Attualità

Spiragli

Il Pd del futuro, piaccia o meno, nasce da dentro la grande coalizione. Meglio che si concentri su questo governo, altro che dissidenti a 5 Stelle.

di Claudio Cerasa

Roma – Ultimamente, alcuni apprezzati strateghi del centrosinistra hanno dedicato molto del loro tempo a sottolineare sui giornali che il governo presieduto da Enrico Letta è un governo naturalmente transitorio, che non può fare molte cose e che difficilmente riuscirà a portare a termine tutti quei progetti ambiziosi che invece sarebbero stati facilmente realizzabili se nel nostro paese oggi avessimo avuto un governo guidato non da Enrico Letta e Angelino Alfano ma da Pier Luigi Bersani e Gianroberto Casaleggio.

Nel Partito democratico è naturale e comprensibile che molti esponenti di primo piano del Pd cerchino anche in buona fede di offrire ai propri elettori un orizzonte alternativo rispetto a quello grancoalizionista. E in un certo modo si potrebbe anche apprezzare il tentativo coltivato da molte anime del Pd di ricordare che, nonostante le larghe intese, le identità del Partito democratico e del Popolo della libertà rimangono, anche in nome del bipolarismo, profondamente diverse e non sovrapponibili le une con le altre. D’altronde, come è accaduto nel Regno Unito dopo il 1945 (quando dopo una lunga fase di tripolarismo provvisorio il paese prese la strada del bipolarismo) e come è accaduto in Germania dopo il 2009 (quando Spd e Cdu, dopo aver governato per quattro anni insieme, si ritrovarono nuovamente su due fronti opposti alle successive elezioni), i partiti che fanno parte di una grande coalizione sono poi soliti mantenere il loro profilo alternativo, e non si capisce perché anche in Italia non debba essere così quando si riandrà a votare. Eppure, nonostante il Pd sia impegnato per l’appunto in una grande coalizione con il Pdl, a sinistra c’è qualcuno che, pensando di dover lavorare sulla linea che il Partito democratico esiste nonostante le larghe intese, invece che impegnarsi al cento per cento per offrire carburante a questo governo, e cercare di far tesoro di questa fase di pacificazione, dedica buona parte del suo tempo a ricordare che da un momento all’altro il Pd potrebbe comunque dar vita a un ribaltone e a un formidabile governo del cambiamento con i compagni del Cinque stelle. Così, giusto per ricordare che il Pd, pur essendo al governo con il giaguaro che si doveva smacchiare, ha sempre l’obiettivo quello di smacchiare il giaguaro.

Nonostante le opinioni di Bersani, in una fase come questa in cui i partiti hanno il compito di riscrivere le coordinate, tra il Pd e il Pdl esistono molti più punti di contatto di quanti non esistano, tra il Pd e il Cinque Stelle

Ora, a parte il fatto che la strategia, come hanno dimostrato le ultime elezioni, non si è rivelata particolarmente vincente, il punto è che adesso, come ha giustamente ricordato oggi Stefano Fassina in un’intervista al Giorno, il destino del Pd dipende da quello di Letta, e un fallimento del governo Letta corrisponderebbe non a una straordinaria nuova prateria che si aprirebbe per il Pd ma, più semplicemente, a un fallimento dello stesso Pd. Come abbiamo ricordato più volte anche in queste pagine, il Pd di oggi, grazie all’esperienza del governo Letta-Alfano, ha per la prima volta nella sua storia la possibilità di costruire un’identità nuova che potrebbe prescindere dal voler smacchiare il giaguaro e dall’avere come unico collante quello di essere sullo stesso fronte solo per il gusto di combattere un nemico in comune. E nonostante le opinioni di Bersani – che in questi giorni, forse anche per ricordare a Berlusconi che non conviene fare scherzi a Letta, è l’esponente del Pd che più si è esposto nel ricordare che la prospettiva di un governo di cambiamento con i Cinque Stelle è tutto tranne che rottamata – ciò che nel centrosinistra si sta comprendendo giorno dopo giorno è che, in una fase come questa in cui i partiti hanno il compito di riscrivere le coordinate della cartina politica italiana, tra il Pd e il Pdl esistono molti più punti di contatto di quanti non esistano, per dire, tra il Pd e il Cinque Stelle. L’elezione di un capo dello stato di Giorgio Napolitano, mentre i Cinque Stelle fuori dal Parlamento urlavano colpo di stato colpo di stato colpo di stato!, potrebbe essere da sé sufficiente per capire che il Partito democratico e il Popolo della libertà oggi si muovono, pur con identità differenti, all’interno di un perimetro politico condiviso. Ma rielezione del Presidente a parte, a guardar bene, le ragioni che oggi rendono più naturale l’incontro tra Pd e Pdl rispetto a quello tra Pd e Cinque Stelle, se proprio vogliamo prendere sul serio l’argomento, riguardano, per esempio, alcuni punti importanti della nostra agenda politica. Sulla politica estera, per esempio – tema che da settembre, quando il Parlamento voterà il finanziamento delle missioni dei nostri militari all’estero, tornerà a essere caldo – è dal 2011 che ormai Pd e Pdl votano insieme, e anche quest’anno non ci saranno grandi sorprese. Sulla politica economica, per continuare, è dall’inizio dell’anno che, pur da posizioni differenti, i responsabili di settore del Pd e del Pdl intravedono nell’Europa a trazione merkeliana il grande nemico da combattere per ridare ossigeno al nostro paese (ricordate quando a gennaio Renato Brunetta diceva di sentirsi in sintonia perfetta con Stefano Fassina?).

In questo senso, e gli esempi che si potrebbero fare sono ancora molti, era evidente già da prima delle consultazioni con il Wwf che, di fronte ai numeri delle ultime elezioni, l’unico governo possibile oggi era con il Pdl e non con il Cinque stelle. E oggi che quel governo è in campo – e oggi che il Pd e il Pdl, seppur con sofferenza, capriole diplomatiche e una non formidabile velocità di crociera – il Pd, tutto il Pd, dovrebbe provare a non perdere troppo tempo rincorrendo gli spiragli offerti dai presunti scissionisti del movimento di Grillo e Casaleggio ma dovrebbe impegnarsi semplicemente a impossessarsi di questo governo, e a cominciare a dettarne l’agenda.

Il Pd del futuro, se non fosse chiaro, nasce da dentro la grande coalizione, e non da fuori. Il governo di cambiamento, caro Bersani, lascialo a Vendola. Il Pd, oggi, è semplicemente una cosa diversa.