Attualità

Il ritratto di Dury Junior

Icon pop sottostimata, figlio d'arte con la faccia da hooligan

di Manuela Ravasio

Era un figlio di papà ma non un cockney. E l'ho scoperto facendo il terzo album.

I Sottovalutati è una nuova rubrica, aperiodica e aperta a ogni argomento, che traccia profili di personalità e non solo i cui meriti, talenti e capacità non sono sufficientemente, secondo il nostro personalissimo parere, sottolineati da altri media. Con le migliori intenzioni e argomentazioni cercheremo di motivare, di profilo in profilo, la scelta. Si inizia con Baxter Dury, cantautore.

Se tuo padre fino a un anno prima del tuo debutto era ancora sul palco a far capire che i New Order non hanno scritto la storia da soli e che lui invece, Ian  Dury insieme alla sua band, i Blockheads, ha messo le (solide) basi per la New Wave, allora il complesso del papà ingombrante  può starci. E diventare un problema. Se Baxter Dury è tornato a fine estate con un album bello e casalingo a sei anni dall’ultimo lavoro, c’entra molto, moltissimo, anche il fatto che appena cinquenne posava per la copertina di un album di papà, New Boots and Panties! Con molta più ironia e un maglione grigio sopravvissuto alle insidie della vita del Buckinghamshire anche Dury junior si presenta in posa per la cover di un nuovo lavoro, il suo, la sua, Happy Soup.

Una zuppa, se non felicissima, buona, ispirata da una sana revenche che Baxter non si racconta troppo: semplicemente sapeva che gli album precedenti anche se siglati Rough Trade non l’avrebbero messo nell’Olimpo dei giovani inglesi con problemi, camminata arzigogolata e mandibola sciapa. Perché se forse nel suo curriculum non spicca una dialettica che per la  sua generazione di cantautori e colleghi è una manna, il vero problema di Baxter è ancora un altro: assomiglia a un hooligan, senza se e senza ma. E chi va a vedere un concerto di un hooligan nei primi anni Duemila (nel 2001 debutta con il primo album, Oscar Brown) quando tutti frequentano ancora o i vecchi spazi raver per vedere i resti del drum and bass o inseguono le liti dei fratelli Gallagher?

Perché anche se sei il figlio del fautore della New Wave hai comunque lasciato la scuola presto, quattordicenne,  i riccioli biondi sulle guance tese e rossastre ti vedono già bello la domenica in trasferta sul bus di chi urla a bordo campo, per quanto tu, Baxter,  invece vorresti che tutti ascoltassero fino alla fine Love in the garden anche se come personaggi clou del video ci sono due pupazzi. Un hooligan figlio di papà e due pupazzi che si amano in acido: come possono sopravvivere agli anni Duemila? Il bug c’è e si sente e dell’innamoramento delle piccole frange (capitanate dall’NME che influente quanto vuole non si lascia perdere il debutto di Baxter Dury ma poi molla il colpo e torna ai casi-del-caso) resta poco.

Dopo aver avuto un figlio a cui invece di dare il ruolo di volto icona di un album regala semplicemente un nome toy (Kosmo Korda), Baxter torna e, visto il timido riscontro del secondo album Floor Show del 2005, questa volta si presenta iper rilassato con Happy Soup nato in casa ParlophoneRecords. E sta a guardare. Dave Simpson del Guardian usa il termine cockney nella prima frase. Perché Baxter è esattamente un cockney fatto e cresciuto. Però non può essere definito così al suo ritorno sulle scene, per quanto Guardian e il figliol prodigo NME siano concordi nel recensire il terzo lavoro di Dury come una semplice ed efficace bellissima opera. Baxter Dury non può essere riassumibile come cockney perché quando debuttò era in pieno tempo illuminato dei cockney in cui tutto, dal loro accento alle divise, diventava mania. E lui non ha certo marcato sul fattore cockney che già a quel tempo gli apparteneva. Anzi. Motivo per cui ora torna e lo è ancora di meno.

Niente di cockney da dichiarare perché il nuovo album si regala un singolo come Claire in cui lui e la sua lei (meravigliosa compagna parisienne anche nella vita) riproducono Au bout de soufflé e  Baxter si tatua il nome della protagonista del singolo sul collo che copre in parte con una camicia bianca. Il collo grosso e stagno di un quasi quarantenne che ha scoperto di poter fare molto con quella voce: renderla annoiata, giocare su refrain sussurrati in un motel di Brixton, per poi scioglierla nello swing con pochi schiocchi di lingua.  Quando ascolti per la prima volta Happy Soup ti sembra burro sulle ossa scoperte da qualche colpo troppo incidentale: la voce di Dury entra finalmente da qualche parte, si posa tra le ossa a vista e si ci si spalma sopra. Niente sbavature, nessuna grinta aggiuntiva, ma un atteggiamento rilassato e da inglese di campagna che sa di essere sexy e, volendo, di potersi sciogliere su quelle ossa.

Per nulla cockney – perché l’esserlo vorrebbe dire assicurarsi il post storico di un padre che aveva gettato basi esaustive, il New Wave appunto – quindi che fai se sei Dury Jr? Ti trovi anche tu il collocamento generazionale di contrasto solo perché seguire il perimetro di papà Baxter è arduo e inutile? No, ecco perché Happy Soup è così riuscito che ora  Baxter può passare altri 6 anni a cercare di dare un nome giocoso a una ipotetica figlia. Per quanto zampe di gallina e blazer rubato a Jean Paul Belmondo non bastino a livellare tutto il substrato di Baxter, a cui scappa ancora un “I laf u so” che sembra uscito direttamente da This Is England.