Attualità

Come funziona una writers’ room

Come viene scritta una serie? E chi può esserne considerato il vero autore? Un estratto da Complex tv, un libro appena uscito da minimum fax.

di Jason Mittell

Stasera (giovedì 15 giugno 2017) alla libreria Verso di Milano, Fabio Guarnaccia e Luca Barra raccontano Complex tv. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie tv di Jason Mittell insieme ad Antonio Visca (Sky Atlantic) e al gruppo La Buoncostume. Qui di seguito ne pubblichiamo un estratto.

 

Per capire come funziona l’autorialità della televisione americana è fondamentale studiare il processo creativo che avviene nelle writers’ room. Molte writers’ room funzionano sia come attività collettive con una gerarchia chiara, sia come collaborazioni aperte, nelle quali i contributi di tutti gli autori convergono in un unico prodotto. Sono rari i programmi scritti da un solo autore (o, ancora più raro, da una singola autrice) al di fuori di una writers’ room, com’è successo a David E. Kelley (Ally McBeal), Aaron Sorkin (The West Wing) o Mike White (Enlightened): la sceneggiatura della maggior parte delle serie tv in prime time è stata prodotta in una «stanza».

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Solitamente, prima che la stagione abbia inizio, gli autori si confrontano con i producer per qualche settimana, al fine di pianificare lo sviluppo, gli standard e gli obiettivi della stagione, nonché la struttura narrativa. A quel punto gli sceneggiatori la «smontano in episodi», a volte collettivamente nella writers’ room, altre volte da soli, per definire le singole trame, i momenti clou e la struttura di ogni episodio. Da questo processo si ricava una bozza dettagliata di ogni episodio, che viene affidato a uno sceneggiatore affinché lo trasformi in una sceneggiatura, completa di dialoghi e descrizioni delle azioni. Di solito l’obiettivo di un autore non è quello di scrivere una sceneggiatura che spicchi in quanto visione personale della serie, ma al contrario quello di imitare la voce dello showrunner, mirando alla coerenza stilistica dell’insieme. Certe volte una bozza di sceneggiatura ritorna nella stanza per verificare le reazioni degli altri autori o per essere «presa a pugni» (soprattutto nel caso delle comedy), oppure viene consegnata allo showrunner (o a un altro producer) per «fare un passo in avanti» verso la versione definitiva, attraverso l’adattamento alla voce, agli standard e alla macrostoria della serie: di solito sono gli showrunner a fare il grosso del lavoro di riscrittura, come nel caso di Matthew Weiner, che ha affermato di aver riscritto più dell’80% della maggior parte delle sceneggiature di Mad Men.

Dopo aver portato a termine la sceneggiatura, lo showrunner deve ancora affrontare il giudizio dello studio di produzione, del network o del canale cable, che dovranno approvare e fare i loro appunti: ogni azienda ha regole diverse, e solitamente i network sono più invasivi di canali via cavo come Hbo o Amc, che si vantano invece di essere «dalla parte dell’autore». La scrittura di un episodio viene attribuita all’autore che ha abbozzato per primo la sceneggiatura (anche se questa prassi varia a seconda dello showrunner e del team), ma la costruzione e la revisione della storia di un programma fanno parte di un processo collettivo organizzato in una distinta gerarchia gestionale. L’episodio che va in onda è il risultato di complessi processi collaborativi, che vedono il contributo di attori, curatori, montatori e producer, ma è lo showrunner ad assumersi la responsabilità del prodotto finale. Benché capiti spesso che i producer sostengano di aver scritto più di quanto non abbiano fatto, molti showrunner si guadagnano l’autorialità attributiva e gestionale prendendo un’infinità di decisioni, fino a essere considerati la figura autoriale principale all’interno di un mezzo notevolmente collaborativo.

Anche se quando finiscono a capo della produzione di una serie si può avere l’impressione che abbiano cambiato ruolo, passando dalla scrittura alla gestione, va detto che anche l’ideazione di un programma ha molti aspetti organizzativi. Gli autori devono proporre i loro soggetti ai producer esecutivi nella speranza che vengano opzionati, e quindi si fanno in quattro per soddisfare le loro aspettative, ma anche per pianificare un eventuale futuro da showrunner, grazie al quale potrebbero ottimizzare le proprie idee. Esiste una concezione romantica per la quale la visione creativa dell’autore è inizialmente «pura» e viene poi corrotta dal processo di realizzazione, soprattutto nel mondo dei media, concentrato com’è sull’aspetto commerciale. Ma in televisione i processi creativi sono sempre influenzati dagli interessi economici, e questi interessi concorrono a modellare una storia in ogni fase della sua scrittura.

