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Successi e insuccessi di uno smollicato

Napoli e la Campania sono lo sfondo perfetto per la nascita e il declino delle stelle del food porn: dall'ormai dimenticato panino di Gigino fino a Donato De Caprio, salumiere star di TikTok.

di Gianluca Nativo

A Napoli c’è un mistero. Nulla a che vedere con l’esoterismo del principe di San Severo, niente che possa finire dritto in prima serata nell’ennesimo speciale Superquark sulla città, o in un romanzo di De Giovanni. Siamo lontani dai quartieri storici, dalla città costruita su mille altre città, ma siamo nel più cementificato dei quartieri, sulla collina più ordinaria, il Vomero. Qui, almeno da quando sono nato, è presente una quantità inspiegabile di pub britannici. Ad ogni angolo spunta un Penny Black, un Murphy’s Law, un Black Wood, Johnny’s Irish pub, Luca’s Pub, Frank Malone, e così via. Alcuni sono un’istituzione, si possono incontrare trentenni in camicia, tutti esperti di luppoli e angus e che, proprio lì, in quell’angolo di quartiere si sentono più a loro agio che nelle buie strade del centro storico. Altri pub invece sono un semplice ritrovo per masse di ragazzini che dalla provincia arrivano con le metropolitane da Chiaiano, comitive di semiadolescenti che ordinano panini con crauti e vodka al melone, in tempo per prendere, ubriachi e con l’alito pesante, l’ultimo treno delle dieci e mezza.

Per chi negli anni Ottanta seguiva la moda dei paninari forse questa peculiarità avrà un senso, ma allo sfessato millennial che si aggira per le strade dell’Arenella le cose non tornano. Chissà che il proliferare di pub non sia rappresentativo di quella parte di cittadini che mal tollerano il racconto stereotipato della loro città – si sa che i napoletani combattono per una vita intera, più o meno consapevolmente, con la rappresentazione che il resto del mondo ha di loro – e che alla pizza margherita preferiscono un panino con il black pudding, un’alimentazione da crucchi, barbari, stranieri, pur di non soccombere a pomodori del piennolo, provole e mandolini.

Lontano dai pub vomeresi il panino comunque non passa mai di moda, come tutto del resto in questa città. Napoli ha la capacità indiscussa di essere sempre al centro dell’attenzione, con un rinnovamento della propria coolness che nemmeno New York. Nel buio della piazza della basilica di Santa Maria a Pugliano, a Ercolano, svetta ancora adesso come un’astronave un baracchino illuminato. Ben oltre la mezzanotte, il popolo delle serate si ritrova sonnambulo a fare la fila per mangiare uno tra i migliori panini in circolazione. Coppie accampate in macchina, ragazzini dagli occhi arrossati, comitive di rientro da una serata in discoteca in cui si è bevuto e si è fumato troppo e magari non ci si è divertiti granché e, allora, perché non svoltare la serata con una certezza, il panino di Gigino? L’attesa infinta è la principale attrazione. «Un salamino?», offre gentile il proprietario, un uomo simpatico, dagli occhi vispi, con una stempiatura regale, quasi un lord inglese, e invece. Prima dei social, prima degli influencer, molto prima dello street food, Gigino dettava legge. Poi, con la movida selvaggia del centro storico, dopo che Ztl e giunte comunali hanno reso appetibili zone un tempo buie – parcheggi a cielo aperto dove consumare indisturbati cocaina sulle selle dei motorini – nuove bettole accendono le loro insegne passata mezzanotte, e orde di universitari in piena fame chimica si sbrodolano senza pietà con panini dai condimenti più audaci: la base è sempre provola e carne, per i contorni si va dalla parmigiana di melanzane al crocchè di patate, salse a quantità. Questa base di carne e formaggio suona come un’americanata e invece si scopre che è un piatto tipico della cucina campana. Nientedimeno al Monte di Procida, promontorio su cui svettano scintillanti chalet pericolosamente a precipizio sul mare, tanto vertiginosi quanto improbabili, si propone un piatto tipico, tutelato dal consorzio locale: la cistecca.

Varie leggende circolano sulla nascita di questo piatto, tra cui quella dei fratelli Olivieri, immigrati nell’America degli anni Trenta, che a Philadelphia vendevano hot dog. Senonché, un giorno, a corto di salsicce, optarono per carne bovina sottile, da cuocere sulla piastra, a cui abbinare, perché no, del formaggio. Da qui il cheese-steak. Per chissà quale storia di emigrazione di ritorno, alla fine degli anni Settanta, nasce invece al Monte di Procida ‘a cistecca, con tanto di sagra. Monte di Procida è un po’ un approdo per tutti i futuri paninari, come la vicina Cuma per gli Eubei. Non a caso del ristorante di Ciro Mazzella (cognome molto procidano) scriveva il blogger Egidio CerroneLe avventure culinarie di Puok e Med – diventato poi l’imprenditore napoletano dietro al marchio Puok, il brand più famoso e seguito in Campania, il burger store che consegna anche con Uber. Le bettole gestite da uomini silenziosi e poco giudicanti, affollate da ragazzi ubriachi e sfatti, sono un’epoca ormai lontana, di Gigino a Ercolano non se ne parla più. Cerrone invece conta più di duecentomila follower. Ama scrivere, il blog è la sua passione, ma capisce presto che forse è più redditizio farcire i suoi hamburger. Non contento apre uno studio di pr con la sua compagna, fortemente convinto – come dargli torto – che il marketing e la comunicazione siano di vitale importanza per le proprie attività. Ma non tutti nel mondo del food la pensano così, anzi, c’è chi è spaventato da un’eccessiva esposizione mediatica e chi, sull’onda del successo, si lascia sfuggire occasioni d’oro, come Donato de Caprio, il salumiere prepara-panini da un milione di follower, che ha reso la gastronomia I Monti Lattari famosa in tutto il mondo – anche se solo per un’estate – grazie al suo feed di Tiktok. Donato è un salumiere dagli occhi azzurri e il sorriso gentile che ha ipnotizzato milioni di follower con la preparazione dei suoi panini. Con il suo refrain pavloviano: «Con mollica o senza?», ha incantato milioni di persone, “gli smollicati”, i suoi follower, che nel giro di poche settimane hanno preso d’assalto la gastronomia dove Donato è solo un dipendente. 

