Attualità

Il ritorno Del Toro

Guillermo Del Toro torna nelle sale venerdì. Flash back nella sua carriera di regista e produttore, sempre fedele a se stesso

di Federico Bernocchi

Questo venerdì uscirà nelle nostre sale un film intitolato Non Avere Paura del Buio. Si tratta di un deludente horror diretto dall’esordiente Troy Nixey, con la scarsissima Katie Holmes in Cruise e, un qui particolarmente negato, Guy Pearce. Il film è un remake di un oscuro Tv Movie inglese omonimo del lontano 1973, con il grande Jim Hutton e la piccola Kim Darby, la protagonista de Il Grinta originale, quello con John Wayne. La storia è quella di una coppia che si trasferisce, in compagnia dell’insopportabile figlia di lui, in una vecchia casa in campagna. La dimora ovviamente nasconde un orribile segreto: è piena di piccoli esserini simile a delle talpe che vanno ghiotte di denti di bambini. Il tutto si trascina per i classici novanta minuti e fondamentalmente è una serie di sequenze tutte uguali che possiamo così riassumere: bambina con faccia molto preoccupata in stanze oscure e spaventose, porte che si chiudono da sole, archi a salire, attacco delle minitalpe cattive, salvataggio in extremis dei genitori che ovviamente non credono alla bambina preoccupata. Tutto qui. Con l’aggravante di Katie Holmes. Eppure, detto tutto questo, nonostante penso sia evidente che il film non mi è piaciuto, Non Avere Paura del Buio è un titolo da difendere. Il merito è del nome produttore: Guillermo Del Toro.

Il motivo per cui il messicano Guillermo Del Toro va difeso senza se e senza ma è presto detto: il regista, sceneggiatore e produttore di origini messicane, sembra essere oggi una delle chiavi di volta del cinema di genere europeo e americano. Andiamo con ordine: la carriera di Del Toro comincia a metà Ottanta, come realizzatore di effetti speciali e di make up con la sua compagnia Necropia. Dopo aver preso parte, in qualità di regista, alla serieLa Hora Marcada (una sorta di versione messicana di Ai Confini della Realtà) dove conosce Alfonso Cuarón, esordisce nel 1993 con Cronos. Il film – una storia di vampiri – vanta un attore come Ron Pearlman nel cast e un passaggio alla Settimana della Critica al Festival di Cannes. Del Toro diventa immediatamente uno dei nomi più interessante del cinema messicano. Passano quattro anni e Hollywood gli affida un budget piuttosto elevato per il bizzarro Mimic, un horror metropolitano con Mira Sorvino, Giancarlo Giannini e degli scarafaggi giganti in impermeabile. Il film, pur forte di ben due seguiti (che, incredibilmente, vi sconsiglio) al botteghino funziona come previsto. Quello che è chiaro però, è che il regista riesce a farsi valere anche con una storia che è riduttivo definire come imbarazzante. In Messico però succede qualcosa di impensabile. Nel 1998 il padre di Del Toro viene rapito. Il ragazzo ha soli 34 anni e dirige film a Hollywood. Troppi soldi per il povero Messico, che reagisce con violenza. La reazione di Guillermo è quella di lasciare la patria per trasferirsi in America. Ma sulla sua strada incontra Pedro Almodóvar. Il regista catalano intuisce il potenziale di Del Toro e, cavalcando l’onda dell’allora accattivante horror spagnolo (vedi nomi come Jaume Balagueró, Paco Plaza o Alejandro Amenábar), gli produce La Spina del Diavolo. Distante dai circuiti e dalle restrizioni del cinema a stelle e strisce, il regista scrive e dirige un horror unico e bizzarro, capace di mettere in luce un talento visionario unico.

Il successo del film lo richiama ancora una volta negli Stati Uniti dove mette il suo talento al servizio di due film come Blade II Hellboy. Con il primo, Del Toro dimostra di essere in grado di fare dell’ottimo cinema d’intrattenimento anche con materiale basso, se non proprio scadente. Con il secondo avviene un vero e proprio miracolo. Hellboy, personaggio nato dalla penna del disegnatore Mike Mignola, risulta perfetto per Del Toro. Gli immaginari dei due artisti sembrano quasi coincidere: uno sguardo misterioso rivolto a un passato carico di suggestioni esoteriche, mostri tentacolari e tecnologia pesante, quasi steampunk. Questi gli elementi che hanno sempre contraddistinto il lavoro dei due. Il film, pur nella sua necessità produttiva di soddisfare un pubblico ben più giovane rispetto a quello del fumetto, è un successo e Del Toro comincia a essere libero di fare quel che vuole. Arriviamo al 2006. La sua mossa successiva è il suo più grande successo e il suo biglietto da visita artistico: Il Labirinto del Fauno. Il film, anche questo girato in Spagna, è una fiaba gotica horror che non ha paura di confrontarsi con gli orrori concreti della Storia (è ambientato durante il franchismo). Finisce candidato agli Oscar. Insieme a lui ci sono altri due messicani: I Figli degli Uomini dell’amico Alfonso Cuarón e Babel di Alejandro González Iñárritu. Si parla di rinascita artistica dei Tres Amigos del Cha Cha Cha. È la consacrazione.

Del Toro nel 2008 dirige Hellboy II: The Golden Army, il secondo capitolo del personaggio di Mignola, ma è nel 2007 che ha l’illuminazione. Con i soldi e la fama acquisita, decide di mettersi a produrre. Dopo aver preso coraggio con il suo Il Labirinto del Fauno e con i corti animati tratti da Hellboy, Del Toro produce un piccolo film horror in Spagna. Il titolo è El Orfanato, o se preferite The Orphanage. Il messicano ha occhio e amore per il genere. Sceglie un regista esordiente, un’attrice affascinante come Belén Rueda e si mette in testa di rilanciare un genere: l’horror gotico. In contrapposizione con il genere americano (ma fondamentalmente con quei soldi) Del Toro plasma una nuova ondata di film costruita sui suoi gusti. Case vecchie, isolate, polverose e donne alla prese con ghost storiesinquietanti quanto affascinanti. Il successo di The Orphanage è tale da creare un vero e proprio nuovo filone. Del Toro dal 2007 al 2011 ha prodotto una quindicina di titoli; la cosa particolarmente interessante è la sua capacità di lavorare tra Messico, Spagna e Hollywood con estrema flessibilità ed intelligenza. Riesce a dare la sua impronta personale a film vicini al suo gusto (come Con gli Occhi dell’Assassino, altro horror spagnolo sempre con la Rueda), a dare il suo contributo al giovane cinema messicano (Rudo y Cursi di Carlos Cuarón, fratello di Alfonso) e, infine, ha cominciato a produrre “filmoni” americani (SpliceKung Fu Panda 2Il Gatto con gli Stivali). Diventato amico di Spielberg e Peter Jackson (per un certo periodo doveva essere proprio lui a dirigere The Hobbit), è riuscito a trovare lo spazio per curare questo Non Avere Paura del Buio. Come si diceva in apertura il film non è di certo esaltante, ma il suo impatto sul mercato cinematografico statunitense è stato tutt’altro che marginale. Non è un caso che dopo la sua uscita siano arrivati titoli come Dream House1921 – Il Mistero di Rookford, titoli che si inseriscono perfettamente in questo nuovo filone nostalgico goticheggiante. Guillermo Del Toro è un esempio di rara integrità artistica. Uno dei pochi in grado di piegare l’industria cinematografica ai propri voleri.