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Una delle genesi più anomale di una serie tv è quella di Lost: basta ripercorrerne l’atipico percorso produttivo per capire perché sia stato così difficile replicarne il successo. Anche se la maggior parte delle serie tv nasce dal soggetto di un autore, a volte sono i dirigenti del network a ideare una serie e ad assumere degli autori che la scrivano. È il caso di Lost. Nel 2003 il presidente della Abc, Lloyd Braun, ebbe l’idea di realizzare una serie ispirata al film Cast Away e al reality show Survivor, imperniata quindi su alcune persone costrette su un’isola deserta. Braun assunse Jeffrey Lieber affinché scrivesse una puntata pilota basata sulla sua idea, e lavorò con lui allo sviluppo del progetto, ma poi lo licenziò perché insoddisfatto del risultato (provvisoriamente intitolato Nowhere). Braun non perse l’entusiasmo ed espose l’idea a J.J. Abrams, autore e showrunner di Alias per Abc. Abrams disse che era troppo impegnato per occuparsi da solo di quella serie, ma che avrebbe volentieri collaborato con un altro autore. La Abc allora contattò Damon Lindelof, ai tempi autore e co-producer di Crossing Jordan, che da tempo cercava di incontrare Abrams per entrare a far parte del team di Alias. Né Abrams né Lindelof, in verità, credevano molto nell’idea: per Abrams si trattava di fare un favore al suo capo della Abc, mentre per Lindelof era soltanto un modo per procurarsi un altro lavoro. Avendo sentito dire che Braun sarebbe probabilmente andato via dalla Abc, Abrams e Lindelof si divertirono a scrivere qualcosa di stravagante e azzardato, ricorrendo all’uso di flashback, creando una complessa mitologia fantascientifica legata all’isola e inseminando la puntata pilota di misteri senza una pianificazione a lungo termine. Lo stesso Lindelof ricorda che lui e Abrams si dicevano spesso: «Tanto non la comprerebbe nessuno in ogni caso».

E invece, nonostante il tentativo di Abrams e Lindelof di creare qualcosa che difficilmente sarebbe mai andato in onda, Braun diede il via libero alla puntata pilota, basata soltanto sulle tredici pagine di bozza e senza una sceneggiatura completa, e per avviarne la produzione concesse persino un budget record, per i tempi, di undici milioni di dollari. I superiori di Braun, alla Abc/Disney, non apprezzarono il progetto e usarono quell’esosa produzione come scusa per licenziare Braun, nella primavera del 2004. Ma ormai erano stati spesi soldi a sufficienza affinché la serie superasse il vaglio e andasse in onda, nel settembre del 2004, nonostante le basse aspettative nei confronti di un programma anticonvenzionale trasmesso su un mezzo dominato dalla convenzionalità.

Adesso, col senno di poi, sappiamo che l’anticonvenzionalità di Lost è stata un vantaggio, perché ha comportato un esordio seguitissimo, la successiva vittoria di diversi premi e lo status di una delle serie di culto più seguite dal pubblico mainstream. È interessante notare che Lieber è stato indicato come co-ideatore (e che ha quindi ricevuto delle royalties) di ogni episodio di Lost, nonostante dal punto di vista creativo non abbia avuto quasi niente a che fare con la serie nella sua forma finita: quest’attribuzione è frutto del processo di mediazione del Writers Guild of America (wga), il sindacato a difesa degli sceneggiatori, e costituisce un aspetto legale ed economico importantissimo per l’autorialità televisiva. Abrams smise di partecipare alla serie a metà della prima stagione, e Lindelof convinse Carlton Cuse, suo superiore ai tempi di Nash Bridges, a subentrare come co-showrunner al timone di quello che alla fine si sarebbe rivelato come uno dei racconti televisivi (e transmediali) più complessi mai realizzati. Ovviamente non è facile analizzare questa attribuzione a partire dai credits, considerato che l’episodio finale di Lost riporta ben nove producer esecutivi, tra cui: Abrams (che a quel punto non aveva più niente a che fare con la serie), Lindelof e Cuse, insieme ad altri tre autori; il regista principale del programma, Jack Bender; e due producer che hanno supervisionato la chiusura logistica e commerciale dell’operazione. Quindi: chi è l’autore di Lost?

 

© Jason Mittell, 2015. Authorized translation from the English-language edition published by New York University Press. – © minimum fax, 2017. Tutti i diritti riservati. A cura di Fabio Guarnaccia e Luca Barra. In collaborazione con Tivù. Traduzione di Mauro Maraschi.
Nelle foto: Damon Lindelof e Carlton Cuse colleghi in Lost e Aaron Sorkin (Getty Images).