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La libreria degli animali

Nel suo Autobiografia di un polpo, la filosofa Vinciane Despret immagina un mondo cambiato dalla terolinguistica, una scienza che permette all'uomo di comprendere finalmente la lingua delle altre specie.

di Giulia Villoresi

A Cassis, nel Sud della Francia, è avvenuto un ritrovamento eccezionale: dei pescatori hanno trovato su detriti di vasellame dei frammenti di testo composti in una scrittura sconosciuta; dalle analisi genetiche risulta che il testo, redatto con inchiostro di polpo, è opera di un solo e medesimo autore, che gli scienziati concordano nel collocare nella specie Octopus vulgaris. Un’equipe di specialisti è stata incaricata di tradurre questi frammenti, e i risultati, benché in continuo divenire, permettono di avanzare la più meravigliosa delle ipotesi: si tratterebbe di una «composizione in forma di aforismi» nella quale l’autore – un polpo, sarà superfluo ricordarlo – riflette sul proprio ciclo vitale con «intento autobiografico». Per diverso tempo gli unici a parlare di questa scoperta sono stati i media locali, con tono ora sensazionalistico, ora canzonatorio (basti citare “Anche gli ottopodi scrivono autobiografie” e “Io, polpo”, apparsi rispettivamente su La gazette des Calanques e L’indiscret di Marsiglia). Adesso la pubblicazione di un’illustre filosofa della scienza, Vinciane Despret, ci obbliga a prendere sul serio questa scoperta. Si tratta di Autobiografia di un polpo, appena edito da Contrasto con la prestigiosa introduzione di Emanuele Coccia. Despret è ben nota a chi si occupa di questione animale, fin da quando, negli anni Novanta, decise di consacrare la sua tesi di dottorato all’osservazione di un gruppo di ornitologi che a sua volta osservava un passero nel deserto del Negev, fondando di fatto una nuova scienza: l’etologia degli etologi. Da allora le sue ricerche sono un riferimento imprescindibile per chiunque studi la relazione umano-vivente e le cosiddette culture animali. C’è stato un tempo in cui queste culture ci apparvero velate dal mistero, ci ricorda Coccia. «Esoteriche», come quelle dell’uomo preistorico, di cui nulla sappiamo. Ora le cose stanno cambiando. Se il testo trovato dai pescatori, già soprannominato “la stele di Cassis”, è stato veramente scritto da un polpo, saremo costretti ad ammettere che i meccanismi dell’evoluzione sono più esoterici di quanto abbiamo immaginato. Come a dire che il mistero, invece di diradarsi, si è infittito, il che è forse l’effetto più vistoso di tutte le grandi scoperte scientifiche.

Ma veniamo al polpo. Sappiamo che per osservare un fenomeno e dargli senso è necessaria una teoria capace di accoglierlo. Noi abbiamo già quella teoria (altrimenti non avremmo alcuna stele di polpo) e la troviamo nella terolinguistica, un ramo della linguistica che studia le produzioni letterarie degli animali e, negli ultimi tempi, anche delle piante. Il vero battesimo di questa scienza risale alla scoperta di frammenti di messaggi di formiche, trovati sotto forma di essudazione ghiandolare su semi di acacia accuratamente disposti. Come ricostruisce Despret attingendo agli archivi dell’Ascp (Associazione di scienze cosmofoniche e paralinguistiche, una costola della terolinguistica), la traduzione di questi testi ferormonici ha creato non pochi problemi ai traduttori. Le formiche, per esempio, non conoscono l’uso della prima e della seconda persona nei verbi, per cui è stato difficile rendere affermazioni come “mangiare le uova”. Oppure: come bisognava interpretare l’esclamazione “in alto la regina!” in un mondo in cui l’alto rappresenta in realtà il pericolo, ciò che deve essere evitato? La frase non doveva piuttosto essere tradotta, in modo non etnocentrico, “abbasso la regina!”? Questo banco di prova, benché foriero di scissioni accademiche, si è rivelato di fondamentale importanza per la costruzione del modello terolinguistico. Da allora le prove di produzioni letterarie in specie non umane si sono moltiplicate. Mi limiterò a citare la scrittura cinetica corale nei pinguini di Adelia, la poesia iniziatica della lucciola, il romanzo sotterraneo della marmotta, l’epica labirintica del surmulotto e la poesia vibrazionale creata dai ragni su ragnatele, foglie e steli. Letterature animali spesso di altissimo livello, ma di natura effimera, ben diverse, quindi, dal testo di Cassis, concepito per durare nel tempo, oltre la morte stessa dell’autore. D’altronde l’intero componimento, a parere quasi unanime dei terolinguisti, è attraversato dall’angoscia che l’anima, una volta disincarnata, non troverà un nuovo corpo da abitare, a causa della quasi totale scomparsa di Octopus vulgaris. «I corpi erano accoglienti come conchiglie. Niente più conchiglie, niente più via d’uscita. Pericolo» (frammento 6). Apprendiamo così che i polpi credono nella metempsicosi. L’ipotesi che questi animali si reincarnino era già stata proposta in uno studio firmato dall’Università giapponese di Fukui e la Federico II di Napoli. Ciò chiarirebbe, tra le altre cose, l’enigma della loro intelligenza, eccezionalmente sviluppata per una vita così breve e così poco sociale (generalmente si ritiene che ci sia co-evoluzione tra intelligenza e una vita lunga e socialmente complessa). Quanto al peculiare stile epigrammatico dei frammenti, Sarah Buono, terolinguista e biologa, lo attribuisce alla natura furtiva ed elusiva del polpo, che a livello letterario si esprimerebbe in frasi molto brevi, impregnate dall’atmosfera di «qualcosa compiuto nell’urgenza».

Veniamo così a una questione del massimo interesse: è possibile concepire la scrittura negli animali (umani e non) come il risultato di una pressione selettiva? I terolinguisti ritengono di sì, e riprendendo Stephen Jay Gould chiamano in causa la cosiddetta exaptation, o “adattamento selettivo opportunista”. Secondo questa teoria, un carattere può essere selezionato inizialmente per una determinata funzione (le piume per volare) per poi essere dirottato al servizio di un’altra (le piume per esibirsi). Seguendo questo ragionamento, i terolinguisti ipotizzano che la scrittura, e quindi le varie forme letterarie, possano essere emerse dal gioco. In effetti, qui ritroviamo tutte le caratteristiche dell’avventura exaptativa: comportamenti forgiati nel contesto della sopravvivenza (per esempio aggressività e predazione) poi dirottati al servizio del gioco (inseguire, mordere, gridare, sottomettersi, etc.). In questa dimensione – il “fare finta di” – gli animali si mettono alla prova non solo come attori ma come drammaturghi. Scoprono l’atto della creazione: l’unico attraverso cui si attinge alla formidabile riserva di libertà che offre la vita. Ciò che è all’opera nell’atto ludico, è stato messo a disposizione dell’atto narrativo. È per questo che molti animali dotati per il gioco sono anche animali letterari, dal polpo ai cani ai pinguini studiati dai pionieri della terolinguistica. Grazie ai loro sacrifici (giacché il mondo accademico li ha trattati a lungo con disprezzo e sarcasmo) l’importanza del gioco è ribadita.

Nel regno della fabulazione niente è reale eppure nessuno è ingannato. Ma per entrarvi, come il lettore avrà ormai compreso, è necessario il rifiuto del probabile in favore del possibile. Sembra che Allen Ginsberg alludesse proprio a questo quando scrisse: «Oh onde di probabili e improbabili Universi – Tutti hanno ragione. Finirò questa poesia nella mia prossima vita».