Attualità
I grillini e l’illusione dei “compagni che sbagliano”
Un estratto da La rabbia e l'algoritmo, il nuovo libro di Giuliano da Empoli: perché la sinistra che guarda ai 5 Stelle sbaglia, e non di poco.
I «compagni che sbagliano» sono una vecchia tradizione della sinistra. All’inizio degli anni Settanta, quando comparvero le Brigate Rosse, qualcuno si azzardò a definirle così […]
Alla metà degli anni Novanta, quando la Lega divorziò da Berlusconi, Massimo D’Alema la definì «una costola della sinistra». Magari un po’ folkloristica, con quelle ampolle con l’acqua del dio Po e gli slogan della secessione, ma pur sempre ispirata dal grande afflato del socialismo mondiale. In tempi più recenti ci ha pensato Pier Luigi Bersani a rinverdire la gloriosa formula dei compagni che sbagliano. Intervistato dal Corriere della Sera, ha definito il Movimento 5 Stelle «il partito di centro dei tempi moderni», l’unico suscettibile di costituire «l’argine alla deriva populista e nazionalista» e di impedire l’avvento di «una robaccia di destra». Lo aveva preceduto il suo ideologo Miguel Gotor, che aveva esposto dettagliatamente al Foglio le ragioni per non demonizzare Grillo, ma «confrontarsi in modo sfidante» al fine di porre le basi di una futura alleanza.
La convergenza tra i fuoriusciti del Pd e il Movimento 5 Stelle resta, per ora, un’ipotesi vaga. Anche perché, com’è noto, in passato le avance di Bersani a Grillo sono state respinte con perdite. Detto ciò, diversi fattori spingono nella stessa direzione. A unire i due movimenti c’è, innanzitutto, un nemico comune: Renzi e tutto ciò che l’ex presidente del Consiglio incarna. Ma al di là di questo aspetto contingente, esistono affinità assai più profonde tra i grillini e una sinistra che il proporzionale spinge inesorabilmente a risfoderare la propria identità più radicale.
Così gli insoddisfatti dello status quo, tradizionali clienti della sinistra, hanno iniziato a rivolgere altrove il loro sguardo. Né la vecchia sinistra conservatrice, né la nuova sinistra liberale erano più in grado di fornire una risposta alla loro rabbia. E in quel momento, con un tempismo perfetto, i populisti di destra si sono presentati a colmare il vuoto con le loro parole d’ordine radicali. È accaduto in Francia con il Front National, nel Regno Unito con l’Ukip e, in forme diverse, con gli indipendentisti scozzesi, in Olanda con il Pvv, in Austria con la Fpö di Jörg Haider, nei Paesi scandinavi con i nuovi partiti nazionalisti. Poi sono arrivati i neopopulisti di sinistra: Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, che si distinguono anche loro per i forti accenti nazionalisti. E hanno completato l’opera. […]
Date queste premesse, non è difficile spiegare l’attrazione di una parte dell’establishment di sinistra per il Movimento. Anche se, visti i rapporti di forza attuali, la prospettiva sembra più quella di una sinistra costola del grillismo che viceversa. Il problema è che, esattamente come i loro partner europei dell’Ukip, il Movimento 5 Stelle è del tutto incompatibile con una qualsiasi prospettiva progressista. Peggio, al contrario dell’Ukip e di altri partiti populisti europei, a essere in discussione sono le stesse credenziali democratiche del partito di Grillo. Non si tratta qui di rinfocolare per l’ennesima volta le polemiche sull’assenza di democrazia all’interno del Movimento. […] Il vero problema è la loro posizione sulla democrazia esterna. Cioè sul rispetto delle regole democratiche sulle quali si fonda la Repubblica italiana da settant’anni. Nulla, nelle parole, nei comportamenti e perfino negli atteggiamenti e nelle posture fisiche del líder máximo del Movimento lascia pensare che egli sia portatore di una cultura autenticamente democratica. Tutto, al contrario, richiama alla mente una forma di cesarismo a metà tra i movimenti antidemocratici della prima metà del Novecento e i populisti sudamericani dei decenni successivi. Altro che Renzi – come scrisse una volta Ferruccio de Bortoli –, l’unico vero caudillo della politica italiana è Beppe Grillo.
Certo, a parole, il M5S milita per la democrazia diretta via internet: le consultazioni elettroniche che decidono su tutto e prendono il posto del Parlamento mettendo il potere nelle mani dei cittadini. Ma dato che questa forma di democrazia per ora non esiste in nessuna parte del mondo (perfino in Svizzera il voto avviene esclusivamente per via cartacea, una volta ogni due-tre mesi e la stragrande maggioranza del lavoro legislativo viene effettuata dal Parlamento, proprio come in ogni altra demo- crazia del mondo), il principale risultato pratico del continuo martellamento di Grillo contro il Parlamento è la delegittimazione dell’unica forma di democrazia esistente.
Dalla «larva vuota» alla «tomba maleodorante», nelle definizioni del Parlamento la verve creativa di Beppe tocca i suoi picchi più alti. Nell’autunno del 2010, il Movimento organizza il primo Cozza-day. I grillini si danno appuntamento a Roma, fuori dal Parlamento. «Non devono andarsene solo i condannati in via definitiva – intima Grillo dal blog – ma tutti coloro che si sono trincerati all’interno del Palazzo. Abbarbicati come cozze ai loro privilegi. Le monetine per questi sono un onore, un privilegio che non meritano. Meglio delle cozze sgusciate, prive del mollusco, con scritto il nome del parlamentare […]. Le si possono consegnare per strada al deputato o deporle davanti a Montecitorio o a Palazzo Madama come invito a sloggiare». Da allora non si contano le iniziative del Movimento per umiliare il Parlamento e gli eletti. Dalle periodiche manifestazioni a Montecitorio («Siete circondati!»), alle arringhe improvvisate di Alessandro Di Battista («non scendiamo a compromessi con questa gente!») agli oscuri presagi di Luigi Di Maio dopo il voto su Augusto Minzolini («poi non lamentatevi della violenza!»).
In pratica Grillo si scaglia un giorno sì e l’altro pure contro la forma di democrazia che conosciamo nel nome di una democrazia che forse lui ha in testa, ma che per ora sulla faccia della terra non esiste. Il risultato è che la sua polemica contro la democrazia rappresentativa è, in realtà, una polemica, violentissima, contro la democrazia tout court. D’altronde le sue parole d’ordine sono esattamente quelle dei movimenti antidemocratici dell’inizio del secolo scorso. «Io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo. C’è da rabbrividire al pensiero che si trovano, in questo momento, a Roma più di duecento deputati. E costoro tramano, brigano, ciarlano: non hanno che un pensiero: conservare la medaglietta; non hanno che una speranza: quella di entrare – sia pure come la quinta ruota del carro – in qualche “combi-nazione ministeriale”». Sembrano parole tratte dal blog, ma risalgono a un secolo fa. Le vergò un certo Benito Mussolini sul Popolo d’Italia dell’11 maggio 1915.