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Fabrizio Corona ha capito come dominare anche l’algoritmo
La tv non lo vuole più, lui ha scoperto come conquistare i social, a partire dai podcast. Con tutto un nuovo profilo politico-mediatico.

«Vedere Tyson, con la sua storia, umiliarsi con la pagliacciata di Netflix e combattere con un bimbominchia come Jake Paul sarebbe come vedere me fare il corteggiatore a Temptation Island. I soldi non devono comprare la dignità. Che fine di merda Mike», scrive Fabrizio Corona in una storia su Instagram all’indomani del duello tra il pugile e lo youtuber. «In un Paese dove due candidati presidenti fanno campagna elettorale insultandosi, senza nessun programma politico, vincerà il nulla. Questo nulla si chiama Trump. L’America resta e sarà un paese senza democrazia. Come il nostro», scriveva qualche giorno prima, chiudendo il comunicato con l’emoji di un pugno chiuso. Di dichiarazioni lapidarie simili ne tira fuori quasi uno al giorno, commentando qualsiasi notizia di spicco con lo stesso tono spavaldo di chi oscilla tra un’autoproclamazione divina, un libro dall’umile titolo Come ho inventato l’Italia e video in cui sbaciucchia e tortura con affetto una gatta così bella – e tollerante – da sembrare un peluche.
Più che il Re dei Paparazzi, come eravamo soliti chiamarlo negli anni d’oro del lelemorismo e dei processi con Francesco Coco e le foto di Adriano, o il Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a sé stesso, come si definiva di fronte alle telecamere di Erik Gandini in Videocracy, Fabrizio Corona oggi è il Re del Content: estremo, polemico, istrionico e tragicomico, ossia tutto ciò che serve per mandare avanti l’algoritmo. Se la televisione lo fa fuori perché ingestibile e problematico sotto qualsiasi punto di vista, persino quello fisico, dal momento che perde denti in diretta televisiva, come successe di fronte agli occhi sbigottiti di Silvia Toffanin sugli sgabelli di Verissimo, internet lo risucchia e lo mette in circolo come collante perfetto tra vecchi e nuovi media, giovani assetati di tips da guru e adulti affamati di politicamente scorretto. Giusto Francesca Fagnani, domatrice di belve, poteva riuscire a sfruttare la sua ingestibilità per farne un contenuto ancora più forte dell’originale, mettendolo a suo agio senza il filtro dell’indignazione tipica dei salotti televisivi. Mi dice che prende mille pillole al giorno? Faccia pure. Ci prova con lo stesso piglio di un pick-up artist che vuole dare una dimostrazione in field di ciò che dicono i manuali di rimorchio? Vada, nessuno qua si scandalizza.
Perché di scandalo, invece, era pieno qualsiasi studio in cui lui abbia messo piede da quando è a piede libero. A partire da quello che è ormai un grande classico della drammaturgia televisiva, lo scontro con Ilary Blasi al Grande Fratello Vip 3, quando lei mise a nudo i suoi «storytelling», e passando per le ospitate da Giletti e D’Urso, la televisione, mezzo novecentesco che esige una certa dose se non di onestà intellettuale quantomeno di autocontrollo, non è più il campo da gioco per Corona. Corona, come Trump, rientra in quella categoria di personaggi larger than life, se per «life» intendiamo la presenza di una scaletta e di interlocutori in grado di controbattere. E difatti, così come il neopresidente degli Stati Uniti si è trovato molto più a suo agio a parlare di cocaina e alieni nei podcast dei vari bro della manosfera americana – «Andrew Tate è un coglione», ipse dixit – a partire dal più influente di tutti, nonché appassionato di cure alternative al Covid come le medicine per cavalli, Joe Rogan, anche Fabrizio Corona ha capito che il suo vero palco, in questo momento, sono i podcast.
