Attualità

L’anno di Ofo e Mobike

Abbiamo parlato con i fondatori delle due principali aziende di bike sharing senza parcheggio a livello globale esplose negli ultimi mesi anche a Milano.

di Andrea Nepori

Nel 2017 a Milano sono diventate parte del nostro panorama urbano: sono le biciclette che spuntano come funghi nei luoghi più impensati. Abbandonate in mezzo alle strade, davanti ai portoni, nei parchi, danno l’impressione di essere creature libere e un po’ ribelli, tutto il contrario delle loro mansuete compagne comunali, decisamente più ingombranti, costrette a riposare tutte in fila negli appositi parcheggi. C’è chi dice che, nonostante sembrino piccole e maneggevoli, sono un po’ scomode da guidare e chi invece dichiara di non poterne più fare a meno e di usarle tutti i giorni per il tragitto casa-lavoro. Per Studio Trasporti, lo speciale dedicato ai trasporti che abbiamo realizzato per il n° 33 di Studio, Andrea Nepori ha parlato con i fondatori delle due principali aziende di bike sharing free floating (ovvero senza stazioni di parcheggio), Mobike e Ofo, e ha chiesto loro di raccontare come stanno andando gli affari e quali sono i progetti per il futuro.

 

CHINA-TRANSPORT-BIKES-IMPOUND

Yinping “Joe” Xia, fondatore di Mobike

«A gennaio 2015 abbiamo creato l’azienda, ad aprile 2016 abbiamo avviato le operazioni a Singapore. Oggi operiamo in 180 città, ma saranno 200 entro la fine del 2017». Yinping “Joe” Xia, Cto e co-fondatore del bikesharing free floating Mobike, è fiero degli obiettivi raggiunti in meno di 3 anni. Come la concorrente Ofo, anche l’azienda che ha co-fondato con la giornalista Hu Weiwei è un’anomalia per il mercato cinese. Sia per la rapidità dell’espansione globale, sia per le cifre investite (quasi un miliardo di dollari) da finanziatori cinesi e internazionali. «Puntiamo tutto sulla user experience. È fondamentale per favorire l’adozione rapida del servizio», dice Xia a Studio durante il Web Summit di Lisbona. A fare la differenza sono i QR code: si scansionano con la fotocamera del cellulare e la bici arancione di Mobike si sblocca in pochi secondi. «È una tecnologia che in Cina usiamo da anni per ogni tipo di micropagamento». Sul problema del vandalismo delle bici Xia non si preoccupa: «È un rischio preventivato, riguarda solo il 5% dei mezzi. Abbiamo notato che si risolve quando passa l’effetto novità. In più favoriamo i comportamenti virtuosi con un sistema a punti». L’aspetto più importante, dice, è muoversi sempre di concerto con le autorità locali: «La nostra missione è rendere migliori e più vivibili le città, per il bene dei nostri figli».

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Zhang Yanqi, fondatore di Ofo

«Ci sono nove milioni di biciclette a Pechino», cantava nel 2005 Katie Melua nella sua hit “Nine million bicycles”. Ofo, startup cinese pioniera del bike-sharing free floating, cioè senza stazioni di parcheggio, in tre anni ne ha messe su strada più di dieci milioni – tutte gialle – in circa 200 città nel mondo. L’azienda è nata dall’idea di un gruppo di studenti dell’università di Pechino. È stata messa alla prova nei campus di 200 atenei cinesi e poi, nel 2016, ha debuttato nella capitale cinese. L’espansione globale è stata rapidissima.

«Puntiamo a risolvere il problema dell’ultimo miglio», spiega Zhan Yanqi, co-fondatore e Coo di Ofo (ex di Uber), con un inglese impeccabile acquisito studiando economia a Manchester. «In moltissime città, soprattutto in Europa, la bicicletta è il mezzo di trasporto più efficace per evitare il traffico; i nostri dati sulla penetrazione dei mezzi mostrano che offriamo un servizio necessario». Il bike sharing free floating ha conquistato gli utenti perché costa poco ed è facile da usare, ma soprattutto piace agli investitori: Ofo ha già raccolto più di un miliardo di dollari in finanziamenti in poco più di due anni, un record assoluto. Quando gli si chiede conto di una vociferata fusione con la concorrente Mobike, Zhang Yanqi smentisce: «Il nostro obiettivo è solo la crescita e l’evoluzione del servizio. Non abbiamo tempo di pensare ad altro».

 

Dallo speciale Studio Trasporti, nel n° 33 di Studio in edicola