Attualità

Moda senza vestiti

Il primo progetto italiano di Telfar Clemens, lo stilista più amato dal mondo dell'arte contemporanea.

Non è facile riassumere tutto quello che ha fatto e inventato Telfar Clemens. Si può pescare ovunque nella sua non breve carriera (più di un decennio) e citare qualcosa a caso: la polo con il colletto al contrario, le t-shirt con le tasche nelle maniche, i top unisex monospalla. Ma elencare i capi che ha inventato è a dir poco riduttivo: perché la moda è solo una piccolissima parte di un universo creativo in continua espansione, che sempre di più ha a che fare con l’arte (basti guardare la copertina dell’ultimo numero di Flash Art International). Ma proviamo a partire dall’inizio. Clemens nasce nel Queens nel 1985 da genitori liberiani. A un certo punto i suoi lo riportano in Liberia e poi vanno a vivere nel Maryland. Clemens ha così fretta di tornare nella sua amata New York, anzi, più precisamente nel suo amatissimo Queens (dove abita ancora), che scappa dal Maryland il giorno dopo il diploma di maturità. Una volta a New York non si iscrive a una scuola di moda («forse odio la moda» dice in un’intervista, ed è un concetto che ha ripetuto spesso) ma continua a fare quello che fa più o meno da quando ha quindici anni: creare abiti usando se stesso come modello e ispirazione.

Le sue prime collezioni sono innovative per tanti motivi. Innanzitutto tutti i capi sono unisex. Sportivi e minimali, si possono modificare e ricomporre. Le sfilate (la prima nel 2005) gli stanno strette da subito. E allora chiede agli amici artisti di aiutarlo creare dei video, fa sfilare i modelli e le modelle in bicicletta in una palestra, veste dei manichini a sua immagine e somiglianza, occupa due piani del New Museum e realizza una mostra con capi della sua collezione, installazioni, film, musica. Conia un nuovo termine, visto che le parole normali non bastano a definire quello che fa: “simplex” (simple + complex). Come dicono in questa brillante intervista pubblicata da Dazed nel 2014, in cui conversa col suo braccio destro Babak Radboy, Telfar è così nuovo che continua a sembrare uno stilista emergente.

Telfar e Babak sono la versione cool del gatto e la volpe. Nel 2014, su consiglio di Radboy, da allora direttore creativo del marchio, Telfar ha disseminato per il sito di Dazed delle gif animate dello stilista che fa cose (quella in cui batte le mani e sorride è ancora sul suo sito). I due lavorano insieme da quando l’artista/direttore creativo ha assistito a una sfilata di Telfar (in uno spazio senza aria condizionata né finestre né giornalisti) e ha capito che il ragazzo aveva bisogno di una spinta. Non è facile riassumere tutto quello che Radboy ha fatto e inventato fino a oggi (qui c’è un’ottima intervista): è stato creative director per Kanye West, Hugo Boss e Fatima Al Qadiri e ha diretto Bidoun Magazine, che per 15 numeri ha seguito la scena artistica e culturale del Medio Oriente. Ha co-fondato il progetto di arte-moda Shanzai Biennal, che non è una biennale – la città di Shanzai neanche esiste – ma (semplificando, in realtà è molto più complesso) un meta-brand che riprende grandi marchi, da Apple a Hollister, e li riproduce in versioni ostentatamente tarocche.

Le migliori idee di Radboy e Telfar si basano sul concetto di “fake”. In una scena della serie Amazon The Marvelous Mrs Maisel a un certo punto il padre confessa al figlio di aver inventato la storia di uno zio famoso per farsi figo davanti ai parenti riuniti in occasione del Bar mitzvah. La lezione che impartisce al figlio in questo giorno fondamentale è questa: devi convincere gli altri di essere grande. Se tutti lo pensano, finisce che lo diventi davvero. Basta mescolare questo insegnamento alle trovate più interessanti nella carriera di Maurizio Cattelan, dalla Biennale dei Caraibi del 1999 alla denuncia del furto di un’opera inesistente esposta al posto dell’opera, per ottenere il pensiero alla base della comunicazione di Telfar. Qualche esempio. La geniale campagna Get The Look, dove la comunicazione diventa il prodotto stesso: t-shirt marchiate Telfar con stampati sopra modelli vestiti Telfar, fotoshoppate addosso a gente come Rihanna e Mike Tyson. Due anni dopo, Telfar partecipa alla Biennale di Berlino, quella curata da Dis Magazine. La sua installazione, realizzata con l’aiuto dell’artista Frank Benson (sono suoi i manichini unisex sorridenti con le sembianze dello stilista) entusiasma il mondo dell’arte contemporanea.

Telfar non è ancora riuscito a diventare mainstream come vorrebbe, tanto che questo articolo del New York Times, che annuncia il vincitore del CFDA Vogue Fashion Found (lui), ha questo titolo: “A lot of Fashion Insiders Say Telfar Is the Brand to Know”. Ma non dovrebbe esserci più bisogno, ormai, dell’aiuto di un “fashion insider” per capire che qui si tratta – e si tratterà – di qualcosa di molto importante, che trascende la moda e si mescola con la comunicazione, la musica, l’arte contemporanea, il design. E le ultime scelte di Telfar lo dimostrano: per la campagna SS 2018 ha scelto Shayne Oliver, ma anche Kelela e Dev Hynes (Blood Orange). Ha vestito Solange e il suo team di ballerini e musicisti per An Ode To, l’acclamata performance al Guggenheim Museum e ha realizzato una linea speciale per la catena di fast food White Castle, disegnando le divise per i suoi 10 mila dipendenti e una serie di magliette speciali. Il 100% del ricavato verrà usato per pagare la cauzione ai minori detenuti nel carcere di Rikers Island (la cauzione media è di 900 dollari e chi non riesce a pagarla rischia di rimanere dentro per anni anche se è innocente, in attesa del processo).

Il prossimo capitolo di questo percorso avrà luogo a Milano, stasera. Nude, presentato da Kaleidoscope nella nuova sede dello spazio Maiocchi è il primo progetto di Telfar realizzato in italia: una presentazione di moda dove non ci saranno capi d’abbigliamento ma solo corpi nudi (e i manichini di  Frank Benson, un video girato nel Queens, un grande ritratto dello stilista firmato Rob Kulisek).