Attualità

All Cops Are Bastards

Sollima Jr e il cinema di genere (e politico) in Italia: una preview del nuovo atteso film A.C.A.B.

di Federico Bernocchi

Si deve voler bene a Stefano Sollima. Il regista figlio d’arte (il padre è Sergio Sollima, colui che ha messo la firma su pellicole come Corri, Uomo Corri o Revolver) negli ultimi anni ha fatto tanto per il cinema italiano. E la cosa interessante è che l’ha fatto in televisione. L’ha spiegato lui stesso durante l’incontro che è seguito all’anteprima stampa del suo esordio cinematografico A.C.A.B. «Qui ci sono in ballo più soldi e hai più tempo per gestire il tuo lavoro, ma non ci sono state grandi differenze per me tra la televisione e il cinema. Ho girato le due serie di Romanzo Criminale pensandole proprio come un film lungo». Affermazione questa più vera del vero. II suo Romanzo Criminale, non solo è una serie Tv che non sfigura se paragonata a quelle d’oltreoceano, ma ha il respiro del grande Cinema. Quello con la C maiuscola, che si smarca dagli italianismi delle commedie eque e solidali e riesce a non riflettere sulla crisi dei trentenni, quasi quarantenni, con il parquet in casa. Sollima Jr. ha dimostrato di saper costruire sequenze efficaci gestite con ritmo e fantasia. Ha fatto vedere come si dirigono gli attori. Ha mostrato come si dosano dialoghi e scene d’azione. Ha spiegato a molti suoi colleghi come si gestisce una colonna sonora e ha infine estratto dal magico cilindro una buona dose di fantasia che non guasta. Inutile dire che c’era grossa attesa quindi per il suo vero esordio in sala.

Il film, lo ripetiamo si intitola A.C.A.B., acronimo che sta per All Cops Are Bastards (tutti i poliziotti sono dei bastardi), titolo di un vecchio pezzo dei The 4-Skins, gruppo Oi! inglese di fine settanta. Il tutto è tratto dall’opera letteraria omonima edita nel 2009 da Einaudi e firmata dal giornalista e scrittore Carlo Bonini. «Non ho seguito direttamente l’adattamento cinematografico. Ho solo chiesto, ovviamente, che non venisse stravolto il senso del mio libro. Quello che mi interessava raccontare è l’odio; l’educazione sentimentale all’odio che esiste ovunque nel nostro paese. L’odio che nutrono i celerini nei confronti degli ultras, di quelli che sono costretti ad affrontare durante le manifestazioni di piazza o durante uno sgombero. E dall’altra parte l’odio che gruppi di estrema destra o criminali hanno nei confronti delle guardie. Un odio che – dal mio punto di vista, da quello che ho potuto vedere – nasce dalla paura dell’altro. Ecco, secondo me il film di Stefano rispetta molto bene l’idea del mio libro, anche se ovviamente hanno adattato, esploso e rimontato i miei scritti». La sceneggiatura è firmata Daniele Cesarano, Barbara Petronio e Leonardo Valenti. I tre, oltre a basare il proprio lavoro sul libro di Bonini, hanno avuto a che fare direttamente con molti poliziotti e celerini che hanno contribuito alla veridicità del film con racconti di vita vissuta e con le loro esperienze. C’è quindi una parte di fiction e una parte più documentaristica che confluiscono nella Storia del nostro paese. Ci sono riferimenti a fatti di cronaca ancora freschi nella nostra memoria come la morte dell’ispettore Raciti, l’omicidio di Giovanna Reggiani e l’uccisione di Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio ucciso da un colpo di pistola esploso ad alzo zero dall’agente Spaccarotella. L’incontro con le forze dell’ordine è servito anche agli interpreti Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti e Domenico Diele. I quattro non solo si sono allenati dal punto di vista fisico giocando a rugby (pare che Giallini si sia incrinato due costole dopo un placcaggio), ma sono riusciti a carpire gesti, comportamenti e modo di pensare dei personaggi che sono chiamati a portare su grande schermo. Ok, abbiamo detto tutto: il risultato com’è?

A.C.A.B. è un buon film. Un film che può anche avere qualche difetto, ma che in Italia, non fosse stato per Sollima, nessuno avrebbe fatto. Perché è un film incredibilmente difficile, coraggioso e scomodo. Immagino che la maggior parte del pubblico e della critica passerà l’intera proiezione a tentare di capire da che parte sta Sollima. Ma A.C.A.B. è di destra o è un film contro gli sbirri? Sollima frega tutti e riesce nella difficile impresa di fare un film poliziesco. Non i poliziotteschi che “non c’è più il cinema di una volta e poi ci troviamo a casa di Mario giovedì dopo il calcetto e ci rivediamo La Polizia S’Incazza. Formidabili quegli anni!”, ma un film su dei poliziotti. Sbirri fascistelli che si trovano a dover affrontare varie situazioni: dai propri problemi personali alle spaventose guerriglie urbane fuori dallo stadio la domenica sera. Protagonisti verso il quale il film riesce sempre a mantenere un certo distacco, presentandoli nella loro interezza e senza mai giudicarli. Lo spettatore rimane libero di empatizzare verso un uomo che darebbe la vita per un proprio amico, o di detestare chi sfoggia un deprecabile cameratismo o chi non esita a umiliare un anziano che si trova costretto a occupare perché senza una casa. Ci sono ovviamente dei momenti a mio avviso poco riusciti (pochi e molto probabilmente perché anche io sono caduto nel tranello di voler leggere un’indicazione politica in alcune passaggi della sceneggiatura), ma A.C.A.B. riesce ad essere un film poliziesco realmente politico, nel senso che parla in modo diretto del nostro paese, mettendo in scena la realtà, problemi tangibili con cui chiunque ha a che fare tutto il giorno.

Infine c’è da tenere conto dell’aspetto tecnico della pellicola. Sollima, fin dal montaggio parallelo che apre il film e che presenta i protagonisti, parla chiaro e fa capire che dietro la macchina da presa c’è qualcuno con le idee molto chiare. Non solo sfoggia un controllo impeccabile nelle sequenze più concitate e adrenaliniche, come già dimostrato in Romanzo Criminale, ma gestisce bene i tempi e, ancora una volta, mostra orecchio e gusto per la musica. Incredibile poi la sequenza finale che, citando il carpenteriano Distretto 13: Le Brigate della Morte, riesce a mettere i brividi. Un nemico senza volto e identità che passa in lontananza. Un finestrino di una macchina che esplode colpito da una roccia arrivata chissà da dove. Un esplosione. Silenzio. E un manipolo di soldati in attesa.