Il Festival di film di Villa Medici, il cinema è arte solo se è radicale

È uno dei giovani festival più interessanti degli ultimi anni, perché mescola arti visive e cinema e ha un programma tanto selezionato quanto “estremo”. Ne abbiamo parlato con Sam Stourdzé, direttore dell’Accademia di Francia in Italia, che del festival è l’organizzatore.

02 Settembre 2025

Con le macerie lasciate da quella catastrofe che la pandemia è stata per il cinema (e non solo per il cinema) ci sono persone che stanno provando a costruire cose nuove. Spazi e momenti, luoghi ed esperienze, comunità ed eventi: la necessità di ritrovarsi in real life, come si dice prendendo in prestito dalla lingua di internet, si è fatta sempre più forte, molto più forte dopo l’isolamento al quale la pandemia ci ha costretti per mesi. Se è vero che le sale soffrono (purtroppo), è anche vero che negli ultimi cinque anni i festival cinematografici italiani stanno vivendo una giovinezza nuova.

Il fenomeno è ancora troppo recente, ci vuole ancora tempo per osservarlo da vicino e capirlo bene. Ma gli indizi ci sono, sono tanti e diversi, quasi una prova: non ci sono solo i festival e le rassegne storiche – sarebbe troppo facile qui citare il Cinema ritrovato di Bologna o il Taormina Film Festival o il Giffoni – ma anche e soprattutto una “nuova generazione” di festival nata negli ultimi cinque anni, idee avute poco dopo la fine dei lockdown, o poco prima. Tra queste, c’è un festival a Roma che in cinque anni soltanto (sembrano tanti, ma non lo sono affatto) si è costruito una comunità di appassionati e affezionati: è il Festival di film di Villa Medici, che il 10 settembre inaugura la sua quinta edizione.

Inventarsi un festival

È bastato essere «radicali», ci spiega Sam Stourdzé, direttore dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, quando gli chiediamo come è riuscito, lui e le persone che assieme a lui organizzano, curano e raccontano il Festival di film di Villa Medici, a “inventarsi” una cosa nuova. Una cosa che tanti addetti ai lavori della cultura hanno paura di fare. Perché è rischiosa. Perché è costosa. Perché è faticosa. Perché viviamo nell’epoca in cui è difficilissimo convincere le persone che il mondo sugli schermi grandi è più interessante di quella riduzione che si trova sugli schermi piccoli.

«Il nostro è un festival di confine, stiamo in equilibrio sulla linea sottile che separa il cinema e le arti visive», dice Sam, con un certo orgoglio e una evidente soddisfazione. A Villa Medici quest’anno, dal 10 al 14 settembre, ci saranno più di 30 proiezioni in sala e all’aperto. Tutti film difficilissimi da vedere al di fuori del circuito dei festival, titoli che raramente arrivano in sala e quando ci arrivano spariscono prima ancora che il pubblico si accorga della loro presenza in cartellone. Film radicali, appunto. «Quando cinque anni fa abbiamo iniziato a immaginare il festival, ovviamente ci siamo chiesti a chi volevamo rivolgerci. La risposta che ci siamo dati, però, è stata leggermente diversa. Ci siamo detti che la nostra priorità era stare dalla parte degli artisti», mi racconta Stourdzé.

Da qui anche la decisione di non affidare il festival a un direttore artistico ma a un comitato di selezione, quest’anno composto da Valentine Umansky, Nicolas Raffin e Clément Postec: «Per avere il maggior numero di punti di vista sul cinema possibile, per offrire film più diversi e lontani di quelli che avremmo mai potuto offrire se ci fossimo affidati a una persona soltanto». Stourdzé è molto protettivo, è molto geloso della giuria del festival: mi precisa che nemmeno lui, nemmeno il direttore dell’Accademia, entra nel processo decisionale. Di influenzarlo non ci pensa nemmeno. «Scopro i film mano a mano che i membri della giuria li selezionano e me li annunciano, solo un po’ in anticipo rispetto al pubblico».

Foto di Nuti – Molajoli ©

La vita a Villa Medici

Stourdzé sottolinea come i membri della giuria del suo Festival non siano “di passaggio”: nei giorni del festival sono ospiti dell’Accademia, vivono lì a Villa Medici, si incontrano, discutono, tengono lezioni ai borsisti delle residenze artistiche. «Diventano anche loro parte della nostra comunità», dice. Quest’anno la giuria è composta da Alain Guiraudie, regista, fotografo, scrittore di fama internazionale; Guslagie Malanda, attrice e curatrice d’arte, candidata al César per la migliore promessa femminile, protagonista (tra le altre cose) di quel gioiello di film che è La Bête di Bertrand Bonello; e Anri Sala, artista visivo che ha rappresentato la Francia alla 55esima Biennale di Venezia. Sono loro che hanno curato le tre sezioni in cui, come tutti gli anni, si divide il Festival di Film di Villa Medici.

