Attualità

Raccontare Cantona

Come è nata la leggenda di Eric Cantona, una delle storie più romanzesche dello sport. Tutto in un libro, più romanzo, infatti, che biografia.

di Davide Coppo

C’è differenza tra una biografia e un “racconto della vita”? Me lo sto chiedendo da ieri, da quando ho finito di leggere Cantona. Come è diventato leggenda, primo libro di Daniele Manusia, uno che sa raccontare il calcio e i suoi protagonisti (principalmente, ma non solo) come poche altri in Italia. Ho anche la fortuna di conoscerlo, e questo lo scrivo subito per fugare ogni dubbio («Oh, scrivilo però che ci conosciamo, non voglio che sembri una marchetta» mi ha detto Daniele sempre ieri), e questo conoscerlo, e stimarlo, è chiaramente uno dei motivi per cui ho letto così volentieri il libro. Non per curiosità verso la storia di Eric Cantona, attore, pittore, collezionista, dirigente, calciatore, ma per il modo in cui la storia è raccontata. Biografia, insomma, è un termine che puzza un po’ di apatia, di asettico, di giornalistese. Cantona. Come è diventato leggenda (a proposito: add editore, 2013) è invece un romanzo sulla vita di Eric Cantona, con lo stesso Eric Cantona protagonista. Con un narratore, ovvero l’autore, ben presente sulla scena e come personaggio e come filtro emotivo. Che sottolinea aspetti importanti per lui, ma non per la biografia di Cantona, ovvero non per l’intreccio delle sue vicende personali, non per forza o non sempre funzionali alla trama di una vita.

Quindi quello che si legge quando si legge Cantona. Come è diventato leggenda è più un romanzo che una fredda biografia. Perché c’è suspense, c’è azione, ci sono cadute e uscite di scena e rientri scenografici e botta-e-risposta. Merito della storia che è una gran storia, va detto, ma Eric è trattato come un vero e proprio protagonista letterario, seguito con la scrittura che è una telecamera, che dipinge i gesti, le espressioni facciali, il colore della maglietta con cui si presenta a un’udienza in tribunale. Non rilascia dichiarazioni, ma parla ed esprime pensieri. E così anche i co-protagonisti che sono Michel Platini, Alex Ferguson, Michel Mezy, perfino Matthew Simmons, il ventenne tifoso del Crystal Palace al centro della “scena del calcio volante”, il 25 gennaio 1995, e moltissimi altri.

In mezzo a tutto c’è una storia tra le più romanzesche che siano mai state vissute su (e intorno a) un campo da calcio. C’è la storia un po’ cliché (ma non è colpa di nessuno, se non delle storie: tutti i grandi del calcio, a quanto pare, iniziano in simili situazioni di disagio, non importa che sia Baires o Marsiglia o Liverpool o Rio) del ragazzo povero cresciuto vicino a Marsiglia, il trasferimento in Borgogna all’Auxerre, la passione per Rimbaud e per la pittura; c’è il ritorno a Marsiglia che non va come dovrebbe andare, l’esilio a Bordeaux, Montpellier, poi ancora Marsiglia e di nuovo, un po’ inspiegabilmente per uno con un nome già così importante, la periferia calcistica di Nîmes, e il ritiro. Sai già come deve andare a finire: deve finire con Cantona al Manchester United, con il colletto alzato, la maglia numero sette e la fascia di capitano, che corre nel suo modo particolare, da gigante un po’ goffo, con le braccia larghe e il petto in fuori e le ginocchia alte quasi come il petto stesso, e vince quattro campionati in cinque anni diventando “calciatore del secolo” del club davanti a Best e Charlton.

Lo sai già ma temi che qualcosa vada storto, che arrivi un ostacolo o una caduta a colpire la trama del romanzo-biografia per farla deragliare nella fiction vera e propria. E così quando Eric, dopo un anno da prepensionato a 25 anni, sceglie di fare un provino per lo Sheffield Wednesday, consigliato da un Platini allenatore della Nazionale che gli dice che deve giocare se vuole andare all’Europeo del ’92, tiri un sospiro di sollievo, e tifi per lui e per il suo contratto, anche se sai che allo Sheff non ci giocherà mai. Infatti non firma, perché dopo il primo provino (una partita 6 contro 6, indoor) gli dicono che deve farne un altro, e lui rifiuta, Cantona non fa due provini, e se ne va. Allora ti incazzi con lui, pensi “ma perché tutto questo orgoglio? E adesso?”, e però lo sai cosa succede adesso: arriva il Leeds che lo compra a scatola chiusa, che vince il campionato e lo vende per un milione soltanto allo United.

