Cultura | Cinema
Ciao Bambino, un’opera prima in bianco e nero
Il film diretto da Edgardo Pistone, premiato alla Festa del Cinema di Roma e al cinema da oggi, racconta una storia in cui i corpi sono al centro e il male è reale, credibile e imperfetto.

In Ciao Bambino, opera prima di Edgardo Pistone, al cinema dal 23 gennaio con FilmClub Distribuzione e Minerva Pictures, il bianco e nero ha un ruolo fondamentale. Non serve solo a dare al racconto una certa continuità visiva, ma ha anche il compito di esplorare le scene, rendendole in qualche modo più spesse e consistenti. Nella mancanza di colore e nel gioco costante tra luci e ombre, ogni inquadratura assume un peso specifico: esiste in un determinato momento, immobile e chiara, e rimane come segno. Per il suo primo film, premiato come Opera Prima alla Festa del Cinema di Roma, Pistone ha voluto provare ad esplorare l’intimità dei sentimenti. E per farlo, ha detto, ha deciso di usare il bianco e nero. Rosario Cammarota, il direttore della fotografia, ha sfruttato le sfumature, i momenti di vuoto e i totali, bilanciando caldo e freddo e creando quasi uno strato ulteriore per le immagini.
È bello, Ciao Bambino. E lo è anche per il modo in cui appare e si offre al pubblico. Sempre Pistone ha detto che non c’è stato spazio per l’improvvisazione durante le riprese. La sceneggiatura che lui e Ivan Ferone hanno scritto è stata rispettata dall’inizio alla fine. Ci sono state prove e studi, e c’è stato addirittura un laboratorio con gli attori. Pistone voleva ricreare la complicità che unisce il gruppo del protagonista e restituire a ogni sequenza la sua autenticità: le risate, i tuffi dagli scogli; il modo di stare insieme al bar, seduti mollemente sulle sedie di plastica; gli scherzi, le battute, il napoletano che non appesantisce ma che, anzi, arricchisce e migliora il racconto. Allo stesso tempo, però, Pistone ha voluto tenere separati i due attori protagonisti, Marco Adamo e Anastasia Kaletchuk, proprio per preservare la loro timidezza e la loro curiosità.
Ciao Bambino racconta la storia di Attilio, un ragazzo che vive al Rione Traiano, a Napoli, e che deve fare i conti con un passato che non gli appartiene. I debiti di suo padre diventano improvvisamente suoi, e così è costretto a lavorare per un criminale locale, proteggendo e seguendo una giovane prostituta. Il male che esiste nel mondo di Ciao Bambino è un male reale, credibile e imperfetto. Non c’è nessuna ostentazione. La poesia si ferma alla forma; non altera né esalta il contenuto. E lo stesso vale per il bene: ci sono degli sprazzi precisi, che durano poco più di un momento, ma sono sprazzi facili da identificare, perché spesso coincidono con i picchi narrativi della trama.
Pistone viene dal Rione Traiano e se lo ha scelto per la sua storia l’ha fatto per mantenere il controllo sia sulla produzione che sull’evoluzione stessa del film, dentro e fuori dal set. Le case tutte uguali, le strade sterrate; gli spiazzi pieni di terra battuta e polvere, e di siringhe e di carcasse d’auto. C’è una grammatica evidente nella visione di Pistone, ed è una grammatica fatta di dettagli, piccole cose e singoli istanti. Ciao Bambino è sia una storia di crescita che una storia di consapevolezza. Non ci sono vie di mezzo o soluzioni banali. È un film complesso, Ciao Bambino. Perché tiene tutto insieme, costantemente, e non è mai identico a sé stesso: cambia, si trasforma, seguendo pedissequamente il viaggio del protagonista.
I corpi, come gli sguardi, occupano un posto centrale all’interno della messa in scena. Sono vivi, vibranti, diversi. Spesso nervosi, tesi, giovani. Altre volte stanchi, piegati dall’età e dal tempo. Lo stesso periodo del racconto, che si trascina dall’estate più calda ai primi giorni di settembre, restituisce un’idea di sospensione e di incertezza; e lo fa grazie alle sagome che riempiono le scene, che stanno le uno accanto alle altre, che si toccano, si sfiorano e che si cercano costantemente. È una storia d’amore, Ciao Bambino. Nel senso che non prova a nascondere o a estremizzare i sentimenti: li mostra nella loro fragilità, nella loro fugevolezza e nella confusione tipica dell’adolescenza.
Attilio, interpretato così bene da Marco Adamo, si muove senza sapere dove andare: è perso, terrorizzato, insicuro; parla con i suoi amici perché spera di trovare qualcuno che gli somigli, che viva la vita come la sta vivendo lui, ma solo quando incontra Anastasia si sente meno solo, meno incompreso e più adulto. Decide per sé, affronta l’eredità del padre e si fa uomo per necessità. Ciao Bambino è un’opera prima, eppure ha una maturità e una forza incredibili. Pistone ha fatto esattamente il film che voleva fare, e si vede. Lo ha costruito con poco, con un budget contenuto, ma è riuscito comunque a rispettare la sua idea fino in fondo. In più, Ciao Bambino è il simbolo di una nuova generazione di produttori, come Walter De Majo di Anemone e Andrea Leone di Mosaicon, bravi tanto nel trovare storie quanto nel dare ad autori e autrici il sostegno e lo spazio di cui hanno bisogno. È un nuovo cinema: non più brillante o più riuscito, ma decisamente originale, intelligente e consapevole delle sue possibilità e delle sue aspirazioni.
Venerdì 24 gennaio, all 21.30, Ciao Bambino verrà presentato all’Ariosto Spaziocinema di Milano, in via Lodovico Ariosto 16, con un’introduzione a cura del regista Edgardo Pistone: biglietti qui.