Si sa che TikTok è il social proletario per eccellenza, niente fronzoli, zero pose, Donato posiziona il telefono sul bancone e registra i suoi movimenti veloci: tirare via la mollica, spremere una provola sgocciolante, adagiare cascate di prosciutto sul pane come un sarto. Non guarda mai in camera, zero narcisismo, ma grande concentrazione. Donato ama il suo lavoro. Ha la faccia dell’onesto lavoratore, da bravo uaglione, e questo piace ancora di più. Tutti lo amano, pochissimi haters, perlomeno agli inizi. C’è chi guarda i suoi tiktok per andare a dormire, calmarsi, chillare. Poi, la ferale notizia: il proprietario della gastronomia vieta a Donato di fare video. Ma perché? Che senso ha chiudere la principale attrazione del negozio, il motivo per cui nella Pignasecca si è creata una nuova tappa del turismo occasionale? C’è chi pensa che troppa attenzione possa far scattare controlli – non è che nei video si siano visti molti scontrini – chi dice che le folle non piacciano agli abitanti del quartiere, fatto sta che gli smollicati sono sconvolti. Partono petizioni, arrivano addirittura proposte da nuovi imprenditori digitali: Steven Basalari, impresario bresciano proprietario della discoteca Number One, che spopola su TikTok grazie a video in compagnia di Elettra Lamborghini, Gué, Rhove e così via fiuta l’investimento, vuole Donato con sé, mettiamo su un brand. Altri fortunati creator gli danno corda: Pietro Armenti, imprenditore, guida turistica e scrittore salernitano trapiantato a New York lo incoraggia: «Vieni a New Yovk, apviti la tua paninevia, dai un futuvo migliore ai tuoi quattvo figli, Donato!».

Ma Donato non accetta, qui siamo in pieno Neorealismo, lui è un onesto lavoratore, la sua vita sono i panini e i quattro figli, e continuerà a lavorare come ha sempre fatto. Fino a quando però i follower non diminuiscono, le views anche, il profilo principale (quasi un milione e ottocentomila follower) scompare, a quante pare è stato bloccato – forse per un passo falso, una sponsorizzazione che violava la policy del social – e Donato vacilla. Prova a reinventarsi. Inizia a postare balletti con sua moglie – una bella napoletana nata a Londra che intrattiene i suoi follower con un delizioso accento cockney – e lì gli smollicati delusi lo mettono in guardia: «Smetti di fare i video con lei, non è quella la tua strada, ripensa alle proposte che ti hanno fatto! Leggiamo tristezza nei tuoi occhi Donato, ormai hai perso il treno», e via il codazzo di leoni da tastiera pronti a dare lezioni di vita. Intanto, dopo un’estate trascorsa a farcire panini in spiaggia, palatoni di pane sgocciolanti mozzarella, arriva settembre, i nuovi propositi, e Donato, da un nuovo profilo, annuncia che ha lasciato il lavoro ai Monti Lattari, ci ha ripensato, vuole seguire nuovi progetti, accetterebbe volentieri la proposta di Basalari, ma prega i suoi follower di taggarlo nei commenti, sperando che si ricordi ancora del suo successo. Ottima via diplomatica, Basalari non viene meno alla promessa, sta studiando un business plan, dice, ma per il momento – «date le dinamiche degli ultimi due mesi» – non ha annunciato ancora nulla di concreto. Intanto altri creator napoletani sponsorizzano i loro brand: lo “Svergognata Shop” di Rita De Crescenzo, la cui inaugurazione molto felliniana ha affollato i “per te” di TikTok per settimane, o la produzione di sughi pronti di Nonna Adele, diventata virale sculacciando il suo impasto per casatielli – otto chili di farina – durante i giorni di Pasqua.

Poi, all’improvviso, l’annuncio: «Io e Donato siamo finalmente soci». Basalari è a Napoli e dal suo profilo dichiara, da imprenditore paternalistico, che a breve apriranno la loro salumeria dal nome inconfondibile: “Da Donato: con mollica o senza”. Qualcuno nei commenti ironizza: «Speravo si chiamasse ai “Monti Basalari”», ma intanto l’entusiasmo torna nella community degli smollicati, già pronti a un nuovo pellegrinaggio nella città pantagruelica, dove mangiare tutto in barba a qualsiasi forma di metabolismo. Il trend del food porn genera ormai introiti da capogiro, attira carovane di turisti da tutto il mondo. Anche se con Donato dovremmo essere lontani dagli usi e abusi del genere, la gastronomia offrirebbe solo prodotti «di nostra produzione». Speriamo bene. L’algoritmo di TikTok è ancora un mistero, si nutre di novità virali a ritmi impressionanti, chissà se riuscirà a stare dietro a tanti ripensamenti, niente sindacati qui. Siamo ancora in Reality di Garrone, lì un pescivendolo sognava il successo partecipando a un provino di un reality show per cui non verrà più selezionato, qui un salumiere che dal reality show messo in piedi da lui cerca il modo migliore per uscirne vincitore. La parabola è al contrario ma è sempre la stessa: per fare i panini ci vuole dedizione, ma per fare i soldi, per il successo, ci vuole tanta cazzimma.