Questa è la parte più conosciuta del romanzo-Cantona, quella del calcio a Matthew Simmons, delle vittorie, degli assist, e forse allora la più scontata. Però ci sono i dettagli a renderla magica: per esempio il fatto che Eric Cantona, invece di prendere casa a Manchester, ha vissuto per sei mesi in un Novotel (siete mai stati in un Novotel? Avete idea di quanto sia brutto un Novotel?) affacciato sulla M60, sorta di grande raccordo anulare mancuniano, ordinando sempre cannelloni alle erbe, birra, e gelato alla pesca, con un solo libro sul comodino: Chiedi alla polvere di John Fante. Sembra di stare in un’ambientazione dello stesso Fante, con un Bandini marsigliese che cerca fortuna nel mondo del calcio anziché del cinema. Oppure la volta in cui Jacques Chirac arriva in visita in Inghilterra e lo speaker della Camera dei Comuni, Betty Boothroyd, lo accoglie dicendo: «Sono felice di conoscere il secondo francese più famoso di Gran Bretagna». Oppure, anni prima quando ancora giocava con il Leeds United, intervistato a casa del compagno Lee Chapman, mentre seguivano insieme l’ultima partita dello United contro il Liverpool (che avrebbe consegnato il campionato al Leeds dopo 18 anni): si vede un Cantona sperduto, che non capisce la lingua e ride solo quando ridono gli altri, e risponde «yes» a tutte le domande, e dice «I’m very happy» senza motivo, solo per non dire sempre «yes», sprofondato in un divano con una t-shirt blu e i pantaloni di acetato, irriconoscibile se confrontato con il Cantona che litigava con i giornalisti francesi con tutto un suo gergo fatto di «piscio», «culo», «merda» e via dicendo.

La parte più romanzesca in realtà, quella che dà un senso alla consacrazione finale di Manchester, è la prima, quella francese, quella da vero romanzo di formazione (non poteva, nella vita di un personaggio così romanzesco, non esserci La Caduta prima di arrivare a Il Trionfo. E Cantona cade praticamente subito). Che non sia “come gli altri” lo capisci subito, nel 1987 (o a pagina 39, a seconda dell’orientamento preferito), quando il giornalista di France Football Pierre-Marie Descamps gli chiede: «Un calciatore non può essere pazzo?» E lui dice: «Esatto, non possiamo essere pazzi. Ed è un peccato». «Tu vorresti essere pazzo?», chiede ancora Descamps. «Ma io sono pazzo! Ho bisogno di comportarmi da pazzo per essere felice e giocare bene», dice Cantona.

E la lenta discesa di Cantona nella depressione più aggressiva è segnata dai capitoli dei suoi Gran Brutti Gesti (il primo Gran Brutto Gesto di Cantona, il secondo Gran Brutto Gesto di Cantona, eccetera), ovvero un calcio a gambe unite sulle ginocchia del difensore Der Zakaria; la dichiarazione in cui definisce Henry Michel, ct della Nazionale, un sac à merde; la maglia del Marsiglia scagliata per terra, durante un’amichevole a favore delle vittime del terremoto in Armenia nel 1989; gli scarpini tirati in faccia al compagno Claude Lemoult al Montpellier; il pallone tirato contro l’arbitro di Nîmes – Saint-Etienne; gli insulti vis à vis, dito indice puntato in faccia, ai giurati della commissione disciplinare che deve giudicarlo per la pallonata di cui sopra: «Idiota. Idiota. Idiota. Idiota», dice, passandoli in rassegna uno per uno. Fino ai due mesi di squalifica che seguono quest’ultimo quinto Gran Brutto Gesto di Cantona, che portano al suo temporaneo ritiro.

È un libro scritto, spesso, per immagini. Daniele Manusia descrive ogni passaggio, ogni dettaglio anche estetico (il taglio di capelli, la camicia indossata, il movimento del braccio) dei più importanti goal di Cantona, dei più importanti assist di Cantona, delle più importanti interviste di Cantona, delle più importanti fotografie di Cantona, che cessano di essere cronaca e diventano racconto, vivo. Ti viene voglia di guardarle quelle immagini (la magia, rispetto a un romanzo vero e proprio, sta qui: che puoi guardarli davvero, i momenti salienti della storia. Sono esistiti, stanno su Youtube), e infatti Cantona. Come è diventato leggenda andrebbe corredato di schede video ultrasottili tra un pagina e l’altra, oppure andrebbe pubblicato, prima o poi, in fomato Html5, quello usato dal New York Times per il reportage Snowfall, con contenuti multimediali che scorrono dietro e con il testo. Prima o poi arriveranno. Intanto ci sono libri come questo.

 

Nell’immagine, Cantona circondato dai tifosi durante un Manchester United – Chelsea, Carling Cup, 12 dicembre 1995. Ross  Kinnaird/Allsport