, con personaggi che il giorno prima stanno a New York e quello dopo a Johannesburg. Film come Tenet, che, d’accordo, è probabilmente la cosa riuscita peggio a Nolan, ma che elettrizzava anche solo per il suo spostarsi da un capo all’altro del mondo. Probabilmente vi sto dando un’idea sbagliata di questo libro, che è qualcosa di completamente diverso da Tenet, perché di base è una storia d’amore e la storia di un inseguimento d’amore tra il protagonista-voce narrante Martino e l’inafferrabile e cangiante Johanna, ed è anche un libro molto più letterario che cinematografico, bolaniano sin dal titolo, e pure un po’ delilliano nel suo apocalittisimo politico, ma ha di bello, e di piuttosto inedito per un romanzo italiano, questa ambizione globale. Non molto tempo fa, parlavamo su Rivista Studio di romanzi expat, Santoni riesce a fare una cosa ancora diversa: un romanzo italiano che parla del mondo, e di alcuni suoi luoghi chiave, come Davos, l’overturistica Venezia, la discarica a cielo aperto del fast fashion del deserto di Atacama e che quindi, in assoluta controtendenza rispetto ai successi editoriali odierni, quasi tutti ambientati in un passato rurale o postbellico, si incardina nella contemporaneità. Notevole. (Cristiano de Majo)

Coco Mellors, Le sorelle Blue (Einaudi)
Traduzione di Carla Palmieri
Da grande fan di Cleopatra & Frankenstein, un libro godibilissimo, divertente, struggente (ne avevo scritto qui), attendevo con ansia Le sorelle Blue, che avevo intuito essere una specie di Piccole donne in cui però le sorelle sono tutte tossiche e/o alcolizzate e/o traumatizzate da qualcosa (perfetto!). Forse per chi trova noioso leggere di persone la cui vita ruota intorno alle dipendenze Mellors potrebbe risultare un po’ ripetitiva, ma per chi, come lei, ha vissuto in prima persona questo tipo di esperienza, i suoi libri funzionano come un mix tra la psicoterapia e gli incontri degli AA (senza però lo sbatti di dover abbracciare degli sconosciuti, come succede alla fine degli incontri AA, o dover spendere centinaia e centinaia di euro in psicoterapia, che è sicuramente peggio di abbracciare sconosciuti). La storia è questa: ci sono tre sorelle che devono affrontare il lutto della quarta, morta di overdose. A differenza della morta, che viveva a New York nella casa dove tutte hanno trascorso l’infanzia, loro sono andate via. Lucky vive a Parigi ed è una modella di successo la cui dieta consiste in cocaina, alcol e sigarette (groundbreaking). Avery è un’ex eroinomane ora avvocatessa che vive a Hampstead, Londra, con sua moglie psicoterapeuta. Bonnie è una campionessa di pugilato che dopo un incontro traumatico ha mollato lo sport e ora fa la buttafuori di un locale di Los Angeles. Ancora una volta, come in Cleopatra & Frankenstein, i dialoghi sono troppo brillanti per essere realistici (stile Una mamma per amica, per capirci, ma molto più dark), e tutti sono assurdamente acuti, sarcastici e dotati di uno humor nero impeccabile. Ma questo è il bello di Coco Mellors e della “sad girl literature”: sono dei comfort book che aiutano noi “sad girl” a rilassarci e galleggiare nella nostra comfort zone, senza sforzi mentali, morali, letterari, intellettuali, senza alcun tipo di sforzo insomma, consentendoci di sguazzare nei meccanismi e nelle dinamiche che già conosciamo a menadito, un po’ come quando invece di guardare qualcosa di nuovo ci concediamo il settantesimo rewatch di Ragazze interrotte o Il giardino delle vergini suicide. Coco Mellors, ti prego, sbrigati a scriverne un altro, sono già in astinenza. (Clara Mazzoleni)

Esther Kinsky, Di luce e polvere (Iperborea)
Traduzione di Silvia Albesano
La morte del cinema è uno degli argomenti prediletti di qualsiasi cinefilo, perché tutti noi, segretamente, vergognosamente, speriamo di partecipare al funerale, o quantomeno di assistervi. Esther Kinsky deve essere una gran cinefila e dopo aver letto Di luce e polvere spero sia lei a fare l’elegia al funerale del cinema: più che dei tentativi di tenerla in vita artificialmente, la Settima arte merita chi la sappia piangere e quindi ricordare e infine tramandare, proprio come fa lei in questo libriccino triste persino più dello stato del cinema. Non saprei dire quale storia racconti Di luce e polvere: so che la protagonista è un’amante dell’immagine, forse una fotografa dilettante, certamente una cinefila (anche lei). So che a un certo punto si ritrova, questa protagonista, in uno sperduto paesino nella pianura ungherese, “condannata” a riaprire il cinema locale anche a costo di mollare la sua tranquillissima vita a Budapest. È tutto qui, questo libro, che ha quasi niente a che vedere con la narrativa, proprio come certi classici del cinema delle attrazioni americano o dei teorici sovietici. È tutto un susseguirsi di immagini, Di luce e polvere, le pagine si srotolano davanti agli occhi come i fotogrammi di una pellicola, l’occhio si trasforma in un apparato che permette la proiezione dell’immagine nella testa: la lettura come proiezione, la letteratura come il cinema, il libro come il film. Non mi viene in mente nessuno che sia riuscito a unire le due arti come è riuscita a fare Kinsky, una di quelle scrittrici capaci di descrivere l’aria, la luce e la polvere, appunto, di raccontare i moti dei corpi celesti partendo dal galleggiare di un cetriolo in un barattolo di sottaceti (lo fa veramente, in questo libro, in un paio di pagine di una bellezza inavvicinabile), i luoghi dalle loro rovine, andando a ritroso nel tempo e oltre lo spazio proprio come un montatore. Non mi viene in mente neanche nessun libro che abbia raccontato il cinema così, senza parlare mai di film ma in continuazione di cellulosa, punzonatrici e seggiole, di cornici, finestre e obiettivi. È quasi come se Kinsky avesse voluto dire agli altri cinefili come lei di rassegnarsi ché, alla fine, questo resterà del cinema: archeologia, reperti che chissà, forse un giorno qualcuno troverà tra la luce e la polvere, e chissà che ne capirà. (Francesco Gerardi)

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