La prima sezione è il Concorso internazionale, dodici film che concorrono per il premio al Miglior film e il Premio Speciale della Giuria. La seconda sezione si chiama Focus: articolata attorno alle Cartes blanches, ai Contrechamps e a delle Proiezione speciali. Le Cartes blanches sono affidate ai membri della giuria, funzionano come un dialogo tra le loro creazioni e altre opere, oppure esplorano un tema attraverso un film d’artista. Le proiezioni Contrechamps offrono invece uno sguardo incrociato tra le opere dei borsisti e film – documentari o fiction – tratti dal patrimonio cinematografico o dall’arte contemporanea. Per l’edizione 2025, la regista Alice Diop (suoi il bellissimo Saint Omer, Leone d’argento a Venezia nel 2022) presenta il suo nuovo cortometraggio nell’ambito di una Proiezione speciale seguita da un incontro con la regista. La terza sezione sono Le serate del Piazzale: un film recente, un’anteprima o un classico del cinema in versione restaurata, selezionati da un comitato di organizzazione composto dal regista Laurent Perreau, da Mathilde Henrot e da Lili Hinstin.

L’importanza delle persone coinvolte nell’organizzazione del festival si vede chiaramente nella selezione di film che ogni anno si vedono a Villa Medici, in tutte e tre le sezioni. «Mescoliamo lungometraggi e cortometraggi, film di ogni tipo, su qualsiasi argomento, da tutte le parti del mondo», dice Sam. E anche il modo in cui il Festival offre questi film al suo pubblico è insolito, o meglio, radicale. Le proiezioni sono sparpagliate lungo tutta la giornata, sono in sala e all’aperto (all’aperto è un modo assai riduttivo per descrivere l’esperienza di vedere un film nel meraviglioso piazzale di Villa Medici, tra i giardini e la facciata storica), di sera, nel pomeriggio e anche di mattina. “Sfidare” il pubblico a venire al cinema di mattina, in un momento storico in cui si fa fatica a convincere le persone a uscire di casa, ad alzarsi dal divano, a interrompere il doomscrolling.

Foto di Nuti – Gori ©, courtesy of Villa Medici

Alla ricerca di un film

«Ovviamente all’inizio eravamo in ansia, perché nessuno ci conosceva e perché chiedevamo uno sforzo notevole a quello che ancora non potevamo definire il nostro pubblico». Ma, anno dopo anno, le persone hanno scoperto, si sono appassionate, si sono affezionate. È vero, è difficile per un evento trovare il proprio pubblico, ma una volta che succede è difficile poi che l’evento e suo pubblico si lascino. In cinque anni, il Festival di Film di Villa Medici ha trovato – sarebbe più giusto dire che si è costruito – il suo. Un pubblico variegato, per il 15 per cento composto da stranieri che studiano e/o vivono a Roma, tenuto assieme dall’interessa per tutto ciò che non è mainstream. Per tutto ciò che è cinema ricercato, nel senso che va cercato, che non si trova nella prima sala, al primo spettacolo.

Nella nostra conversazione, Stourdzé più volte si dimostra un appassionato vero, sincero di cinema italiano. Organizza un festival in Italia e, come tutti gli appassionati, che sono inevitabilmente anche ossessionati, per imparare a fare questo mestiere si è messo a seguire praticamente tutti i festival di cinema e arte che si tengono in Italia. Cita più volte Lo schermo dell’arte e il Festival dei Popoli di Firenze. Spesso finisce a parlare di cinema italiano, di registi e registe italiane che lo appassionano, i cui film ha fatto vedere a Villa Medici, i cui film vorrebbe far vedere a Villa Medici. È convinto, e speriamo che abbia ragione, che sotto la superficie del cinema italiano mainstream si muova qualcosa di nuovo, di inedito, di inaspettato. «Una prossima età dell’oro», dice. Ma come fa a esserne così sicuro, così entusiasta. «Perché vedo sempre più film di giovani registi e registe italiane che mi piacerebbe portare a Villa Medici. In Italia si fanno un sacco di film radicali. Basta sapere dove trovarli». Stourdzé, e il Festival di Film di Villa Medici, faranno di tutto, negli anni a venire, per aiutarci a scoprirne tanti.

La foto in copertina è di Daniele Molajoli

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