Dopo i dazi di Trump, si sono moltiplicati sulla piattaforma i video di commercianti cinesi che invitano gli americani a scoprire cosa e come si produce in Cina. Un fenomeno interessante, che ha anche a che fare con il made in Italy.
Se da poco più di un mese a questa parte vi sembra che le sponsorizzazioni dei prodotti più disparati siano aumentate nella pagina “For You” del vostro account TikTok, è probabilmente conseguenza del debutto italiano di TikTok Shop. Il 31 marzo 2025, infatti, la piattaforma cinese proprietà di ByteDance ha aperto la possibilità anche all’Italia – e ai suoi 22,8 milioni di utenti – di acquistare scrollando. Nessun lancio particolarmente scenografico se non la comparsa di una nuova icona fra i pulsanti interattivi e qualche contenuto sponsorizzato debitamente segnalato. È così che ogni video si è trasformato in un potenziale spot pubblicitario, rendendo di fatto i creator ipotetici venditori e ogni scroll un’ineluttabile tentazione ancora più accessibile di prima. Se il mercato tradizionale ha i suoi orari, il discovery e-commerce – ovvero l’esperienza d’acquisto che combina intrattenimento, scoperta e shopping online – di TikTok no: le dirette si susseguono a tutte le ore, con alcune che continuano fino a tarda notte fra detergenti, contenitori (o meglio: organizer), eyeliner e profumi che promettono l’impossibile. L’estetica? Spesso, quella del caos, dalle luci intermittenti e degli sticker animati. Benvenuti nella nuova frontiera dello shopping: compulsiva, insonne e dall’infinito scrolling verticale.
Come funziona TikTok Shop
Mentre, fuori dallo schermo, il mondo reale si riorganizza, dentro TikTok il flusso non si interrompe. Lo testimonia anche il Digital Report 2025 di We Are Social in collaborazione con Meltwater: per gli italiani, la piattaforma di video brevi è il social d’elezione, superando ampiamente ogni competitor con le sue quasi 30 ore di media al mese. Quanto ad app, viene invece battuto dai download di Temu e Shein, restituendo però un’immagine nitida sulle abitudini d’acquisto del nostro continente, dove TikTok Shop potrebbe far recuperare posizioni all’applicazione con l’integrazione dello shopping a bassissimo costo. Dietro le quinte di una buona fetta venditori (non tutti, chiaramente) c’è infatti il cosiddetto dropshipping, un modello di export in tempo reale che si appoggia a fornitori esterni, spesso cinesi, e permette di aggirare la filiera tradizionale: niente magazzini o controllo qualità (ma d’altronde, serve un controllo qualità per oggetti perlopiù inutili acquistati d’impulso?), solo intermediazione e margini rapidi. L’imprenditorialità si trasforma in algoritmo, e il fast fashion diventa ultra-fast.
Un’esperienza di shopping ultra-fast
Al debutto italiano di TikTok Shop hanno aderito, fra gli altri, business come Veralab, Nabla Cosmetics, ShaftJeans e New Martina, la creator napoletana diventata celebre grazie alle pellicole per telefoni: la piattaforma annuncia la volontà di «volersi affermare come uno spazio interattivo che unisce marchi affermati e realtà emergenti». La democrazia sta nell’orizzontalità dell’esperienza d’acquisto, dove brand certificati e rivenditori seriali si susseguono con lo stesso peso visivo. Fra chi racconta la propria routine skincare e chi lancia promozioni sulla bigiotteria, si scorgono angoli di casa trasformati in mini-studi. Perché TikTok Shop diventi un canale più strategico, devono ancora essere implementate certificazioni e rating, e magari un design visivo che aiuti l’utente a orientarsi, per superare il valore dettato dal numero di like. Nella sfida di far convivere accessibilità e autorevolezza, sono i gruppi del lusso a rimanere in disparte. Se negli ultimi anni i brand di LVMH e Kering hanno portato con successo le loro campagne su TikTok, non è lo stesso per quanto riguarda lo shopping, che richiede una proiezione esperienziale a cui i conglomerati luxury non possono rinunciare.