E «palco» non è solo una metafora per descrivere studi decorati con scritte al neon e tavoli traballanti. In un trailer dai toni epici, con colonna sonora degna di un film di Nolan, Corona e gli host del podcast Gurulandia, duecentosedicimila iscritti al canale YouTube e diverse clip che superano il milione di views su TikTok, con abiti eleganti e scarpe lucide, annunciano l’arrivo del loro spettacolo a teatro, all’Alfieri di Torino e al Nazionale di Milano, per essere precisi. Se qualcuno avesse detto a Giorgio Strehler, l’uomo di cui Fedez ignorava l’esistenza, come ci ha mostrato durante un episodio del fu Muschio Selvaggio pre-divorzio con Luis Sal, che sarebbero stati i podcast a dare nuova vita ai teatri italiani, luoghi che fino a una decina d’anni fa avremmo tranquillamente messo nella lista delle specie urbane in via d’estinzione come i cinema, non so come avrebbe reagito. Forse in realtà Strehler sarebbe stato un ospite perfetto di Tintoria, o un personaggio da grandi clip del Basement di Gazzoli, e forse avrebbe partecipato a un’intera puntata di Gurulandia con gli occhiali da sole fumé addosso e una sigaretta elettronica con cui svapare. Di certo, non si sarebbe aspettato un cartellone: «Sei personaggi in cerca di guru».
Tenere il conto di tutti i podcast da cui è passato Corona negli ultimi mesi è difficile, ma per dare un’idea di cosa stiamo parlando, oltre al grande sodalizio con Gurulandia, lo abbiamo ascoltato dispensare consigli di vita, di business e perle di gossip ai microfoni di: Denaropoli Podcast, Symposium Podcast, CTS Podcast, Fatturare Fatturare Fatturare Podcast, 2046 Podcast, The Sauce, RobCast, MondoCash Podcast, e la lista è come l’universo, in espansione. Da maestro della comunicazione quale è sempre stato, a partire da quando disse a Pif che in palestra teneva il cappello in testa perché lo aiutava a pensare e passando per il lancio di mutande dal balcone (senza menzionare gli scatti in galera o i giri in bici scalzo per via Torino con caduta coreografica, «Viva la libertà!»), Corona ha reinventato la sua prossemica audiovisiva adattandola al formato podcastaro, che altro non è che la versione contemporanea della miriadi di talk show da televisione privata, come nella galassia raccontata da Dotto e Piccinini in Il mucchio selvaggio – non ci siamo inventati proprio niente – in cui conduttori eccentrici urlano alla telecamera fissa in studi tremolanti fatti di cartongesso e truciolato.
Corona sussurra, dando il suo ASMR-touch, prende tempo per sganciare le bombe, sbatte i pugni contro la scenografia, canta l’inno della Roma se si parla di Totti e Blasi, si inventa tormentoni come «Poesia! Poesia!»: è un Corona ben diverso da quello che si faceva prendere a schiaffi da Paolo Calabresi per un finto provino da James Bond, il Corona bello e dannato che vive la notte milanese, tra Nina Moric e Belen Rodriguez. Del resto, la chiave del postmoderno è sempre l’ironia, e se è il momento per la storia del paparazzo più famoso d’Italia di ripetersi come farsa, direi che ci siamo. Un Corona-Funari che discetta con disinvoltura e senza alcun freno – un classico della sua presenza ai tavoli dei podcast è la bestemmia, bippata o in libertà – di Tony Effe, Taylor Mega e Ferragnez, tanto da entrare a gamba tesa anche nel diss tra i due rapper, «Sei il nuovo Lele Mora, sei diventato la puttana di Corona», dice Tony in Chiara.
Ma anche un Corona che perde il pelo del Rebel without a cause, che va ai corsi pre-parto con la compagna incinta e sistema la stanzetta per il nuovo bambino in arrivo, senza perdere il vizio di lanciare scoop, veri o finti che siano. Perché dopo l’affare scommesse nel calcio, è dal suo gruppo Telegram, dispaccio ufficiale di scandali, che Corona annuncia il nuovo grande caso da lui scovato, «Tre famosissimi calciatori di Serie A sono omosessuali (o bisessuali)», scrive. E poi, dopo aver lasciato rosolare i suoi seguaci nel fuoco lento dell’hype, sgancia. Ci crediamo? Non ci crediamo? Forse, quando si parla di Corona, è meglio non farsi troppe domande. Ospite da Gurulandia, Simona Ventura ha detto che la televisione era un grande lago da cui tutti si abbeveravano; oggi è uno stagno, ma tutti vogliono comunque bere. Fabrizio Corona non voleva restare con la bocca asciutta, e si è tuffato nel grande oceano del content.