Il lusso su TikTok: sì alla comunicazione, no allo shopping
Mentre, quindi, i grandi brand del lusso evitano accuratamente TikTok Shop, non si può dire lo stesso dei loro loghi. Basta una rapida ricerca per trovare borse, scarpe o profumi “inspired by” venduti a una frazione del prezzo originale, un carosello di prodotti che replicano forme, packaging e nomi dei marchi più noti. I toni non sono sempre quelli del dupe dichiarato, si opera spesso in zone grigie fra nomi storpiati e foto ambigue. Per le generazioni Z e Alpha, cresciute scrollando, rischia di cambiare il concetto di valore in uno spazio dove riconoscere la copia risulta sempre più difficile anche all’occhio più esperto. TikTok, ufficialmente, vieterebbe la vendita di prodotti contraffatti nella sua pagina dedicata alle policy dello shop, e i venditori dovrebbero fornire prove di autenticità. Se la piattaforma invita i titolari di diritti a segnalare eventuali violazioni attraverso un modulo dedicato, si legge spesso fra i commenti come l’assistenza clienti sia parziale e tardiva, se non del tutto assente.
Le insidie della cultura del “dupe”, il falso conclamato
Shein ha costruito un impero sulla velocità e sull’accessibilità, ma ha subito critiche per mancanza di trasparenza sulla produzione. Temu, ancora più aggressivo nei prezzi, ha guadagnato terreno anche in Europa grazie a campagne pubblicitarie martellanti e sconti da Black Friday permanente. Amazon, più strutturato, offre strumenti di verifica per i brand ma è anch’esso affollato da prodotti falsi, spesso protetti da un linguaggio volutamente vago o dalle logiche del market place aperto. Rispetto a questi attori, TikTok Shop rappresenta un ibrido più pericoloso per la percezione del lusso: non mostra un prodotto, ma costruisce un desiderio, e lo fa in uno spazio che frequentiamo già quotidianamente per altri motivi, quelli dell’intrattenimento (sia puro che legato all’informazione). Non è un caso se la dupe economy si è originata proprio in simili spazi già molti anni fa, quando su YouTube proliferavano i video tutorial legati soprattutto al mondo del beauty e il concetto di dupe non era condizionato dal giudizio negativo del falso: era un’alternativa furba e accessibile. Nel passaggio al fashion, questa logica si fa però più ambigua: se il dupe di un mascara è una questione di performance, il dupe di una borsa Hermès è, piuttosto, un discorso emblematico.
Un’infinita televendita da scroll
Facendo un passo indietro per osservare il fenomeno da più lontano, potremmo dire che TikTok Shop reincarna la televendita anni Novanta in versione contemporanea. Cambiano i protagonisti e i codici visivi, ma non la struttura né l’intenzione: quella della televendita è una grammatica antica che TikTok Shop ha saputo rimescolare e riadattare allo smartphone. Sopravvive la gestualità performativa e, talvolta, anche l’urgenza della promozione a tempo ma, mentre in Asia le dirette sono ambienti iper curati con venditori professionisti, l’Europa ha optato per un’estetica più domestica e improvvisata per il momento. Anche se l’Occidente fa più fatica ad abbracciare il trend, gli Stati Uniti rappresentato un esempio importante: è bastato meno di un anno a TikTok Shop – il cui lancio USA è avvenuto a settembre 2023 – per superare le vendite di Shein e Sephora, come rileva Business Insider. E le previsioni per il 2026 di Statista legate allo shopping figlio delle livestream segnalano una crescita ulteriore del 36 per cento sul territorio americano. In un certo senso, TikTok Shop non è il futuro dello shopping ma il suo eterno ritorno, aggiornato all’estetica del feed. E stavolta, nessuno ci ha detto dove finisce lo show e dove inizia l’acquisto.

La grande mostra al Met di New York, Superfine: Tailoring Black Style, era dedicata allo stile dei dandy afroamericani e agli abiti come affermazione di sé. Un tema che sembra il punto più alto di tante discussioni avviate negli anni scorsi, ma che oggi è solo l’ennesimo scroll.

Dopo i dazi di Trump, si sono moltiplicati sulla piattaforma i video di commercianti cinesi che invitano gli americani a scoprire cosa e come si produce in Cina. Un fenomeno interessante, che ha anche a che fare con il made in Italy.